29 Marzo, 2024
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La protesta del Sudafrica, “assurdo punirci per aver scoperto Omicron”

Gran parte del mondo ha bloccato i voli dall’Africa meridionale Oms: “Evitare l’effetto stigma”. Johannesburg epicentro della nuova variante, casi gravi fra i giovani

 

Non è bastato scoprire, informare, condividere le informazioni e allertare immediatamente il mondo della comparsa di Omicron per essere risparmiata da pesanti decisioni. Al Sudafrica non è affatto piaciuta la reazione – “spropositata” , “punitiva” a loro dire – dei vari governi alla notizia della nuova variante B.1.1.529, né tantomeno il trattamento che sta ricevendo e che rischia di minare la sua economia. Di fronte alla chiusura generale dei voli e al fuggi fuggi dal Paese, il Governo di Cyril Ramaphosa ha affermato in un comunicato che il Sudafrica è stato paradossalmente danneggiato per averla scoperta. “Questa ultima tornata di divieti equivale a punire” il Paese “per aver sequenziato la mutazione e per la sua capacità di rilevare nuove varianti rapidamente. “L’eccellenza scientifica”, concludono dal governo, “dovrebbe essere applaudita e non punita”.

La lamentela del Governo sudafricano era cominciata ieri con una dichiarazione indirizzata a Londra. Il divieto imposto dal Regno Unito è infatti sembrato “affrettato”, dato che perfino l’Oms non si era ancora esposto in merito. Anche perché, è lo stesso professor Sir Andrew Pollard, direttore dell’Oxford Vaccine Group, oggi a sostenere come una ripresa della diffusione del virus “è estremamente improbabile che si verifichi in una popolazione vaccinata”.

D’altronde il Governo sudafricano, che ha anticipato ad oggi con urgenza la riunione del Consiglio nazionale inizialmente prevista per domenica, ha ricordato come i casi si attestino ancora su un numero contenuto. Quelli attualmente confermati legati a Omicron sono infatti 2.828, con Johannesburg epicentro della variante. Ma a destare preoccupazione è la velocità di diffusione, con un tasso di riproduzione pari a 2: una persona positiva, quindi, sarebbe in grado di contagiarne altre due. Omicron, che conta oltre 30 mutazioni sulla sua proteina spike – il doppio rispetto alla variante Delta – secondo gli esperti potrebbe essere responsabile del 90% dei nuovi casi.  “Le persone tra i 20 e i 30 anni arrivano con una malattia da moderata a grave, alcuni dei quali necessitano delle terapie intensive” spiegato il capo dell’unità di terapia intensiva dell’ospedale Baragwanath di Soweto.

L’esposto arriva due giorni dopo quello del professor Tulio de Oliveira, direttore del Centre for Epidemic Response & Innovation (CERI), che in un tweet aveva chiesto al resto del mondo di mostrare il suo sostegno al Sudafrica e non “discriminarla o isolarla”. “Siamo stati molto trasparenti con le informazioni scientifiche. Abbiamo identificato” la variante, “reso pubblici i dati e lanciato l’allarme mentre le infezioni stanno aumentando. Lo abbiamo fatto per proteggere il nostro Paese e il mondo nonostante la potenziale discriminazione di massa”.

Sulla sua stessa linea anche l’inviato speciale dell’Oms, David Nabarro, che si è detto grato per la velocità, la trasparenza e la disponibilità degli scienziati sudafricani nell’aver condiviso le ricerche. Anche perché, quando ci si trova di fronte a una “variant of concern”, le azioni primarie redatte dall’Oms e che uno Stato dovrebbe seguire sono l’invio della sequenza completa del genoma e dei metadati associati a un database pubblico (come GISAD), la segnalazione dei nuovi casi infettati dalla variante e la condivisione delle informazioni con la comunità internazionale, così da collaborare laddove possibile. Tutte indicazioni che il Sudafrica ha prontamente rispettato.

