28 Marzo, 2024
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“Casalandia”: un’alternativa ai centri estivi

Chiudono le scuole e inizia una lunga e interminabile estate per le famiglie. Spesso i genitori si organizzano in mille modi per “sistemare” i loro figli presso ludoteche, centri estivi o affidandoli a babysitter. Il conto alla rovescia è iniziato. Quest’anno siamo partiti da meno cento.
Andando in giro mi trovo circondata da molti volantini pubblicitari che propongono attività variegate. Alcuni centri sono specializzati in attività sportive. Poi ci sono gli english summer camp che offrono l’opportunità di imparare una lingua straniera con l’aiuto di tutor inglesi. Inoltre, vi sono i centri estivi che organizzano diverse attività ludiche organizzate, per cui si va dalla caccia al tesoro fra squadre, ai balli di gruppo, ai lavori manuali (pittura, pasta di sale, ecc.) e altro ancora. Per finire in bellezza, ne esistono alcuni che si svolgono all’interno di parchi gioco acquatici o parchi avventura, all’insegna del divertimento, oppure in oasi naturalistiche, con lo scopo di sensibilizzare i bambini verso temi ecologici. E l’elenco potrebbe continuare. Insomma, non c’è che l’imbarazzo della scelta!
Tuttavia vi sono alcuni problemi di vario ordine.
Prima di tutto i costi. Solitamente una settimana che va dal lunedì al venerdì costa mediamente 100 euro. Per una famiglia media, con due figli, questo non è un problema da poco, visto il lungo periodo di chiusura delle scuole. D’altronde non vi sono finanziamenti da parte dei Comuni o delle Regioni che permettano una riduzione dei costi a carico delle famiglie.
Il secondo problema riguarda la distanza del centro estivo da casa oppure dal luogo di lavoro. A volte i genitori vorrebbero scegliere un tipo di attività estiva o di struttura, a loro avviso, più adeguata per l’età e l’inclinazione dei figli, ma si trovano costretti a “ripiegare” su altre opzioni per via di un’eccessiva distanza. In questo modo il genitore per forza di cosa deve modificare le proprie aspettative o quelle del figlio. Pensiamo al bambino che non è proprio tagliato per lo sport e sarebbe più a suo agio nel praticare lavori manuali o giochi di società, o ancora leggere libri, che si ritrova “intrappolato” in un centro dove al mattino si nuota, poi si gioca a basket e al pomeriggio a tennis! Dubito possa essere un’esperienza gratificante. O il bambino che, al contrario, ha un forte bisogno di muoversi, che è molto agile e atletico, “confinato” in un centro che incoraggia la creatività manuale o le attività musicali. Infatti, non esistono campi estivi che racchiudano o integrino tutte le possibili alternative proposte presso diverse strutture. Come detto prima, ognuno è piuttosto specializzato per alcune attività a scapito di altre. Su questo punto ritornerò a discutere in seguito.
Il terzo problema riguarda gli scopi e gli obiettivi alla base delle attività proposte durante il periodo estivo. In altre parole, a cosa servono i centri estivi e qual è la loro reale funzione? Al riguardo, per quanto ne so, non esiste un’argomentazione approfondita e sistematica.
Come tutti ben sappiamo, il primo obiettivo è di tipo puramente pratico: permettere ai genitori di lavorare durante il lungo periodo di chiusura scolastica. Il secondo obiettivo è quello di permettere al bambino di continuare a socializzare, fare nuove esperienze, creare contesti per nuovi apprendimenti.
Si tratta ovviamente di due obiettivi fondamentali e irrinunciabili, ma che, da soli, non favoriscono uno spazio condiviso tra bambino e genitore come, ad esempio, succede a scuola attraverso incontri con gli insegnanti, i compiti da svolgere a casa, le recite scolastiche, le pagelle ecc. A scuola il genitore si fa un’idea di come il bambino è percepito dagli altri, delle attività che svolge. In altre parole, il genitore ha l’opportunità di seguire il percorso di crescita del figlio pur rimanendo separato da lui diverse ore al giorno.
