29 Marzo, 2024
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Frontiere sbarrate: la tragedia dimenticata del popolo afghano

I rischi che corrono i richiedenti asilo che non riescono a fuggire dall’Afghanistan sono seri e, in alcuni casi letali. In tutto il mondo, molte persone costrette a fuggire non posseggono i permessi e i documenti di viaggio che sarebbero necessari

Frontiere blindate. Frontiere insicure. Quelle che dividono l’Afghanistan dai Paesi limitrofi in cui decine di migliaia di disperati cercano rifuguo.

L’allarme di Unhcr

A lanciarlo è Indrika Ratwatte, Direttore del Bureau Regionale per l’Asia e il Pacifico.“L’Unhcr – dichiara Ratwatte –  esprime profonda preoccupazione per i crescenti rischi a cui sono esposti gli afghani costretti a fuggire verso i Paesi confinanti a causa del continuo deteriorarsi della situazione all’interno dell’Afghanistan.
Ad oggi, le frontiere terrestri dell’Afghanistan con Pakistan e Iran sono aperte quasi esclusivamente a quanti siano in possesso dei passaporti e dei visti richiesti, sebbene a un numero ridotto di casi medici venga concesso in via eccezionale di fare ingresso in Pakistan senza documenti. Il passaggio tramite i valichi di frontiera terrestri di Tagikistan e Uzbekistan non è assolutamente consentito.
I rischi che corrono i richiedenti asilo che non riescono a fuggire dall’Afghanistan sono seri e, in alcuni casi, potenzialmente letali. In tutto il mondo, molte persone costrette a fuggire non posseggono i permessi e i documenti di viaggio che sarebbero normalmente richiesti per poter circolare. Sebbene ciascun Paese abbia il diritto  di regolare i flussi di persone attraverso le proprie frontiere, è necessario prevedere eccezioni a beneficio di quanti fuggono in cerca di sicurezza. Consentire a queste persone di fare ingresso in un Paese, seppure prive dei documenti necessari, per sottrarsi a pericoli, rappresenta un gesto umanitario salvavita nonché una pietra miliare del sistema di asilo internazionale.
Anche prima dell’attuale crisi umanitaria, quotidianamente migliaia di afghani erano soliti fare ingresso in Pakistan e in Iran, innanzitutto per commerciare, ricevere assistenza sanitaria o far visita ai i propri familiari. La maggior parte dei movimenti era di natura temporanea e le persone facevano ritorno in Afghanistan dopo periodi di breve durata. Da agosto, tuttavia, l’Unhcr ha assistito numeri crescenti di afghani che si sono rivolti agli uffici dell’Agenzia e dei partner operativi nei Paesi vicini manifestando l’intenzione di presentare domanda di asilo. Secondo le testimonianze, altri civili tuttora bloccati in Afghanistan sperano di raggiungere i Paesi confinanti per chiedere protezione internazionale.
I continui ostacoli all’istruzione femminile e le restrizioni ai movimenti e al diritto di lavorare imposte alle donne continuano a ostacolare la vita quotidiana di quasi la metà della popolazione afghana, nonché l’accesso agli aiuti umanitari. La persecuzione delle minoranze religiose e di quelle etniche, nonché l’intimidazione e l’uccisione di attivisti per i diritti umani, non fanno che mettere ulteriormente in evidenza i rischi mortali a cui sono esposti molti afghani. Il deterioramento dell’economia e la fame diffusa che affliggono l’Afghanistan potrebbero costringere molte altre migliaia di persone a fuggire oltreconfine per sopravvivere.
Sebbene le frontiere ufficiali restino chiuse alla stragrande maggioranza degli afghani, l’Unhcr è a conoscenza del fatto  che vi siano richiedenti asilo che fanno ingresso nei Paesi confinanti attraverso canali irregolari. Molti, tra quanti giungono in Iran, riferiscono di essersi affidati a trafficanti pur di lasciare l’Afghanistan. La maggior parte ha raccontato a Unhcr e partner di essere stata esposta a seri pericoli lungo il viaggio, tra cui estorsioni, pestaggi e altre forme di violenza, in particolare ai danni di donne e bambine.
Le deportazioni di cittadini afghani da Pakistan, Iran e Tagikistan sono inoltre aumentate inarrestabilmente da agosto, in violazione dell’avviso di non rimpatrio emesso dall’Unhcr. Citando dati in possesso delle autorità iraniane, i media locali riferiscono di fino a 5.000 afghani in arrivo ogni giorno in Iran. Contemporaneamente, l’Unhcr stima che gli afghani deportati dall’Iran all’Afghanistan siano stati in media 3.000 al giorno tra agosto e novembre. Sarebbero poi circa 1.800 gli afghani deportati dal Pakistan nei mesi di settembre e ottobre. L’Unhcr esprime inoltre preoccupazione in relazione alla deportazione dal Tagikistan di ventitré richiedenti asilo afghani, tra cui donne e minori, a novembre. L’Agenzia si appella alle autorità di tutti i Paesi affinché pongano immediatamente fine ai rimpatri forzati di cittadini afghani, molti dei quali potrebbero necessitare di protezione internazionale. La determinazione del bisogno di protezione internazionale può avvenire solo con una valutazione imparziale ed efficiente della domanda di asilo presentata. Le autorità nazionali competenti non hanno ancora introdotto un sistema di asilo accessibile per gli afghani neoarrivati. Pertanto, non è possibile valutare se coloro che hanno fatto ritorno temevano di essere perseguitati e di essere vittima di violazioni dei diritti umani in Afghanistan. In tali circostanze, i rimpatri forzati potrebbero violare il principio di non-refoulement e costituire una grave violazione del diritto internazionale.
L’UNHCR esorta tutti i Paesi meta di nuovi arrivi di afghani a tenere aperte le frontiere a quanti necessitano di protezione internazionale. L’impossibilità di chiedere asilo potrebbe portare innumerevoli civili a rischiare la propria vita. L’UNHCR è pronta ad aiutare le autorità nazionali a rafforzare l’assistenza umanitaria e a sostenere l’introduzione di sistemi di asilo accessibili ed efficienti, laddove necessario.”, conclude la dirigente dell’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Tragedia silenziata

