28 Marzo, 2024
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Effetto Draghi e Spid, così riparte la stagione dei referendum

Giovanni Orsina spiega perché sono tornati di moda: “I partiti cercano di ritrovare spazio di movimento che hanno perso. La firma digitale ha fatto il resto”.

 

Un’estate, quella che si sta per concludere, all’insegna del referendum. Un’estate di banchetti, sotto il cielo della politica italiana. Dappertutto: nelle piazze e negli uffici comunali, in montagna e al mare, a due passidall’ombrellone. Raccolte firme promosse da partiti e associazioni, oltre che, naturalmente, dai Radicali. “Potremmo essere alle porte di una nuova stagione referendaria” afferma il professor Giovanni Orsina, politologo e storico, direttore della LUISS School of Government, durante un colloquio con HuffPost.

Giustizia, eutanasia, cannabis e Renzi che ne annuncia uno sul reddito di cittadinanza. Perché, proprioquest’anno, partiti e associazioni stanno lanciando tutti questi referendum? “L’arrivo di Draghi ha cambiato tutto. Da quando c’è lui a Palazzo Chigi la situazione politica è ingessata. I partiti hanno meno spazio di movimento. E non solo per Draghi. La spesa pubblica ora è molto vincolata al contesto europeo. I partiti fanno molta fatica a prendere iniziative politiche. Da questo punto di vista il referendum diventa uno strumento utile per portare avanti le proprie istanze. Pensiamo al referendum sulla giustizia che mostra plasticamente questa situazione: la Lega è vincolata, a livello di governo, alla riforma Cartabia. Però, fuori dai palazzi,Salvini non si risparmia fughe in avanti sullo stesso tema con i referendum lanciati insieme ai Radicali”. Sono sei i quesiti proposti su questo fronte: la riforma del CSM, la responsabilità civile dei magistrati, la separazione delle loro carriere ma anche norme restrittive sull’utilizzo dellacustodia cautelare. È la campagna ‘Giustizia giusta’, che per ora avrebbe superato le 500 mila firme.

Ma le campagne referendarie estive non finiscono qui. C’è la raccolta firme per l’eutanasia legale, con la mobilitazione lanciata dall’associazione Luca Coscioni: anche in questo caso sono state raccolte mezzo milione di adesioni e si punta alle 750 mila. Da pochi giorni, è il turno del referendum sulla depenalizzazione della cannabis. L’iniziativa rappresenta l’altro lato della medaglia di un disegno di legge, di recente approvato in Commissione Giustizia alla Camera con il voto di esponenti della ex maggioranza giallo-rossa (Pd, M5s e LeU). Il provvedimento consente la coltivazione di non oltre quattro piante di marijuana dentro casa. Un piccolo passo in avanti, secondo i sostenitori della legalizzazione, ma non abbastanza.

In effetti, le probabilità che il Ddl cannabis possa entrare in vigore entro la fine della legislatura sono scarse, anche perché l’intero centrodestra (con la sola eccezione di Elio Vito, deputato di Forza Italia, ex radicale) si dice fermamente contrario. Anzi, è plausibile pensare che il provvedimento possa seguire un destino analogo a quello del Ddl Zan. La proposta di legge sulla lotta all’omotransfobia, a firma dell’omonimo deputato del Partito Democratico, è ancorafermaa Palazzo Madama, senza l’ombra di un accordo politico tra i due schieramenti. Consapevoli di questo stallo, le associazioni Forum Droghe,Meglio Legale, Antigone e Luca Coscioni, hanno avviato la campagna referendaria sulla cannabis, presentando il testo del quesito agli italiani i primi giorni di settembre.

Un’estate di referendum, insomma. Anche perché da quest’anno è più facile raccogliere le firme. Gli italiani non devono per forza andare in comune oppure recarsi ai tradizionali banchetti. Da alcune settimane possono comodamente firmare da casa, attraverso l’identità digitale. Una novità introdotta nell’ultimo decreto Semplificazioni con un emendamento presentato da Riccardo Magi, deputato di +Europa e militante dei Radicali. Secondo Orsina, “la firma digitale cambia radicalmente i giochi”. In poco più di 48 ore dall’inizio della campagna sulla cannabis, sono state raccolte 220 mila firme, quasi la metà di quelle richieste. “Ci sono oltre 20 milioni di italiani con un’identità digitale. Il requisito costituzionale delle 500 mila firme è diventato troppo facile da raggiungere. Sono parametri che andrebbero ripensati. A mio parere, con le condizioni tecnologiche in cui ci troviamo oggi, servirebbero molte più firme per presentare un referendum abrogativo”. Come conferma ad HuffPost Marco Cappato, ex europarlamentare, tra i principali attivisti referendari di quest’estate, “senza questa innovazione, sarebbe stato impensabile organizzare una campagna sulla cannabis in soli venti giorni. Grazie alla firma online possiamo seriamente puntare al mezzo milione di firme entro il 30 settembre, l’ultima data utile, quest’anno, per presentare in Cassazione il quesito e le firme”.