Al contrario, durante il periodo estivo genitori e figli vivrebbero rari e/o casuali momenti di condivisione. Ciò accade, a mio avviso, perché implicitamente vi è la convinzione che le settimane trascorse presso qualche centro estivo siano da considerare come un periodo di attesa, una mera parentesi, una sorta di limbo dove collocare i bambini fino al momento della riapertura scolastica. Insomma, invece di considerare i centri estivi in una logica di continuità con la scuola, questi sono visti come un momento di frattura rispetto ad essa. Infatti, mentre quest’ultima rappresenta il pilastro dell’educazione, il luogo dove si forma la personalità, dove si studia seriamente, il centro estivo, all’insegna delle attività ludiche, ricreative e sportive, è visto, a mio avviso, come qualcosa di fittizio, senza particolari finalità educative, almeno non esplicite.
Come detto prima, infatti, spesso i centri estivi sono specializzati secondo le attività proposte. Non credo che questa specializzazione sia casuale. La mia idea è che da un lato essa risponde alla logica di mercato che, per massimizzare i profitti, tende a vendere le diverse attività separatamente piuttosto che offrire un pacchetto integrato. Si tratta semplicemente dell’inevitabile conseguenza di una politica di mercato cui si adeguano determinati modelli culturali e educativi per favorire la crescita dei capitali. Da un altro lato, inoltre, questa specializzazione delle attività porta avanti una concezione di bambino ben definita, o sarebbe meglio dire diverse definizioni, tante quanti sono i centri estivi. Così abbiamo il bambino “manuale”, oppure il bambino sportivo, il bambino “acquatico”, quello “ecologico”, il bambino “artistico”, quello “circense” o ancora il bambino “musicale”, ecc. Insomma, tante idee buone, se non eccellenti, la cui integrazione, tuttavia, e non la loro separazione, potrebbe fare la differenza nel trasformare i centri estivi, al pari della scuola, in un pilastro dell’educazione.
Chiaramente non è semplice integrare tante e variegate attività all’interno di un’unica struttura estiva che ospita numerosi bambini. E qui tocchiamo un altro fondamentale punto: i grandi numeri! Anche questa scelta rientra nella solita cultura di mercato di cui noi tutti siamo intrisi, compresa me medesima.
Tendiamo a pensare secondo l’equivalenza: più bambini più introiti, quindi aumento del capitale. Tuttavia il capitale non incrementa le risorse sul piano educativo. Anzi, è gioco forza che di fronte ai grandi numeri, determinati principi educativi, cui i centri estivi dovrebbero ispirarsi, rimangano “soffocati” da necessità pratiche e organizzative.
Quello che vorrei proporre in questa sede, invece, è la seguente idea: se vuoi fare le cose in grande, allora devi pensare in piccolo!
Come? E’ più semplice di quanto può sembrare. Forse qualcuno ricorderà le possibilità ludiche che offriva, un tempo, il cortile sotto casa? Di sicuro non era un ambiente attrezzato, né strutturato e non c’erano animatori. Insomma, non era concepito per fare le cose in grande! Eppure in poche ore i bambini, da soli, sfoderavano una varietà di giochi: corda, campana, elastici, hula hop, biglie, lancio figurine, cerbottana, mosca cieca, guardia e ladri, nascondino, regina reginella, ruba bandiera, palla avvelenata e molti altri ancora. Tutti questi giochi, nel loro piccolo, possiedono importanti caratteristiche: prima di tutto sono “universali”; per esempio la “campana” si è sviluppata in modo indipendente e allo stesso tempo in ogni luogo e contesto socio-culturale. Così, se per esempio un centro estivo ospita bambini di cui uno arabo, uno brasiliano, uno asiatico, uno giapponese, ecc., essi non hanno bisogno di parlare per giocare a campana. Iniziano a conoscersi a partire da ciò che hanno in comune, favorendo, così, l’incontro fra diverse identità culturali.
Inoltre, da sempre, il gioco della campana, come altri giochi di movimento, favoriscono, attraverso l’esercizio, l’evolversi di capacità motorie fondamentali per ogni “cucciolo d’uomo”, come l’equilibrio statico e dinamico, la coordinazione visuo-motoria, la percezione della distanza, ecc.
Posto in questi termini, pensare in piccolo, come il gioco della campana, permette di fare le cose in grande, di abbracciare orizzonti lontani.
Tanto più i giochi saranno semplici, tanto più facile sarà trasformarli attraverso la conoscenza e l’immaginazione. E’ la magia della semplice zucca trasformata in una meravigliosa carrozza e di topolini indifesi in maestosi cavalli.
In particolare, ciò che permette di fare le cose in grande, pensando in piccolo, non sono i giochi in sé o le attività proposte dagli educatori, bensì le conoscenze teoriche in merito allo sviluppo, alla crescita del bambino. Questa è la vera bacchetta magica che permette la metamorfosi.
