8 Maggio, 2024
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La prevenzione del suicidio: una sfida per i nostri giorni

I dati forniti dall’Istituto Superiore di Sanità indicano che Italia su circa 4.000 persone morte per suicidio in Italia nel 2002, ben 3.000 erano uomini. Analizzando le tre macroaree del nostro paese, Nord, Centro e Sud-Isole si evidenzia chiaramente un gradiente Nord-Sud, tanto per gli uomini quanto per le donne, con livelli di mortalità per suicidio più alti al Nord. Livelli particolarmente elevati di mortalità per suicidio si osservano nelle province del Nord Est, e quelle dell’arco alpino. Nel centro Italia tutte le province del Lazio e l’Aquila hanno tassi di suicidio significativamente più bassi della media nazionale. La Sardegna con tutte le sue province, rappresenta una nota dissonante nel contesto dell’area sud-insulare e in particolare  i suicidi fra gli uomini raggiungono livelli di oltre il 75% più elevati della media nazionale,  sono fra i più alti in Italia superando anche quelli che si registrano in molte province del Nord Est. Le ragioni del gradiente Nord-Sud potrebbero trovare una spiegazione nelle differenze sociali e culturali del nostro Paese.

Allo stato attuale, il suicidio è un problema grave nell’ambito della salute pubblica. L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima un peggioramento del fenomeno suicidario dall’attuale milione di morti per suicidio potrebbe raggiungere un milione e mezzo nel 2020. E’ la tragedia umana che ogni anno si consuma superando le morti per attentati terroristici, conflitti bellici e calamità naturali messe insieme. Il suicidio e’ il risultato di una complessa interazione di fattori psicologici, biologici e sociali. Il suicidio non emerge mai dal piacere (sebbene vi siano delle eccezioni del tutto particolari), piuttosto e’ sempre legato a dispiaceri, vergogna, umiliazione, paura, terrore, sconfitte ed ansia; sono questi gli elementi del dolore mentale che conducono ad uno “stato perturbato”. Si tratta di uno stato della mente in cui il soggetto perde gli abituali punti di riferimento. Si sente angosciato, frustrato, senza aspettative nel il futuro e inaiutabile. Questa miscela di emozioni diviene “esplosiva” quando l’individuo si rende conto che per risolvere tale sofferenza estrema, il suicidio è la migliore soluzione. Nella trattazione del suicidio la parola chiave non e’ ‘morte’ ma ‘vita’ dal momento che questi individui sono fortemente ambivalenti circa la loro scelta; piuttosto vogliono vivere ma senza il loro dolore mentale insopportabile. Sebbene i contributi nella ricerca sul suicidio siano sempre più numerosi, solo una minoranza apporta indicazioni pratiche e facilmente assimilabili. La suicidiologia è la scienza dedicata alla prevenzione e allo studio scientifico del suicidio. Il termine è attualmente impiegato per riferirsi allo studio del fenomeno suicidario ma andrebbe riservato agli interventi volti a salvare la vita degli individui a rischio. Tale disciplina è nata e si è sviluppata a Los Angeles grazie all’opera pionieristica di Edwin Shneidman.

Il suicidio e’ uno dei tabù più radicati nella nostra società. Parlare dell’argomento suscita riluttanza ed evitamento e persino dagli operatori della salute il tema é in gran parte misconosciuto. I dati della letteratura riportano che frequentemente i soggetti che hanno commesso il suicidio nei mesi e settimane precedenti la morte si sono recati da un operatore della salute, in primo luogo un medico di base. Secondo recenti studi, il 45% delle persone decedute per suicidio aveva avuto un contatto con la medicina di base nel mese precedente il suicidio. Altri studi indicano che tra il 25% e il 75%, dei pazienti che commettono il suicidio hanno un contatto con la medicina di base nel lasso di tempo da 30 a 90 giorni. Puntualmente però sia i medici di base che gli altri operatori della salute falliscono nel riconoscere il rischio di suicidio omettendo di chiedere al soggetto se abbia mai pensato al suicidio.

