28 Marzo, 2024
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Due anni dopo, siamo ancora sorpresi da un’emergenza annunciata

Ad esempio, quanto si è messo a bilancio per rafforzare i reparti di assistenza d’emergenza negli ospedali in questi due anni?

 

I dati sono feroci nella loro scandalosa prevedibilità. Nelle prossime due settimane, a cavallo di capodanno, ci documentano le associazioni dei medici anestesisti, arriveremo ad un implacabile aumento del 70% dei ricoverati in terapia intensiva, arrivando a 1700 pazienti intubati solo per covid, su un totale di non più di 6000 letti attrezzati e professionalmente presidiati con medici e infermieri, su circa 9000 conteggiati formalmente.

In queste cifre sta tutto il paradosso di un paese che, mentre insegue i suoi record del PIL, e giustamente mena vanto delle dichiarazioni della presidente della commissione Europea von der Leyen che addita l’Italia come esempio virtuoso in Europa per la ripresa economica, si trova ancora una volta sorpreso dalla pandemia.

A distanza da due anni dallo sgomento in cui ci trovammo, nella primavera del 2020,con ospedali assediati e reparti di terapia intensiva saturi, con i medici che dovevano decidere chi poteva sopravvivere e chi no, scopriamo per la seconda volta, dopo il settembre del 2020, che il virus non solo non è morto ma nemmeno si è distratto.

Ci stupiamo per l’ennesima volta che a una fase di allentamento dei vincoli e della disciplina di contenimento mediante distanziamento e mascherine corrisponda un’impennata del contagio che in poche settimane innesta una spirale esponenziale che mette subito fuori controllo la situazione.

Se vale il vecchio detto che sbagliare è umano ma perseverare è diabolico, allora stiamo candidandoci per rilevare la gestione dell’inferno dal vecchio Lucifero.

Intanto appare evidente il differenziale fra i letti di terapia intensiva previsti sulla carta e quelli realmente funzionanti: siamo al 30%. Su 9100 postazioni che sono catalogate negli apparati ospedalieri nazionali ne risultano funzionanti non più di sei mila. Ma perché? Mancano medici specializzati e infermieri addestrati, ci spiegano. Ma perché?

Non si trovano, si risponde. Ma non si trovano perché le selezioni nelle università vanno deserte? Perché eventuali bandi regionali sarebbero inefficaci? o perché le procedure non sono ancora state attivate e quando lo sono i trattamenti economici e normativi sono penalizzanti per gli eventuali candidati?

Insomma quanto si è messo a bilancio per rafforzare i reparti di assistenza d’emergenza negli ospedali in questi due anni? Quanti letti in più saranno attrezzati e professionalmente presidiati con l’attuazione del capitolo sanità del PNRR?

Nel piano di utilizzo dei fondi europei si insiste molto su digitalizzazione e deospedalizzazione ma non si rintracciano programmi operativi per l’immediato nei settori del pronto soccorso e della terapia intensiva. Forse perché i piani vengono scritti in estate quando il virus allenta la morsa e qualcuno si illude sempre che sia finita?

Sembra davvero una inaccettabile farsa che segue l’amara tragedia.

L’andamento della pandemia, lo ha ripetutamente spiegato Andrea Crisanti, è un fenomeno fluido ma non certo imprevedibile. Si muove seguendo logiche ferree, calcolabili e statisticamente programmabili. Le stesse varianti possono avere comportamenti inediti, ma il loro stesso insorgere non è certo una sorpresa. Possiamo dire che l’avvento di Omicron ha stupito i ricercatori? Può forse aver mostrato aspetti  non catalogati preventivamente ma che fossimo nel pieno di una dinamica per cui la moltiplicazione del ocntagio avrebbe favorito la mutazione del virus era stato ampiamente annunciato.

Siamo nel classico caso in cui serve un piano pandemico. Non voglio riaprire quella porta su cui stanno lavorando i magistrati della procura di Bergamo. Ma oggi capiamo quale sia la differenza di un piano programmato e sistematico di contrasto a un virus altamente contagioso rispetto a una prevenzione contro l’influenza: bisogna preordinare un modello organizzativo che renda l’intero apparato sanitario scalabile in tempo di emergenza. Lo abbiamo sentito dire due anni fa, e poi un anno fa, e ancora nello scorso autunno. Ma senza effetti concreti se non la speranza che risolvesse tutto il vaccino.

La cosa più grave è che questa inerzia amministrativa, e vaghezza governativa non è materia di discussione o di conflitto politico e sindacale. I partiti preferiscono parlare di aliquote fiscali o di diritti civili, ma non di strategie sanitarie che riclassificano le relazioni sociali, determinando ormai un modello di vita basato sul distanziamento e la virtualità, senza avere alcuna forma di co gestione di questo processo. Nei giorni scorsi abbiamo assistito a uno sciopero generale che è riuscito a non parlare minimamente di questo aspetto della vita: i lavoratori come vivono questa transizione sociale? Con quali obbiettivi e quali valori?

Senza rimettere la pandemia al centro della vita politica e sindacale rischiamo di produrre una metastasi della democrazia, facendo marcire rancori e insicurezze che diventano benzina sul fuoco delle jacquerie reazionarie e sovraniste. E basterebbe poco per incendiare la prateria. Magari un’incriminazione per incuria e cosciente trascuratezza della sicurezza pubblica.

(Huffpost)

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