19 Aprile, 2024
spot_imgspot_img

Secondo appuntamento, all’Istituto Alberghiero di Ladispoli, per il Progetto “Sapere i Sapori: a tavola con gli Etruschi”

Promosso e finanziato dall’A.R.S.I.A.L., il percorso, cominciato giovedì 27 aprile con il seminario introduttivo di Fabrizio Del Re, Direttore del Punto Magazine e Chiara Nobili, Ricercatrice E.N.E.A., è proseguito mercoledì 10 maggio con una giornata di studio interamente dedicata alla storia del vino e alle sue origini etrusche. Al tavolo dei relatori, è tornato Fabrizio Del Re, stavolta nella veste di scrittore e autore del volume “Introduzione al pensiero tradizionale” (Edizioni G. Laterza), accompagnato da Catia Minghi, sommelier di lunga esperienza e segretaria della F.I.S.A.R. (Federazione Italiana Sommelier Albergatori e Ristoratori) di Civitavecchia, da Cesare Pennacchia, Sommelier della F.I.S.A.R. di Viterbo e da Giuseppe Giangreco, Presidente dell’Associazione culturale-archeologica “I Rasenna”. Ad introdurre i lavori, la Dirigente Scolastica dell’Istituto Superiore “Giuseppe Di Vittorio”, Prof.ssa Vincenza La Rosa: “Prosegue questa mattina il percorso di approfondimento dedicato alle origini della tradizione enogastronomica laziale. Il nostro obiettivo è ripercorrere e riscoprire, in cucina, l’identità dei luoghi e dei territori, anche e soprattutto attraverso l’esperienza di laboratorio.

Duplice è, infatti, il taglio di questo progetto: da una parte la storia, dall’altra la tecnica, ma storia e tecnica si incontrano, nella loro sinergia, quando la conoscenza si trasforma in azione e il sapere in saper fare. E questi sono, evidentemente, gli obiettivi primari in un Istituto Professionale Alberghiero. Ringrazio l’A.R.S.I.A.L., gli organizzatori e i relatori di questa giornata di studio, che vedrà alternare momenti di dibattito ad altri di dimostrazione e di pratica”.

E mercoledì 10 maggio si è parlato del significato simbolico del vino, ma anche delle tecniche di viticoltura introdotte e diffuse in Italia dagli Etruschi. Due – ha spiegato Catia Minghi – le principali varianti della “vite maritata” utilizzate dagli antichi abitanti dell’Etruria (ma ancora adottate, oggi, nel Cilento e nel Casertano): l’alberata e la piantata. Nel primo caso, la vite è legata ad un singolo albero (‘tutore vivo’), nel secondo a più alberi disposti in filari.

Al centro dell’incontro, un invito alla lettura da parte di Fabrizio Del Re: “Un futuro chef o maître non può non conoscere il Simposio di Platone, – ha affermato – filosofo posteriore all’età di massima espansione degli Etruschi, che però nella sua opera compendia un patrimonio di nozioni tutte riconducibili alla linea antica del “pensiero tradizionale”, ancora vivo e giunto fino a noi. Il Simposio di Platone, occasione suprema di festa in cui si mangia e si beve insieme, è dedicato all’elogio di Eros – ha aggiunto Fabrizio Del Re – forza superiore e divina che governa tutte le arti e le attività umane (compresa l’agricoltura, come afferma Erissimaco). Ma questo significa una sola cosa: gli antichi trasformavano il momento del convivio in un vero e proprio “axis mundi”, in grado di unire in senso orizzontale gli uomini fra loro, ma anche – in direzione verticale – la terra al cielo e alle sue divinità”.

Il Simposio ha dunque a che fare nello stesso tempo con il mito, con il rito e con il sacro. Dimensioni forse perdute nei frettolosi pasti consumati ai nostri tempi, ma che un professionista dell’enogastronomia deve far entrare nel proprio bagaglio culturale”. E, a proposito di mito, impossibile non citare, durante il convegno all’Alberghiero, quello di Dioniso (Dio della linfa vitale, del vino e dell’estasi) e di Ampelos (il giovinetto trasformato in vite, dopo la sua morte accidentale e tragica). Ma Fabrizio Del Re, proponendo all’attenzione degli studenti famosi passi di lirici greci e numerose fonti iconografiche, ha parlato anche dell’etimologia della parola “vino”, delle origini della viticoltura (dall’area transcaucasica al Mediterraneo), delle differenze fra il simposio greco e il banchetto etrusco. “Come è noto, i nostri territori si dimostrarono particolarmente adatti alla coltivazione della vite, – ha ricordato Fabrizio Del Re – se è vero che assai presto l’Italia venne chiamata proprio Enotria, con un preciso riferimento etimologico alla viticoltura – ha spiegato Fabrizio Del Re – In greco antico la parola ‘oinotron’ indicava infatti un palo di legno a sostegno di una pianta di vite”.