Quando smettiamo di parlare della situazione in un paese non significa necessariamente che tutto vada bene. Molto spesso è vero il contrario, e semplicemente le informazioni smettono di filtrare.  Il 30 novembre Human Rigts Watch (Hrw) ha pubblicato un’inchiesta minuziosa sull’Afghanistan che ha accertato l’esecuzione sommaria o la scomparsa forzata di più di cento militari o funzionari dell’ex regime afgano caduto lo scorso 15 agosto. Il rapporto è intitolato “Nessun perdono per quelli come te”, un’esplicita citazione delle parole di un capo taliban. I ricercatori della ong hanno analizzato decine di casi in quattro province e sottolineano con preoccupazione il carattere ripetuto di queste esecuzioni. Sono atti che mettono palesemente in discussione le dichiarazioni dei capi taliban che negavano qualsiasi volontà di vendicarsi e soprattutto la realtà dell’amnistia annunciata per tutti coloro che avevano collaborato con il precedente governo.  Le alternative sono due: o i leader taliban non controllano le truppe che si abbandonano a regolamenti di conti oppure con le loro dichiarazioni volevano solo mettere a tacere la comunità internazionale. Il rapporto racconta il caso di Baz Muhammad, ex dipendente della direzione nazionale per la sicurezza, l’ex servizio di informazioni. Muhammad è stato arrestato in casa sua, a Kandahar, e poche ore dopo i suoi conoscenti ne hanno ritrovato il corpo senza vita. Si è trattato chiaramente dell’esecuzione extra-giudiziaria di un uomo la cui attività era in teoria coperta dall’amnistia.

Corridoi e non solo

La vera emergenza continua ad essere l’evacuazione di tanti afghani, già collaboratori dei Paesi occidentali, la cui incolumità è a rischio oggi in Afghanistan nonostante il governo di Kabul abbia varato l’amnistia nei confronti di coloro che hanno lavorato con organismi stranieri. “E’ un dovere morale” al quale l’occidente deve obbedire, afferma il professor Giuseppe Valditara, docente di Diritto Romano all’Università di Torino e coordinatore di Lettera 150, l’iniziativa nata da decine di docenti universitari durante l’epidemia di Covid-19 e poi allargatasi ad altre tematiche. Lettera 150 si è fatta portavoce presso il governo italiano – afferma Valditara in un’intervista a Radio Vaticana-Vatican News – per la realizzazione di corridoi umanitari a favore di coloro che ancora non riescono a lasciare l’Afghanistan.

