30 Aprile, 2024
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I buoni motivi per un voto europeo consapevole

L’Occidente sta attraversando, tra le tante altre, una crisi grave della democrazia. Lo dimostra il drammatico e  progressivo calo della partecipazione al voto, si tratti di elezioni europee, nazionali o locali: segno, questo, della crescente sfiducia dei cittadini nei confronti delle istituzioni “democraticamente elette”. Evidentemente questa espressione oramai da molti viene intesa più come uno slogan che altro, e non del tutto a torto: per rimanere nel nostro continente, le istituzioni europee sono assediate da potentissime lobby (il numero di lobbisti a Bruxelles è passato, in una manciata d’anni, da qualche migliaio ad alcune decine di migliaia); in Italia quelle nazionali sono il risultato di una legge elettorale che impedisce al cittadino di scegliere liberamente chi mandare in parlamento; quelle regionali e locali sono spesso percepite preda di “cacicchi” e “capibastone”.

A tutto questo, però, bisogna aggiungere un importante corollario: se non si cambiano le cose, e in maniera radicale, si andrà a sbattere. Dobbiamo essere consapevoli che ci troviamo in una situazione unica nella storia dell’umanità, nella quale non è in gioco la sorte di questo o quel gruppo, questa o quella regione, questa o quella nazione: i cambiamenti climatici con annessi fenomeni migratori, le turbolenze geopolitiche con annesse guerre e stermini, i processi economici e finanziari di stampo neoliberale che creano povertà crescente ci riguardano tutti indistintamente (senza contare le pandemie). Con l’aggravante che c’è qualcuno – come i pochi super ricchi del pianeta – che pensa che tanto lui la farà franca qualunque cosa accada; o qualcun altro che gioca ad “alzare la posta”, come Putin che si sente investito della funzione messianica di ricreare la Russia imperiale e, consapevole che il tempo che gli resta stringe, accelera le sue strategie di aggressione accettando rischi crescenti; o come il leader nordcoreano Kim Jong-un, che continua con i test missilistici e le esercitazioni militari, e invita i giovani soldati a “essere preparati per una guerra ora più che mai” (https://www.liberoquotidiano.it/video/libero-video/39008153/nord-corea-kim-jong-un-giovani-soldati-preparatevi-guerra.html); o come il premier di Israele Benjamin Netanyahu, che gioca con la vita di decine di migliaia di palestinesi e con l’angoscia dei suoi concittadini per gli ostaggi in mano ad Hamas, anche al fine di ritardare il più possibile la resa dei conti col suo popolo, e non si perita di incendiare l’intero Medio Oriente alzando il livello dello scontro con l’Iran. Mi fermo qui, ma potrei continuare a lungo con questo pot pourri. Ricordo solo, in aggiunta, la “pragmatica” ipocrisia dell’Occidente con i suoi doppi standard per cui – al di là della contrapposizione con grandi player mondiali quali Cina, Russia e Iran –  ci sono satrapi più o meno piccoli “buoni” come in Turchia, Egitto, Arabia Saudita, a cui l’Occidente si appoggia, e “cattivi” come nella già  menzionata Corea del Nord e in Siria; per non parlare dell’Unione Europea in cui ai proclami di tolleranza e inclusione fanno da contrappeso politiche scellerate sulla migrazione: tutto questo non fa certo bene alla nostra credibilità; infine, visto che mi trovo, non posso non menzionare le imminenti elezioni presidenziali negli USA, icasticamente dipinte da Federico Rampini: “Ci avviamo verso uno scontro tra due vegliardi. La scelta è tra un deficiente e un delinquente”.

Insomma non stiamo per niente messi bene, eppure a fronte di questo quadro, non certo rassicurante, pensare che sia inutile votare perché “tanto non cambia niente” equivale ad accettare che le cose non solo rimangano come sono, ma vadano sempre peggio, fino a un possibile, drammatico, punto di non ritorno. L’attuale modello socio-economico e geopolitico mira a frammentarci sempre più, il profitto e il predominio sono le uniche cose che contano, a scapito delle persone e del pianeta tutto. A fronte di questa enorme spinta, che sembra sopraffarci, è necessario mettere in atto una controspinta: l’opzione più razionale è utilizzare tutti gli spazi di libertà e di scelta che ancora ci restano, ed il voto è un ambito essenziale; questo vale soprattutto per i più giovani, la cui disaffezione, spesso giustificata, verso riti istituzionali di cui colgono ipocrisie e condizionamenti, deve accompagnarsi alla consapevolezza che il voto – pur con tutte le distorsioni – è uno dei pochi spazi di libertà cui non si può rinunciare, pena la resa incondizionata allo status quo, se non peggio. Quanto alle imminenti elezioni europee è bene essere consapevoli che, piaccia o non piaccia, “il Parlamento europeo adotta leggi che riguardano tutti: grandi paesi e piccole comunità, società potenti e giovani start-up, la sfera globale e quella locale. La legislazione dell’UE affronta la maggior parte delle priorità delle persone: l’ambiente, la sicurezza, la migrazione, le politiche sociali, i diritti dei consumatori, l’economia, lo Stato di diritto e molte altre ancora. Oggi ogni tema di spicco a livello nazionale presenta anche una prospettiva europea” (https://elections.europa.eu/it/why-vote/). La politica italiana troppo spesso, e per troppo tempo, ha mostrato di trascurare ciò, considerando le elezioni europee “di serie B”, e il Paese paga un conto salato per questo errore madornale. È tempo di cambiare rotta anche su questo. In Italia è possibile esprimere, nell’ambito della medesima lista, da una a tre preferenze, e dunque è fondamentale sapere chi si candida, per cosa si candida, e cosa ha già fatto di buono al di là delle belle chiacchiere; consapevoli che la democrazia e le istituzioni camminano sulle gambe delle persone, e che troppo spesso, purtroppo, a narrazioni diverse corrispondono comportamenti simili, per cui è necessario esercitare tutto il discernimento di cui si dispone (cfr. per es. https://altreconomia.it/la-prospettiva-del-suolo-per-scegliere-i-candidati-alle-elezioni-europee/): i detti evangelici  “Dicono e non fanno” (Mt 23,3) e “Dai loro frutti li riconoscerete” (Mt 7,16) sono di un’attualità straripante.

Non bisogna desistere dal coltivare la speranza, mai cedere alla rassegnazione, consapevoli, come afferma Edgar Morin, che l’inatteso spesso accade. Come mostra il recente pronunciamento della Corte europea dei diritti dell’uomo contro la Svizzera per l’inerzia del Paese di fronte al cambiamento climatico. La sentenza è un precedente cruciale; così come rilevante è il fatto che la Corte di Strasburgo abbia rigettato la denuncia fatta da sei giovani portoghesi a 32 Stati per non aver rispettato gli impegni assunti nel quadro dell’accordo di Parigi sul clima del 2015, volti a limitare l’aumento delle temperature del pianeta; e questo non perché l’accusa non sia fondata, ma perché non erano state utilizzate tutte le vie giudiziarie e amministrative disponibili per presentare le denunce, prima di adire alla Corte Europea. L’importanza di tutto ciò è enorme, in quanto significa che chi subisce danni a causa dei cambiamenti climatici può portare i propri governanti in tribunale. È triste, perché questo certifica il fallimento della politica, a livello locale, statale e globale. Ma a questo punto è indispensabile utilizzare tutti gli strumenti disponibili “dal basso” per cambiare lo status quo in cui siamo impantanati. E non solo in campo ambientale.
Mario Carmelo Cirillo

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