Nessun gioco o attività può considerarsi “educativo” se pensato o proposto indipendentemente da un esperto in animazione o da un educatore, come nessuna bacchetta è magica senza la sua fatina o il suo mago. In altre parole, per lavorare con i bambini non è sufficiente che questi “ti piacciano”. Ti può piacere un gelato, un film, ma un bambino è tutt’altra cosa, direi una “cosa” molto complessa.
Per questo motivo i grandi numeri non aiutano. Non aiutano i bambini, ma neanche gli educatori. Questi ultimi potrebbero sentirsi più impegnati a tenere occupati i bambini in varie attività e giochi piuttosto che osservare e capire le loro personalità, i loro punti di forza e di debolezza, in modo da adattare i giochi ad essi, ed offrire ai vari bambini diverse opportunità di crescita e di apprendimento.
Ricapitolando, cosa intendo quando dico che “per fare le cose in grande, bisogna pensare in piccolo?”.
Fondamentalmente intendo alcune cose: piccoli gruppi di bambini, utilizzo di materiali poco costosi, grandi conoscenze teoriche e integrazione delle varie attività sportive, musicali, motorie, ludiche, ecc., in un’unica struttura, che permetta di rispettare le singole personalità di ogni bambino. Ma cosa ancora più importante è che la struttura ideale dove realizzare tutto ciò è la casa stessa, possibilmente una casa ampia con giardino e ben organizzata per ospitare bambini di diverse età. Anche se dotata di ampio giardino, è importante organizzare costantemente piccoli spostamenti fuori casa, a piedi, in macchina o con l’autobus. Queste uscite costituiscono una piccola grande risorsa sotto tanti punti di vista. Prima di tutto, il bambino ha l’opportunità di esplorare l’ambiente in cui vive, con le sue risorse e i suoi limiti. Nella mia personale esperienza, mi sono sentita spesso dire da alcuni bambini che in questo centro estivo, presso la mia abitazione, si fanno tante cose che non si fanno in altri! Vivendo ad Anguillara, ho scelto di “sfruttare” le risorse che avevo più a portata di mano. Per esempio, una volta, recandoci in un maneggio abbiamo avuto casualmente l’opportunità di vedere all’opera un maniscalco che stava cambiando i ferri al cavallo. Altre volte, andando al giardino comunale, è stato possibile stringere amicizia con altri bambini e scambiarsi informazioni. Nelle mattinate piovose siamo andati in biblioteca, dove si trova una sala completamente dedicata ai bambini; alcuni vi mettevano piede per la prima volta. Ognuno ha imparato cosa bisogna fare per chiedere un libro in prestito. Un’altra volta siamo andati al Molo a vedere degli intrepidi tuffatori che si buttavano dal pontile. Per caso c’era una palco e così abbiamo improvvisato delle lezioni di teatro centrate sulla presenza scenica e sull’espressione emotiva. Più volte i bambini mi hanno chiesto di ripetere queste “lezioni”. Un’altra volta, ancora, abbiamo fatto una gita per il centro storico di Anguillara, piuttosto sconosciuto ai bambini. Abbiamo trovato dei resti archeologici in Piazza Magnante, conservati sotto una pavimentazione di vetro, siamo andati a visitare il Museo della Civiltà Cittadina e riscoprire, così, le origini e le tradizioni contadine degli abitanti di Anguillara nei primi del ‘900. Insomma, tanti scenari diversi e accattivanti che permettono al bambino di confrontarsi con diverse situazioni e di coltivare un senso di appartenenza a quei posti.
Inoltre, ogni uscita è anche un’occasione per imparare alcune regole su come muoversi. Per esempio, l’importanza di mettere la cintura in macchina, la conoscenza dei segnali stradali, come si attraversa la strada, imparare a non distaccarsi dai compagni, ecc. Inoltre, è possibile organizzare anche mezzi di spostamento alternativi, come il piedibus, ovvero l’andare i giro con una corda, a cui altri possono aggiungersi. E’ un modo per bambini e adulti di recuperare le strade e, quindi, la possibilità di spostarsi anche a piedi.
Insomma, quante possibilità! E questo è quello che si può fare all’esterno dell’abitazione. Nel prossimo articolo descriverò tutte le opportunità che offre un’abitazione e in che modo sia possibile integrare attività diverse tra loro a partire da un singolo gioco. Infine, non mancheranno i compiti estivi!
Buone vacanze a tutti!

Aurora Capogna

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