Sono circa 200 mila i collaboratori dei Paesi occidentali che non hanno potuto usufruire di ponti aerei. Sono persone che hanno messo a rischio la loro vita, il loro futuro in un Paese diventato per loro ostile, quindi credo che i Paesi occidentali, l’Italia in primo luogo, abbiano un dovere morale nei confronti di tutte queste persone. Ovviamente poi bisognerà essere molto attenti a non far arrivare insieme con i collaboratori, che sono rimasti in Afghanistan, anche personaggi legati, magari ad organizzazioni di tipo terroristico. Ma questo è un profilo ulteriore molto importante che non deve distogliere l’attenzione da questa necessità che ritengo sia innanzitutto di tipo morale e cioè insistere con il nuovo governo afghano perché sia possibile dare vita ad un corridoio umanitario per garantire un futuro a tutte queste persone che hanno creduto e attivamente lavorato insieme con i Paesi occidentali.

In Afghanistan ci sono 18 milioni di persone che hanno bisogno di assistenza umanitaria; 400mila civili, di cui la metà bambini, in fuga. Solo nel 2021 sono stati uccisi 550 bambini, mentre 3 milioni e 700mila bambini e bambine non vanno a scuola, già da prima dell’arrivo dei talebani. È partendo da questi dati che Andrea Iacomini, portavoce di Unicef Italia, lancia l’allarme sulla situazione in Afghanistan in un’intervista a Fanpage.it. La crisi, spiega, è umanitaria ed esiste da prima dell’arrivo dei talebani al potere. E la soluzione non può essere solamente quella dei corridoi umanitari, per Iacomini: “È un’azione efficace ma che non copre i numeri di un esodo”. Ora “bisogna salvare questa popolazione”, ma “il problema non si risolve per slogan”. La partita si giocherà “all’interno del Paese” e la paura è quella che i bambini siano ancora più esposti a “pratiche nefaste” come flagellazioni, costrizioni, arruolamento tra le truppe, matrimoni precoci.

Ci sono 400mila persone in fuga, la metà sono bambini: come facciamo ad assisterli? Quali sono le vie di accesso? Bisogna fare quello che non è stato fatto negli ultimi anni per Siria, Iraq, ovvero non bisogna spegnere la luce. Oggi sul bagnasciuga siamo tutti indignati, ma tra un mese in campagna elettorale parleremo ancora di Afghanistan? Il corridoio umanitario può essere la soluzione per 18 milioni di persone in fuga? Bisogna salvare questa popolazione, che negli ultimi 20 anni si è trovata in una condizione difficile, a differenza di altri scenari complessi dove ancora restano le truppe straniere, in Afghanistan non c’è stata quella osmosi con la popolazione che porta al nation building. Vanno aperte le vie di accesso interne, continuare con altre Ong il nostro lavoro, l’obiettivo è salvare vite di bambini e bambine dialogando con tutti”

I difensori dei diritti umani vivono in un clima di paura

Dal 15 agosto gli attacchi contro i difensori dei diritti umani si susseguono quasi quotidianamente. I talebani li cercano di casa in casa e questo ha spinto molti di loro a nascondersi.

Mahmud (nome di fantasia), un difensore dei diritti umani che è riuscito a lasciare il paese, ha raccontato di aver ricevuto una telefonata, subito dopo la presa di Kabul ad opera dei talebani, in cui gli è stato chiesto di consegnare veicoli, attrezzatura e soldi della sua organizzazione. L’uomo al telefono conosceva il suo nome e ha specificato che non c’era scelta se non rispettare l’ordine.

Nei giorni successivi, Mahmud ha ricevuto altre telefonate e messaggi su Whatsapp in cui gli è stato intimato di comunicare l’indirizzo di casa e di recarsi a un appuntamento. Nel frattempo due suoi colleghi erano stati picchiati. Le immagini, validate da Amnesty International e da un patologo, mostrano i chiari segni delle frustate sulla schiena e lividi sul braccio sinistro di una delle due vittime.

“Le minacce contro i difensori dei diritti umani abbandonati in Afghanistan sono concrete. Sono sotto attacco da tutti i fronti e sono considerati nemici dei talebani. I loro uffici e le loro abitazioni sono stati assaltati, i loro colleghi sono stati picchiati. Molti sono nascosti e vivono nel terrore di essere arrestati, torturati o uccisi. Coloro che sono riusciti a lasciare il paese si trovano in basi militari o nei paesi confinanti, ignari del loro destino. La comunità internazionale ha il dovere morale e politico di non abbandonare persone che hanno dedicato la loro intera vita alla difesa dei diritti umani, all’uguaglianza di genere, allo stato di diritto e alle libertà democratiche. Queste persone vanno difese a ogni costo”, ha dichiarato Delphine Reculeau, direttrice del programma Difensori dei diritti umani dell’Organizzazione mondiale contro la tortura.

Invece di organizzare corridoi umanitari, si blindano le frontiere. Un tragico de ja vu che si ripete stavolta in Afghanistan.

(Globalist)

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