Al convegno del 10 maggio era presente anche Giuseppe Giangreco, Presidente dell’Associazione culturale-archeologica “I Rasenna”, che dal 2010 propone nel territorio cerite eventi ed iniziative dedicate alla rievocazione storica. Giuseppe Giangreco ha illustrato agli studenti i diversi e più importanti modelli del vasellame etrusco, soffermandosi in modo particolare sul cratere, sulla patera e sul kylix. Giuseppe Giangreco e Fabrizio Del Re hanno quindi mostrato agli allievi dell’Istituto Alberghiero le mosse principali del gioco del ‘kottabos’, assai diffuso nel mondo greco antico, ma anche in quello etrusco: “Il gioco – hanno spiegato – consisteva nel colpire un bersaglio, un piatto o un vaso, con il vino rimasto sul fondo della coppa in ceramica (kylix) usata per bere. Generalmente il premio che spettava al vincitore era un frutto, dei dolci, una coppa o il bacio della persona amata, cui era dedicato il lancio”.
“Ripercorrere la storia del vino significa ripercorrere la storia dell’uomo – ha spiegato Catia Minghi – La produzione enologica etrusca era molto vasta, tanto che il surplus di vino veniva esportato e venduto ad altre popolazioni”. Catia Minghi ha illustrato le due tipologie di coltivazione della ‘vite maritata’, diffusa in Italia dagli Etruschi, spiegandone gli aspetti positivi e negativi: “Indubbiamente si tratta di una tecnica assai longeva, considerando che è rimasta in uso fino alla fine dell’Ottocento. – ha sottolineato – Tuttavia, pur considerando i vantaggi legati ad una vera e propria “consociazione produttiva” (vigneti del genere, oltre alle uve, fornivano infatti foraggio, legna da ardere e frutta), dal Novecento in poi questo tipo di viticoltura non fu più ritenuto sufficientemente produttivo”. Catia Minghi ha quindi ricordato i vini ancora oggi prodotti in Italia con tale tecnica: dal Rosatello di Assisi all’Asprinio di Aversa, senza dimenticare alcune varietà di Ischia e del Cilento. Catia Minghi ha, infine, descritto agli allievi la “Strada del vino e dei prodotti tipici delle terre etrusco-romane”, istituita proprio al fine di preservare e promuovere le infinite ricchezze enogastronomiche offerte dal territorio dell’antica Etruria.

Cesare Pennacchia, Sommelier della F.I.S.A.R. Viterbo e studente laureando dell’Università della Tuscia, ha quindi spiegato i possibili percorsi formativi da intraprendere dopo il diploma, illustrando sia il piano di studi del Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia, sia i compiti e le funzioni del sommelier. Cesare Pennacchia ha invitato gli allievi ad affrontare lo studio con passione, sottolineando l’importanza e la bellezza della professione dell’enologo, esperto conoscitore, ma anche insostituibile divulgatore della cultura e della storia dei territori. “Mi piace salutarvi con una frase di Salvador Dalì che ritengo particolarmente efficace per sintetizzare il senso più profondo della nostra attività. – ha concluso Cesare Pennacchia – “I veri intenditori, scriveva il celebre pittore spagnolo, innamorato dei significati esoterici e simbolici dell’enogastronomia, non bevono vino. Degustano segreti”.

E anche mercoledì 10 maggio (come era avvenuto per il seminario di apertura del Progetto, alla fine di aprile) le due fasi del seminario sono state inframmezzate da una colazione ‘all’etrusca’, preparata per i relatori nelle cucine dell’Istituto Alberghiero, grazie alla collaborazione dell’Assistente di Laboratorio Elisabetta Manuelli, aiutata da Mascia Mastroianni. Questo il menù del meeting – break: focaccia integrale con fichi secchi e rosmarino, tortine al farro, croccantini di noci e miele su foglie di alloro, frittelle di pane con uva passa, tartine con ricotta, composta di pere al timo, crema di ricotta con more e briciole di frolla all’olio extra-vergine di oliva.

Il servizio di Sala è stato curato dal Prof. Bruno Mazzeo, quello di Ricevimento dalla Prof.ssa Giovanna Albanese.

Ultimi articoli