Spesso il comportamento suicidario si associa ad una crisi, soprattutto in situazioni di stress straordinario di limitata durata. In questo contesto, gli individui considerano il suicidio con grande ambivalenza psicologica. Infatti,  il desiderio di morire e quello di essere salvati sussistono allo stesso livello. Persino nella crisi gli individui conservano il bisogno di esprimersi e di comunicare con gli altri, smentendo la nozione che il suicidio avviene improvvisamente, inevitabilmente e senza alcun avviso come dimostrato dalla letteratura. Se si osservano retrospettivamente i dati dei soggetti suicidi si osserva che la sofferenza mentale prolungata, l’ambivalenza nei confronti del suicidio, fantasie di vendetta, di essere salvati e di rinascita sono state presenti per un lungo periodo di tempo. Il tentativo di porre fine alla sofferenza è caratterizzato da manovre maladattative fallimentari che poi riconducono il soggetto all’idea del suicidio. Il soggetto emette dei segnali inerenti la sua preoccupazione coinvolgendo le persone che lo circondano attraverso parole e azioni, concentrando nelle sue comunicazioni il “Cry for Help” ossia la richiesta di aiuto.

Nel corso di una vita trascorsa a studiare il suicidio, Shneidman ha concluso che l‘ingrediente base del suicidio è il dolore mentale, egli chiama questo dolore insopportabile psychache, che significa “tormento nella psiche”. Shneidman suggerisce che le domande chiave che possono essere rivolte ad una persona che vuol commettere il suicidio sono “Dove senti dolore?” e “Come posso aiutarti?”. Se il ruolo del suicidio è quello di porre fine ad un insopportabile dolore mentale, allora lo scopo è alleviare questo dolore. Se infatti si ha successo in questo compito, quell’individuo che voleva morire sceglierà di vivere.

Shneidman inoltre considera che le fonti principali di dolore psicologico (vergogna, colpa, rabbia, solitudine, disperazione) hanno origine nei bisogni psicologici frustrati e negati. Nell’individuo suicida è la frustrazione di questi bisogni e il dolore che da essa deriva, ad essere considerata una condizione insopportabile per la quale il suicidio sembra il rimedio più adeguato. Ci sono bisogni psicologici con i quali l’individuo vive e che definiscono la sua personalità e bisogni psicologici che quando sono frustrati inducono l’individuo a scegliere di morire. Potremmo dire che si tratta della frustrazione di bisogni vitali; questi bisogni psicologici includono il bisogno di raggiungere qualche obiettivo come  affiliarsi ad un amico o ad un gruppo di persone, essere autonomi, opporsi a qualcosa, imporsi, il bisogno di essere accettati e compresi e il conforto. Shneidman ha proposto la seguente definizione del suicidio: “Attualmente nel mondo occidentale, il suicidio è un atto conscio di auto-annientamento, meglio definibile come uno stato di malessere multidimesionale in un individuo bisognoso che è alle prese con un problema  percepisce il suicidio come la migliore soluzione“. Shneidman ha inoltre  suggerito che il suicidio è meglio comprensibile se considerato non come un movimento verso la morte ma come un movimento di allontanamento da qualcosa che è sempre lo stesso: emozioni intollerabili, dolore insopportabile o angoscia inaccettabile, in una parola psychache. Se dunque si riesce a ridurre, ad intaccare e a rendere più accettabile il dolore psicologico quel soggetto sceglierà di vivere.

Nella concettualizzazione di Shneidman il suicidio è il risultato di un dialogo interiore; la mente passa in rassegna tutte le opzioni. Quando emerge l’idea del suicidio la mente lo rifiuta e continua la verifica delle opzioni. Trova il suicidio, lo rifiuta di nuovo; alla fine la mente accetta il suicidio come soluzione, lo pianifica, lo identifica come l’unica risposta, l’unica opzione disponibile.

L’individuo sperimenta uno stato di costrizione psicologica, una visione tunnel, un restringimento delle opzioni normalmente disponibili. Emerge il pensiero dicotomico, ossia il restringimento del range delle opzioni a due sole (veramente poche per un range): avere una soluzione specifica o totale (quasi magica) oppure la fine (suicidio). Il suicidio è meglio comprensibile non come desiderio di morte, ma come ]cessazione del flusso di idee, ovvero la completa cessazione del proprio stato di coscienza e dunque la risoluzione del dolore psicologico insopportabile. Noi ci proponiamo di rendere più tollerabile tale dolore mentale.

