6 Giugno, 2023
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Berlusconi al Quirinale, sicuri che è una missione impossibile?

C’è un lavorio del Cav, coperto sugli uomini, più scoperto sulla politica, teso a logorare l’ipotesi Draghi, in attesa che si arrivi al dunque. Perché per ora il gioco è a due

 

Per dirla in modo un po’ calcistico, mentre gli altri stanno palleggiando, lui sta giocando, e il gioco non è solo attacco, ma finte, dissimulazioni, passaggi di palla, evitando il fallo. Però c’è un dato, e non è poco, a un decennio – era il 12 novembre dell’anno del Signore 2011 – dalle sue dimissioni, vissute da un pezzo di paese come una “liberazione” e dall’altro come un complotto dei giudici e dello spread: l’unico nome “politico” seriamente in campo, in attesa che si sciolga un nodo chiamato Draghi, si chiama Silvio Berlusconi, 84 primavere alle spalle.

È paradossale, inimmaginabile, sogno o incubo, a seconda dei punti di vista, ma già questo, al netto del giudizio, è un fatto, anch’esso rivelatore della “crisi di sistema” in atto perché forse non è un caso che, pur non essendo quello di una volta come consenso, leadership, potenza di fuoco, resta l’ultimo a essere andato al governo attraverso le elezioni, espressione di un consenso popolare vero, prima del decennio del grande kamasutra politico, in cui tutti, in nome di governi da fare in Parlamento, hanno sperimentato tutte le posizioni fino al default che ha portato a Draghi. E questo spiega la persistenza del nome.

Di suo, il nostro ci mette una certa astuzia. Chi sta attorno racconta, come sempre nel favoloso mondo berlusconiano le versioni sono opposte, che “non pensa ad altro che al Quirinale”, altri che è consapevole che il solo pensarlo è un azzardo e, consapevole del rischio quando si arriva al dunque, sa che la missione è assai ardita e a rischio di clamorose figuracce, dunque “non farà mai il candidato di bandiera”. Il cronista sa che la verità è nel mezzo, anzi che entrambe le versioni sono la verità, nel senso di due facce della stessa medaglia. Anche domenica scorsa, ed è un copione che si ripete, Fedele Confalonieri ad Arcore lo ha messo in guardia perché “Silvio lo sai che non può accadere”, trovando l’interlocutore apparentemente d’accordo, ma sapendo, al tempo stesso, che l’uomo, pur annuendo, ha l’altra parte della testa che pensa il contrario: “Sono gli stessi – dice un ex ministro che lo conosce bene – che gli sconsigliavano la discesa in campo, e fece l’opposto. Quando lo dicono, il Cavaliere dà loro ragione, ma lavora per smentirli perché la missione impossibile è quella che lo gasa”.

E infatti gioca, anche con l’età, i guai fisici e gli acciacchi, che per quando fastidiosi un effetto lo hanno prodotto, quello di mutare, nel paese, la percezione di pericolosità perché, insomma, come Caimano che esce da un palazzo di giustizia in fiamme non ha più il fisico, piuttosto si può vendere come nonno che farebbe la felicità di ogni nipote, con l’Italia che diventa un parco giochi senza regole. Scherzi a parte (mica tanto) questa provvisorietà, che è un tutt’uno col rendersi disponibile per una presidenza a tempo, è comunque una mossa. Insomma, Mattarella ha detto di no a un bis a tempo, in attesa che si liberi Draghi, qualcuno ha fatto circolare il nome di Giuliano Amato. Il Cavaliere ha capito che, in questa fase, tutto sta ruotando attorno al desiderio di Draghi di andare al Quirinale, ma che è complicato per lui andarci subito per le note ragioni che attengono alla possibilità di fare un altro governo. E allora si propone come soluzione provvisoria, anche se ovviamente nessuno ci crede che, semmai dovesse essere, lascerebbe anzitempo quel Palazzo là.

In parecchi, a tal proposito, ricordano una gag che qualche anno fa avrebbe voluto fare, ma che gli fu sconsigliata, nel salotto di Vespa: presentarsi claudicante con un bastone, per fare la parte del vecchietto, poi a un certo punto gettarlo via e dire “sto benissimo”.  Però questa insistenza di “tenere Draghi fino al 2023 a palazzo Chigi e anche oltre” è già parte integrante della sua campagna presidenziale, il cui argomento più forte è rassicurare il Parlamento sulla stabilità: è il “con me non si vota”, dunque stipendi per tutti fino al 2023: peones, gente senza un lavoro che mai più rivedrà le ovattate stanze, scappati di casa vari. In attesa di Draghi, che ha il problema mica da poco del governo, è comunque un punto fermo.

In altri tempi Denis Verdini avrebbe già iniziato conti e incontri, per persuadere, con convincenti argomentazioni, i Ciampolillo o i novelli Scilipoti che conviene arruolarsi in marina con Berlusconi, perché così si scopre il mondo. Certo, sarebbe stato perfetto poi, considerati suoi rapporti con Renzi e con Salvini con cui è pressoché imparentato. In sua assenza in parecchi, tra ex ministri e amici, si sono messi a disposizione con Berlusconi, proprio in questi giorni, per svolgere analoghe mansioni: “Ti porto venti voti”, “ne controllo una decina”. I numeri sono abbastanza noti: sulla carta ne servono una cinquantina di voti (segreti), ammesso poi che il centrodestra sia compatto, il che poi è tutto un altro capitolo. Più che i renziani, che sono 45, qualcuno dei quali potrebbe anche essere tentato dalle sirene sulla giustizia, i più sensibili alle lusinghe sono quelli del misto, o chi mai più rivedrà Montecitorio. In questi casi, come la storia insegna, Berlusconi può cambiare la vita, intesa come qualità e tenore.

Non tiriamola troppo per le lunghe. Tutto questo racconta di un lavorio del Cavaliere coperto sugli uomini, più scoperto sulla politica, anzi di una sua partita in atto e tesa a logorare l’ipotesi Draghi, in attesa che si arrivi al dunque. Lavorio quantomeno sottovalutato dall’altro schieramento che rischia, giocando di rimessa su Draghi di trovarsi a giocare in difesa su Berlusconi. Se, a un certo punto, si presentasse come il nome del centrodestra magari per il quarto scrutinio sarebbe una mossa, mica banale. Conclusione (provvisoria), annotata sul taccuino del cronista che segue il Great Game del Quirinale: i due nodi da sciogliere sono Berlusconi e Draghi, per ora il gioco è a due.

(Huffpost)

 

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