28 Aprile, 2024
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Anac, Autostrade ha investito solo 33 mila euro all’anno per la sicurezza del ponte Morandi

Poco più di 33 mila euro l’anno.

Questa è la somma investita da Autostrade per garantire la sicurezza strutturale del Ponte Morandi: tra il 2005 e il momento del crollo, la spesa complessiva è stata di 440 mila euro. Lo scrive nero su bianco l’Autorità Nazionale Anti-Corruzione in un dettagliato j’accuse sulla gestione delle infrastrutture stradali, presentato dal presidente Francesco Merloni alla Commissione lavori pubblici del Senato.

La cifra appare irrisoria e scandalosa, perché i problemi del viadotto erano noti a tutti dopo “l’accertamento, già negli anni ’90, di un evidente stato di ammaloramento della struttura. Infatti, a fronte di un forte stato di degrado, gli interventi di tipo strutturale sono stati effettuati solo fino al 1994, quindi, da parte del precedente concessionario, Iri”.

Dopo il passaggio ai privati, invece le iniziative per impedire il crollo si rarefanno:

oltre otto milioni per rimettere a posto il manto d’asfalto e meno, molto meno, di mezzo milione complessivo per impedire il disastro. Autostrade aveva presentato un piano di interventi per la tratta dove si trovava il Morandi, ma soltanto il 27 per cento dei lavori programmati è stato realizzato.

La società si è difesa, contestando la lentezza della burocrazia pubblica nell’approvare i piani di restauro del viadotto. E in effetti  – riconosce l’Anac  – “si tratta di tempi eccessivamente dilatati e comunque di certo non compatibili con l’urgenza” di agire sull’opera malata.Tutto quello che riguarda le autostrade però è coperto da un muro di segretezza.

Per ottenere queste informazioni, l’Anac ha dovuto lottare.

“Abbiamo avuto una interlocuzione molto faticosa  – ha dichiarato il presidente Merloni -. Questo è un problema: non siamo abituati come Autorità ad avere questo tipo di resistenze dalle amministrazioni. In vicende di questo genere la tempestività dello scambio di informazioni è essenziale. E quindi dobbiamo segnalare come criticità il fatto che anche in un’occasione così drammatica, non ci sia stata quella collaborazione piena da parte della società”.

L’Anticorruzione parla di un’abitudine a occultare i dati:

“È dunque evidente che Autostrade per l’Italia S.p.A. ha mostrato, in generale, una scarsa o nulla propensione alla condivisione di informazioni con soggetti deputati al controllo o, comunque, a garantire un presidio di trasparenza nell’interesse ed a tutela di tutta la collettività”.

La società contesta queste conclusioni: “Sono valutazioni superficiali basate su dati errati”. La relazione e le dichiarazioni dell’Anticorruzione invece vanno oltre e affrontano il cuore del problema. “Le concessioni autostradali sono una sorta di oligopolio”, dice Merloni e nelle sue parole si materializza il potere dei “signori dell’asfalto”, in grado di dominare il mercato delle strade e imporre il loro volere allo Stato.

Lo hanno fatto prima della strage del Ponte Morandi e hanno continuato a farlo anche dopo quella tragedia, riuscendo a inserire persino nel provvedimento Sblocca-cantieri del primo governo Conte delle regole a loro vantaggio. Un sistema che riesce a superare tutto perché  – spiega l’Autorità anticorruzione  – “c’è uno scarso numero di concessionari”.

E aggiunge: “Molte sono le concessioni scadute, molte le proroghe e pochi i controlli delle amministrazioni”. Se qualcuno avesse controllato, avrebbe scoperto che i concessionari non rispettavano mai gli impegni sottoscritti per investire in manutenzione. E a fronte di guadagni colossali, spendevano poco o nulla per mantenere in efficienza le opere di proprietà pubblica.

Per 7.317 tra viadotti, gallerie, ponti  – sottolinea l’Anac – i gestori hanno speso solo il 2,2 per cento degli investimenti complessivi.

E adesso non si capisce neppure chi e come debba fare i monitoraggi. Da dicembre 2018 infatti è scaduto il termine per le verifiche sulle “infrastrutture di interesse strategico” e nulla è stato fatto per introdurre nuovi controlli. Come se la lezione del Morandi non fosse servita a nulla.

L’Autorità ha proposto delle regole di buon senso: “Controlli a campione tesi ad accertare che vengano effettivamente compiuti gli interventi necessari per la messa in sicurezza delle opere; l’aggiornamento di tali verifiche con una frequenza prestabilita; la necessità di inserire un obbligo di intervenire tempestivamente, ove necessario, per riportare in sicurezza le opere medesime, in modo tale da implementare un costante meccanismo di monitoraggio degli interventi effettivamente realizzati”.

Sono proposte di un anno fa, rimaste lettera morta. Come erano rimaste senza risposta le osservazioni scritte prima del dramma di Genova dall’allora presidente Raffaele Cantone che aveva evidenziato tutte le anomalie dell’oligopolio autostradale, dal calcolo dei pedaggi alla scarsità degli investimenti per modernizzare le strade. Tutto inutile contro il muro d’asfalto.

Un esempio più recente? Già nel 2016 si era deciso che le concessioni scadute venissero assegnate in base a nuove gare. Ma nel 2019, con il Morandi già sbriciolato, la legge “Sblocca-Cantieri” del governo M5S-Lega ha concesso altri 36 mesi di proroga. Fregandosene della concorrenza e della trasparenza. Sembra che i concessionari vincano sempre, creando un’equazione tra sprechi pubblici e arricchimenti privati.

Una tradizione antica che prosegue nei cantieri del presente, persino nel profondo Nord. L’Anac esamina il caso della Pedemontana Veneta. La fine dei lavori è slittata di parecchi mesi ma non è stata prevista una riduzione della durata dello sfruttamento: i rischi sono tutti a carico della committenza pubblica.

Oppure la Brebemi che unisce Milano e Brescia, ultima nata tra le arterie padane: il costo è passato da 866 a 2.087 milioni. Questo anche perché dopo la gara d’appalto il tracciato è stato completamente stravolto in due tratti. E alla fine, il conto arriva ai cittadini: per andare da Milano a Brescia sulla Brebemi  – scrive l’Anac  – bisogna pagare il doppio del pedaggio rispetto alla A4.

Il rapporto pubblico-privato va riequilibrato.

O ci dovremo rassegnare a convivere con pessime strade e cantieri infiniti. Per questo l’Anticorruzione ha proposto alla Commissione del Senato due capisaldi. Anzitutto, imporre la trasparenza totale su quello che fanno i concessionari e su come rispettano gli obblighi dei contratti.

Quindi un insegnamento che nasce dalla pietosa condizione delle infrastrutture, che dal 2018 sono apparse nella loro drammaticità: garantire l’effettiva adozione e l’attuazione dei “Piani delle Manutenzioni”, affinché “non siano più documenti oscuri nella esclusiva disponibilità del gestore, ma divengano strumenti operativi atti ad esplicitare  – anche in maniera condivisa con il Ministero e gli altri soggetti deputati al controllo – il dettaglio degli interventi necessari e consentirne un reale monitoraggio, con successiva verifica di efficacia”.

Due raccomandazioni di cui dovrebbe tenere conto anche il governo, nel momento in cui sta varando una deregulation delle nuove opere determinante per il rilancio dell’economia dopo il Covid.

(La Repubblica)

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