29 Marzo, 2024
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È la Germania, ma sembra l’Italia

Esito elettorale incertissimo. Il dopo Merkel potrebbe portare, per la prima volta, a un governo federale formato da tre partiti.

 

Si doveva salire su una giostra che gira lentamente, invece ci si è trovati su un ottovolante che sale e scende a velocità mozzafiato. La campagna elettorale tedesca non ha più nulla di scontato, l’esito del voto del 26 settembre è incerto e varie ipotesi di nuovo governo federale sono ugualmente plausibili. I candidati alla Cancelleria vanno su e giù come sulle montagne russe e la noiosa prevedibilità della politica tedesca sembra sfumare come un lontano ricordo. Allora che cosa ci si può attendere in Germania tra due settimane?

Negli ultimi mesi sono state molto alte le quotazioni della leader dei Verdi, Annalena Baerbock, giovane, determinata e disinvolta, poi però inciampata su una serie di errori, che hanno ridimensionato lei e il partito. Mentre Baerbock cadeva, saliva Armin Laschet reduce dall’affermazione interna in seno alla Cdu e incoronato candidato dell’Unione (Cdu/Csu) contro la temibile concorrenza del bavarese Markus Söder. Dopodiché, per un’obiettiva debolezza personale, per l’incertezza sul programma e per qualche infelice risata al momento sbagliato, anche la stella di Laschet è precipitata molto rapidamente. Nei sondaggi il suo partito è piombato a un drammatico 20% dei consensi, record negativo in oltre settanta anni, e Angela Merkel, che ama più governare che fare campagna elettorale, è dovuta scendere in campo a favore di Laschet, fino a quel momento sostenuto per la verità alquanto timidamente.

Nel saliscendi si è inserita abilmente la Spd con Olaf Scholz, con un’insperata ascesa, secondo tutte le rilevazioni, dopo l’inarrestabile caduta libera degli ultimi tempi. Il candidato socialdemocratico convince per competenza, moderazione, chiarezza e per un tratto personale tranquillizzante, quasi soporifero, aspetti apprezzati da un elettorato poco incline agli strappi. Scholz amministra il consenso con misura e fa quotidianamente i conti con una base e una dirigenza (Esken, Walter-Borjans) della Spd più barricadiere e per nulla spendibili al centro. Sicché Scholz deve difendersi dalla critica di quanti lo vedono come esponente del tipico “partito da incidente”, quello che mette la freccia a destra e poi svolta a sinistra.

Tutto si svolge nel segno dell’uscita di scena di Merkel. Di singolarità ce n’è più di una. Innanzitutto, a differenza di tutti i suoi predecessori, la Cancelliera lascia per decisione autonoma, non a seguito di una sconfitta. Si alza dal tavolo mentre vince, non dopo aver perso. Dopo sedici anni, i tedeschi sono pronti al cambio nella guida del governo, ma non sembrano interessati a modificare la sua politica, né il suo stile. Scholz intercetta il sentimento e non esita a proporsi come “la nuova Cancelliera” e a congiungere i pollici e gli indici nel famoso rombo di cui Angela Merkel ha il copyright. L’ironia esiste anche lì.

Inoltre, non c’è polemica, risentimento o sostanziale cesura con la leader uscente. Nel 1998 Kohl aveva lasciato il governo tra l’insoddisfazione e la stanchezza di molti. Oggi la consegna del silenzio si applica nei due sensi, Merkel parla poco del dopo, i candidati parlano poco del prima, attenti a non apparire appiattiti sul pregresso, ma anche a non distanziarsi troppo dalla Cancelliera e dal suo stile: “diversi ma uguali, uguali ma diversi”, come qualcuno da noi trenta anni fa.

Tra quindici giorni la corsa si vincerà sul filo di lana. La novità ormai quasi certa è che il responso delle urne non consentirà alcuna coalizione di governo tra due partiti, bensì renderà necessaria una alleanza a tre. Non c’è mai stato un governo federale formato da tre partiti, negoziarlo e gestirlo sarà più impegnativo. Dopo le elezioni del settembre 2017 furono necessari sei mesi di trattative per varare la coalizione Cdu/Csu-Spd del quarto governo Merkel.

A questo punto il vero confronto è tra Laschet e Scholz. Chi prevarrà tra i due avrà l’onere di assemblare una maggioranza. Se la Cdu/Csu restasse la prima forza politica, è ben probabile che il tentativo sarebbe quello di un governo con Verdi e Liberali (Giamaica) a guida democristiana. Se invece la Spd dovesse superare l’Unione, allora è verosimile che Scholz punti lui a dirigere l’alleanza con Verdi e Liberali (semaforo). In entrambi i casi, i partner minori della coalizione godrebbero di un notevole spazio nel governo, perché determinanti, in particolare i Liberali che potrebbero divenirne ago della bilancia.

Europa e solidarietà transatlantica sono quindi destinate a restare prioritarie nell’agenda di Berlino, anche se la loro declinazione dovrà essere seguita con attenzione. Altro sarebbe, invece, se all’indomani del voto la Germania si avviasse verso un esperimento rosso-rosso-verde (Spd, Linke, Grüne), per il quale al momento le condizioni politiche sembrano più ardue. Sempre che Scholz non decida di (o debba) girare a sinistra, nonostante il lampeggiatore acceso a destra.

(Huffpost)

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