Un equilibrio nella risposta internazionale è quello che ha chiesto anche Maria Van Kerkhove, responsabile tecnico Covid-19 dell’Oms. A una domanda del Financial Times, Kerkhove risponde invitando a evitare l’effetto stigma per chi fornisce dati sulle varianti e a un equilibrio nelle reazioni, affermando che tutti gli Stati dovrebbero attuare un “sequenziamento intelligente”, più omogeneo a livello geografico, “coprendo più Paesi e testando strategicamente, non soltanto di più, ma strategicamente”. Certo, la decisione insolita dell’Organizzazione di classificare subito Omicron come “preoccupante”, bypassando il livello intermedio “di interesse”, ha fatto schizzare l’allerta. Tuttavia, la motivazione di questo salto di livello è da ritrovare nel passato, quando la maggiore cautela non ha premiato nella lotta alla pandemia. Il ministro della Salute sudafricano, Joe Phaala, ha commentato le restrizioni ai viaggi, definendole misure “draconiane, completamente contrarie alle norme e agli standard dell’Organizzazione mondiale della sanità”. Anche perché l’allarmismo generale, ha continuato, non sarebbe giustificato neanche dai numeri, molto al di sotto di quelli riscontrati nei Paesi alle prese con la quarta ondata.

Il ministro, però, se la prende anche con i suoi concittadini, ancora troppo restii alla vaccinazione. A questo punto della campagna vaccinale, il Governo contava di aver somministrato entrambe le dosi ad almeno il 70% della popolazione, ma la realtà si attesta a un 40% scarso. Le 300mila inoculazioni giornaliere previste sono un miraggio, dato che il ritmo viaggia sulle 120mila al giorno. Se si guarda ai giovani, il tasso di vaccinati scende ancora. “Stiamo assistendo a un netto cambiamento nel profilo demografico dei pazienti”, ha spiegato Rudo Mathiva, capo dell’unità di terapia intensiva dell’ospedale Baragwanath di Soweto, nei pressi di Johannesburg. Inoltre, se i casi gravi nelle ondate precedenti avevano interessato per lo più la fascia più anziana della popolazione, questa volta sono anche quelli in età compresa tra i 20 e i 30 anni a necessitare di cure intensive. Di questi, il 65% non è vaccinato.

Le restrizioni nazionali sono al livello più basso, seppur rimanga l’obbligo di indossare la mascherina nei luoghi pubblici e il distanziamento sociale (difficile da far rispettare nei grandi centri) come forme di salvaguardia. Nonostante ciò, gli scienziati sudafricani stanno combattendo in prima linea nella lotta alla pandemia. Su GISAD sono stati caricati oltre 23mila genomi sequenziati nel Paese, di cui 17mila solamente nell’ultimo anno. Naturalmente, rispetto ai quasi 1,2 milioni caricati dai britannici o gli 1,4 milioni dagli americani non c’è paragone, eppure il lavoro del Sudafrica risulta vitale. Nel continente africano, di cui è il primo Paese per numero di casi, i genomi caricati dagli altri Stati sono nettamente inferiori, come dimostrano i 3.300 della Nigeria o i 4.800 del Kenya. Per questo il governo Cyril Ramaphosa ha alzato la voce, perché nonostante lo sforzo della comunità scientifica sudafricana si è visto ripudiato dal resto del mondo.

Il contraccolpo economico a causa della pandemia è stato pesante e la paura è che il Paese debba affrontarne uno ancor peggiore, vista la situazione. La chiusura dei voli rappresenta un’ulteriore mazzata per l’economia nazionale. Dopo la decisione del Regno Unito, i tour operator sono stati presi d’assalto dalle cancellazioni. Per di più, lo stop ai viaggi non impedisce “la diffusione delle varianti”, ha spiegato il professore di malattie infettive Marc Mendelson, dell’ospedale Groote Schuur nell’Università di Città del Capo. “Tutti sono frustrati in Sudafrica”. “Credo che alle volte queste decisioni siano politiche, non scientifiche. Non sono guidate da dati ed è tragico, per l’impatto umano che ha per noi qui e per la nostra economia”, gli ha fatto eco il sindaco di Città del Capo, Geordin Hill-Lewis. “Se sappiamo che verremo puniti per aver rivelato nuove varianti”, ha concluso stizzito il primo cittadino della capitale, la prossima volta “dovremmo sapere con cosa abbiamo a che fare prima di comunicarlo al mondo”. Il rischio è quello di minare la collaborazione internazionale in un momento in cui proprio non ce lo possiamo permettere.

(Huffpost)

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