11 Maggio, 2024
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La politica della differenza e il cattivo esempio di Jole Santelli

Tutto sommato ci va pure bene. Da un lato, in Michigan, manifestanti armati chiedono la fine del lockdown e, dall’altro, nella Repubblica delle Filippine, il presidente Duterte minaccia di far sparare a chi sfidi le restrizioni nazionali. Per ora, in Italia, nulla del genere.

Qui, da noi, invece, anche le tragedie sfumano in commedie, per quanto tristi e deprimenti. Ne abbiamo avuto un assaggio alla Camera e al Senato il 30 aprile. A tacer d’altro, a sinistra (si fa per dire), Matteo Renzi che si presenta ventriloquo di persone scomparse e, a destra (anche qui si fa per dire), Claudio Borghi che diventa lirico dei suicidi e delle strenne natalizie. Come se non si potesse, in questa emergenza, tutti insieme, essere un po’ più prosaici e moderati.

Eppure, almeno sondaggi alla mano, sembra sia la moderazione a essere premiata dai cittadini italiani, soprattutto in una situazione di crisi. Bene lo dimostra la crescita di Forza Italia e Giuseppe Conte. Bene lo dimostrano, a contrario, Lega e Matteo Salvini. Il problema politico di fondo, ora, chiaro a tutti, è la visibilità e credibilità che questo governo e questo presidente del consiglio – nella tragica dinamica contingente – stanno acquistando agli occhi degli italiani. Di fronte a ciò, ogni partito cerca di non perdere il potenziale elettorato e di attirare attenzione, nell’unico modo possibile. Distinguendosi.

È evidente a tutte le forze politiche che occorra distinguersi (criticare, proporre, esagerare, persino occupare), al fine di giustificare la propria esistenza, come partiti, con una specifica identità. Ecco, allora, che Tizio dice ‘chiudiamo’ e Caio replica ‘apriamo’ (o viceversa). Sempronio propone ‘cento’ e Calpurnio offre ‘mille’. Mai come oggi, nell’incertezza, i dettagli diventano dirimenti. È semplice. È banale. È così, nelle numerose varianti possibili. Così è la nostra politica, forse più di altre priva di un momento vero di accountability. La memoria è corta. E sempre complesso è il rendiconto finale delle decisioni politiche. Meglio puntare tutto sull’emozione.

In questo clima emotivo, nell’Età della pandemia, ciò che più colpisce del dibattito politico italiano è il rapporto tra locale e statale. Pare sempre che qualcosa non torni. Se lo Stato non interviene, l’ente locale si lamenta per l’assenza di aiuto. Se lo Stato pianifica, l’ente locale protesta per la mancanza di autonomia. In realtà, ciò che non gira è, soprattutto, la leale collaborazione istituzionale fra realtà rette da forze politiche differenti. Il caso di Lombardia e Calabria docet, con un tocco – è sembrato e sembra – di ignoranza della normativa vigente. Prima la Lombardia che non sa cosa possa fare (zone rosse, RSA, mascherine, ecc.). Poi la Calabria che troppo fa, non potendolo fare (confini, bar, ristoranti, ecc.).

Qualche deputato ha parlato di coraggio della presidente Santelli nell’assumersi le proprie responsabilità. Coraggio, sì, potrà pur essere, dell’irresponsabilità, però, contando (in modo poi davvero poco coraggioso) sull’improbabile volontà del governo, in simile frangente, di fare appello all’art. 120 o all’art. 126 della Costituzione della Repubblica italiana e sulle tempistiche della giustizia amministrativa. In effetti, è solo questione di tempo. Come ha detto ironicamente il pragmatico Vincenzo De Luca: «è tanto grande il sacrificio: aspettare due settimane».

In ogni caso, davvero grande il coraggio e la responsabilità di Jole Santelli nell’offrire un esempio che, se seguito da ogni presidente di Regione (e poi, a voler continuare, da ogni sindaco in disaccordo con la propria Regione), getterebbe nel caos la Repubblica italiana, in un momento già piuttosto caotico e incerto, all’interno di un labirinto di permessi e divieti regionali, di maggiore o minore importanza, che comunque si viene configurando.

Con la sensibilità consueta Sergio Mattarella, nel discorso per il 1° maggio, ha auspicato «un responsabile clima di leale collaborazione tra le istituzioni e nelle istituzioni». Non è questione, infatti, di giudicare la qualità delle scelte politiche (siano esse nazionali, regionali o locali), bensì di leale collaborazione istituzionale e alfabeto costituzionale. L’ultimo decreto del governo consente alle Regioni di prevedere solo misure più restrittive, nell’interesse nazionale. Occorre davvero una seconda ondata di contagi per capirlo? Eppure dovrebbe essere noto anche alla presidente Santelli. L’arroganza politica non genera vaccini contro la possibile disperazione.

(Huffington post)

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