La facilità di firma potrebbe così moltiplicare le occasioni di referendum rispetto ai primi anni della sua esistenza. L’istituto del referendum abrogativo, previsto in Costituzione, ha dovuto attendere quasi 30 anni prima di vedere la luce. Il Parlamento ha approvato la legge per disciplinarne il funzionamento solo nel 1970. Le consultazioni referendarie che si sono tenute negli anni Settanta e Ottanta sono state pochissime, anche se epocali, come il divorzio e l’aborto. La svolta arriva con Tangentopoli. La crisi irreversibile dei partiti della Prima Repubblica – Democrazia Cristiana, Partito Comunista e Partito Socialista in primis – ha attivato una parallela crisi della rappresentanza politica in Italia. “Il concetto stesso di Seconda Repubblica – spiega Orsina – è legato ai referendum elettorali del 1991-1993 promossi da Mario Segni”, quelli che introducevano, de facto, un sistema maggioritario per l’elezione dei parlamentari.

Da lì in avanti, con l’avvento della Seconda Repubblica, c’è stato un vero e proprio boom. “Il referendum ha perso la natura di strumento di supporto alla democrazia rappresentativa incarnata dal Parlamento per diventare un’arma in mano all’antipolitica”. D’altronde già nel 1978 si era avuto un primo assaggio di queste nuove istanze, con il referendum abrogativo sul finanziamento pubblico ai partiti, all’epoca bocciato dagli italiani. “E questo non succede solo in Italia. Pensiamo ai referendum francesi sui trattati europei del 1992 e del 2005. Ma soprattutto alla Brexit, il referendum sull’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea nel 2016. Molti votarono per il Leave solo come strumento di lotta partitica, cioè per mandare a casa il governo di David Cameron”.

L’ascesa dei referendum in Italia è anche legata ad una maggiore importanza dei temi etici. “La cosiddetta life-politics si presta facilmente a diventare un quesito referendario: aborto, divorzio, procreazione assistita, eutanasia”. Temi che negli anni Cinquanta e Sessanta non erano centrali per la società. “Mezzo secolo dopo però sono diventati di attualità. Anche questo ha contribuito a rendere i referendum più numerosi. Quest’anno poi, come si è visto anche sul Ddl Zan, i partiti sono costretti a differenziarsi attraverso temi etici, perché la spesa pubblica è sottoposta a vincoli stringenti. I temi etici sono perfetti, non costano nulla allo Stato”. La sostanza però, chiarisce Orsina, è comunque l’incapacità dei partiti di rappresentare il paese negli ultimi decenni.

Dal 1974 ad oggi si sono tenuti 67 referendum. Alcuni vittoriosi per chi li proponeva, come quello sulla privatizzazione della Rai, lo stop all’energia nucleare e l’abolizione del legittimo impedimento. Ma anche sonore sconfitte, quasi sempre dovute al mancato raggiungimento del quorum, come per la giustizia nel 1997, la tentata abolizione del Porcellum, la legge elettorale a firma Calderoli, ma anche la più recente consultazione sul blocco delle trivelle marittime. Un referendum su tre non ha raggiunto il quorum.

Ora, con la giustizia, l’eutanasia e la cannabis, ci si riprova. Secondo Cappato, la nuova primavera referendaria è stata favorita anche dalla pandemia: “Le restrizioni hanno di fatto sospeso le normali attività politiche faccia a faccia per un anno e mezzo. Ora, con la ripresa, gli italiani sentono, molto di più rispetto a prima, l’esigenza di impegnarsi su queste battaglie. Sono sicuro che, se nel 2022 si voterà per i referendum, riusciremo a superare il quorum”. Previsioni? Per Orsina è bene mantenersi cauti: “I referendum si politicizzano negli ultimi mesi prima del voto. Pensiamo al referendum sulla procreazione assistita del 2005. Quando si cominciarono a raccogliere le firme, era un fatto politico marginale. Nel momento in cui partì la campagna elettorale, il tema si politicizzò in maniera molto marcata lungo l’asse destra-sinistra. Per cui, sapere adesso quanto questi quesiti saranno politicizzati, quale sarà il clima politico del 2022, come i partiti li useranno e come risponderà la gente, ecco: questa è veramente una previsione molto difficile”.

(Huffpost)

 

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