Il medico o colui che deve confrontarsi con soggetto a rischio ha la naturale paura favorire idee di suicidio durante l’indagine sul tema. Tuttavia non esiste alcuna prova che sostenga tale timore; il suicidio e’ un atto serio e cosciente che necessita molto di piu’ di un singolo colloquio per essere agito. Parlarne con onestà e franchezza, senza timori aiuta notevolmente coloro che lo hanno meditato. Per prevenire efficacemente il suicidio e’ necessario che l’operatore conosca bene il proprio impatto con il tema, interrogandosi con domande simili:

  • Ritengo che il suicidio sia un segno di debolezza di cui la gente dovrebbe vergognarsi?
  • Ritengo il suicidio come immorale o peccaminoso?
  • Penso che il tema de suicidio sia un tabù?
  • Penso che il suicidio sia il risultato della follia?
  • Reagisco eccessivamente con ricoveri e precauzioni di ogni genere in presenza di un’ideazione suicidaria?

Il paziente può cogliere il giudizio del terapeuta dal tono della voce o dal linguaggio corporeo. Se il terapeuta nutre delle attitudini di condanna nei confronti del suicidio sostenendo i miti e non i fatti sul suicidio probabilmente fallirà nel suo compito. Il medico deve poter comunicare al paziente che si può parlare di suicidio e che la trattazione del tema avviene su un terreno sicuro. Se al contrario, il medico evita di chiedere e si affretta a chiedere con modalità non appropriate otterrà dal paziente solo la chiusura. Spesso indagare il rischio di suicidio implica il dover passare maggiore tempo con il paziente; confrontarsi con il paziente e i familiari per provvedimenti coatti; rischiare possibili confronti medico-legali. In altre parole: maggiore impegno, maggiori problemi, maggiori preoccupazioni; questi sono solo alcuni motivi per i quali l’indagine sul rischio di suicidio e’ evitata nella pratica clinica.

Ci sono delle semplici regole che è importante seguire nel comunicare con gli individui a rischio di suicidio:

Come comunicare

  • Ascoltare attentamente, con calma
  • Comprendere i sentimenti dell’altro con empatia
  • Esprimere rispetto per le opinioni e i valori della persona in crisi
  • Parlare onestamente e con semplicità
  • Esprimere la propria preoccupazione, accudimento e solidarietà
  • Concentrarsi sui sentimenti della persona in crisi

Come non comunicare

  • Interrompere troppo spesso
  • Esprimere il proprio disagio
  • Dare l’impressione di essere occupato e frettoloso
  • Dare ordini
  • Fare affermazioni intrusive o poco chiare
  • Fare troppe domande

L’American Association of Suicidology ha coniato l’acronimo “IS PATH WARM?” (letteralmente “Il sentiero è caldo?” per veicolare efficacemente i segnali di allarme per il suicidio

IS PATH WARM?

  • I              Ideation — threatened or communicated (ideazione suicidaria, minaccianta o comunicata)
  • S             Substance Abuse — excessive or increased (abuso di sostanze – aumentato o eccessivo)
  • P             Purposeless — no reasons for living; anhedonia (mancanza di un fine nessuna ragione per vivere, anedonia)
  • A            Anxiety, Agitation/Insomnia (ansia, agitazioneinsonnia)
  • T             Trapped — feeling no way out; perceived   burdensomeness (sentirsi in trappola, nessuna via di uscita, sentirsi di peso per se e gli altri
  • H            Hopelessness (disperazione)
  • W           Withdrawal — from friends, family, society (ritiro, dagli amici, dalla famiglia, dagli altri)
  • A            Anger (uncontrolled)/rage/seeking revenge (rabbia, aggressività, cercare vendetta)
  • R             Recklessness — risky acts. unthinking (comportamenti ad altro rischio, non curarsi di se)
  • M           Mood changes (dramatic) (rapidi cambiamenti dell’umore)

Domande utili

  • Ti senti triste?
  • Senti che nessuno si prende cura di te?
  • Pensi che non valga la pena di vivere?
  • Pensi che vorresti suicidarti?

Indagine sulla pianificazione del suicidio

  • Ti è capitato di fare piani per porre fine alla tua vita?
  • Hai un idea di come farlo?

Indagine su possibili metodi di suicidio

  • Possiedi farmaci, armi da fuoco o altri mezzi per commettere il suicidio?
  • Sono facilmente accessibili e disponibili?

Indagine su un preciso lasso di tempo

  • Hai deciso quando vuoi porre fine alla tua vita?
  • Quando hai intenzione di farlo?

