13 Novembre, 2024
spot_imgspot_img

Si può essere felici senza obiettivi?

Si può essere felici solo perseguendo obiettivi o esistono altre forme di felicità possibili?

Se facessimo parlare l’inconscio culturale odierno la risposta sarebbe scontata: non può esserci felicità senza obiettivi!

Ma questa prospettiva è il frutto di una forma mentis che vive nel tessuto culturale dell’era del turbo capitalismo, dove il tempo è denaro e vali se, e solo se, produci e realizzi.

La domanda a questo punto sorge spontanea: siamo sicuri che sia questa la strada giusta? Ciò che stiamo contribuendo a realizzare collettivamente come idea di felicità, ci sta portando alla vera felicità?

I dati oggettivi sulla salute psicofisica di chi realizza tanti risultati ci fanno intuire tutt’altro, il tema vale la pena di essere trattato.

Partiamo dal principio: essendo un argomento che interessa l’essere umano, iniziamo ad esplorarlo con qualche considerazione su ciò che caratterizza la nostra specie.

La natura umana è strutturata in maniera da rendere ogni progetto un progetto di relazione. Nasciamo da un rapporto, per crescere bene abbiamo bisogno di rapporti con qualificazioni specifiche e anche in età adulta qualunque progetto perseguito nella sua essenza è necessariamente un progetto di relazione.

L’altro, reale o immaginato, è sempre presente e il nostro progettare lo allontana o lo avvicina, lo attacca o lo seduce. La trama del nostro essere è necessariamente relazionale.

Allora come la mettiamo con la felicità? Può esistere una felicità senza la maturazione di una condizione esistenziale in cui viviamo buoni rapporti con gli altri? Non credo sia possibile.

Quindi il progettare, il performare, il perseguire obiettivi va benissimo ma a patto che queste azioni includano il desiderio di realizzare un contesto in cui ci sia affetto reciproco, all’interno di rapporti emotivamente autentici.

Tutto questo basta? No. Tutto questo è necessario, ma non sufficiente a realizzare una condizione di piena felicità.

Vediamo perché partendo dal termine: esso deriva dal latino felicitas, che può essere ricondotto all’aggettivo felix, fertile, e lascia intendere che si debba realizzare una condizione di generatività, di piena creatività, per essere veramente felici.

Ma generatività di cosa? Essendo esseri corporei, incarnati, innanzitutto una rigogliosità della nostra condizione di salute psicofisica. Abbiamo necessità di mettere l’accento sul come perseguiamo lo stato di felicità che stiamo immaginando.

Eh già, senza il focus sul come, sul modo di procedere non ne usciamo. Senza un tendere virtuoso essa non è conseguibile.

Perché? La risposta è semplice, la nostra vita è caratterizzata molto più da processi che da eventi. L’errore che stiamo compiendo è di natura linguistica. Stiamo tentando di comprendere il tema ma il modo che abbiamo di nominarlo non ci sta permettendo di focalizzarlo correttamente.

Meraviglie del linguaggio! Se non definiamo correttamente in senso linguistico ciò che cerchiamo facciamo fatica a trovarlo!

Quindi… come ne usciamo?

Dovremmo innanzitutto accorgerci che stiamo chiamando con un aggettivo, qualcosa che nella sua essenza è un verbo. Ma se la felicità è un tendere verso la felicità, dovremmo chiederci: quali aspetti la facilitano e quali la ostacolano?

Ed ecco il colpo di scena, una delle soluzioni è individuare le felicitazioni! Ovvero le condizioni che ci permettono di realizzare una vita sempre più felice.

Nella natura del processo troviamo indizi della natura della meta…

Ad esempio, la simpatia, è una felicitazione? È una condizione che porta alla felicità? E l’intelligenza? La generosità?

Ascoltate le vostre sensazioni… Dove vi conducono? I sensi aiutano a trovare il senso.

E il cinismo? L’egoismo?

Se la felicità è un processo ha senso ascoltare cosa ci stanno rimandando i nostri sensi, relativamente ai dinamismi che stiamo attuando. Il focus sul processo è molto più importante dell’attenzione sul risultato.

Ne è un bellissimo esempio l’arte, dove l’opera è un’istantanea, è un momento del procedere dell’artista, è una fotografia del suo fare arte. Allo stesso modo, la felicità percepita nel momento presente è un’istantanea, un momento del nostro procedere verso la meta.

In conclusione dovremmo chiederci: possiamo conoscere a che punto siamo da soli?

Essendo saturi di inconscio, non è nel nostro potere conoscere fino in fondo la risposta. Sarà l’altro ad aiutarvi a conoscervi e a comprendervi meglio.

L’inconscio si manifesta nell’incontro con l’altro, in particolare nel rapporto a due.

Forse, le risposte più profonde sulla felicità, possiamo trovarle solo nella profondità dello sguardo di chi abbiamo di fronte.

Stefano Albano
Psicologo – Psicoterapeuta – Mental Trainer degli atleti Olimpionici
Cell: 380.53.17.855
Sito web: www.StefanoAlbano.it

Ultimi articoli