Fattori di rischio per il suicidio

Fattori di rischio biopsicosociali

  • Disturbi mentali, in particolare disturbi dell’umore, schizofrenia, ansia grave e alcuni disturbi di personalità
  • Alcol ed altri disturbi da abuso di sostanze
  • Hopelessness
  • Tendenze impulsive e/o aggressive
  • Storia di trauma ed abusi
  • Alcune patologie mediche gravi
  • Precedenti tentativi di suicidio
  • Storia familiare di suicidio

Fattori di rischio ambientali

  • Perdita di lavoro o perdita finanziaria
  • Perdite relazionali o sociali
  • Facile accesso ad armi letali
  • Eventi locali di suicidio che possono indurre fenomeni di emulazione

Fattori di rischio socioculturali

  • Mancanza di sostegno sociale e senso di isolamento
  • Stigma associato a necessità di aiuto
  • Ostacoli nell’accedere alle cure mediche, soprattutto relative alla salute mentale e all’abuso di sostanze
  • Credenze culturali e religiose (ad esempio credere che il suicidio sia una soluzione a dubbi personali)
  • Esposizione ad atti di suicidio, come attraverso i mass media

Raccomandazioni finali

  • Identificare i vari fattori che contribuiscono alla crisi suicidaria;
  • Condurre una valutazione “psichiatrica” completa, identificando fattori di rischio e fattori di protezione distinguendo quelli modificabili da quelli non modificabili;
  • Chiedere direttamente sul suicidio;
  • Determinare il livello di rischio: basso, medio, alto;
  • Determinare il luogo e il piano terapeutico;
  • Indagare l’ideazione suicidaria presente e passata così pure intenti, gesti o comportamenti suicidari; indagare sui metodi usati; determinare il livello di hopelessness, anedonia, sintomi ansiosi, motivi per vivere, abuso di sostanze, ideazione omicida.

Oltre ad offrire sostegno per gli individui in crisi e per coloro che hanno perso un caro per suicidio, un centro di prevenzione deve poter agire da catalizzatore di risorse promuovendo consapevolezza e responsabilità nella comunità. Far conoscere i luoghi a cui gli individui possono chiedere aiuto è un primo target ma si rende necessario anche provvedere a campagne divulgative che permettano a quanti più individui possibili di apprendere i principi basilare per riconoscere gli individui in crisi. Non vi deve essere reticenza nell’appoggiare programmi divulgativi e di raccolta fondi a sostegno della ricerca e delle continuità dei servizi dedicati alla prevenzione.

Sono questi i principi ispiratori del SERVIZIO PER LA PREVENZIONE DEL SUICIDIO avente sede in Roma, presso la U.O.C. di Psichiatria dell’Azienda Ospedaliera Sant’Andrea – Cattedra di Psichiatria, Facoltà di Medicina e Psicologia,  Sapienza Università di Roma.   Questo servizio è attualmente il più importante riferimento in Italia e nel mondo per la prevenzione del suicidio e per il disagio mentale.

Le attività del Servizio, coordinato dal Prof. Maurizio Pompili – Ricercatore universitario della facoltà di Medicina e Psicologia –  vengono portate avanti grazie allo sforzo di un team instancabile composto da medici, psicologi, volontari, tirocinanti, frequentatori scientifici e specializzandi che  quotidianamente si dividono tra la pratica clinica e attività collaterali.

Le storie, le vicende e vicissitudini degli utenti rappresentano una sfida per gli operatori, oltre a costituire il tessuto sul quale improntare l’ esperienza professionale e personale.

Conclusioni

La prevenzione del suicidio è un compito che riguarda tutti. Chiedere se il un individuo ha pensato al suicidio non è mai rischioso anzi rappresenta la principale arma di prevenzione. Particolare enfasi dovrebbe essere posta sulla formazione, specialmente duranti gli anni che conducono al conseguimento della laurea. Avere professionisti capaci di trattare il rischio di suicidio con serenità e destrezza rappresenta uno dei grandi traguardi della medicina. (www.prevenireilsuicidio.it – 06.33777740).

Dott. Maurizio Pompili

Maurizio Pompili, medico psichiatra e suicidologo, è Ricercatore Universitario e docente presso i corsi di laurea e specializzazione della II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Sapienza Università di Roma. E’ affiliato al McLean Hospital – Harvard Medical School, Boston, USA. E’ autore di oltre 300 pubblicazioni sul suicidio
compresi dieci libri internazionali. E’ il referente per l’Italia dell’International Association for Suicide Prevention (IASP) e il Presidente dei Rappresentanti Nazionali IASP. E’ stato insignito nel 2008 con lo Shneidman Award dall’American Association of Suicidology per i contributi di alto valore resi alla ricerca sul suicidio.

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