29 Marzo, 2024
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Cosa è il nucleare di nuova generazione di cui parla Cingolani

Reattori di piccola taglia sono già impiegati, ma è difficile replicarli su larga scala. E sono ancora sperimentali

 

La polemica è nata subito dopo l’affondo contro “l’ambientalismo radical chic”. Ma anche un’altra affermazione del ministro per la Transizione ecologica Roberto Cingolani ha da subito attirato l’attenzione: l’apertura di un membro del Governo Draghi all’energia nucleare di nuova generazione. Sulla questione, ha detto Cingolani due giorni fa, “si stanno affacciando tecnologie di quarta generazione, senza uranio arricchito e acqua pesante. Ci sono Paesi che stanno investendo su questa tecnologia, non è matura, ma è prossima a essere matura. Se a un certo momento si verifica che i chili di rifiuto radioattivo sono pochissimi, la sicurezza elevata e il costo basso è da folli non considerare questa tecnologia”. Il ministro ha poi aggiunto che non bisogna farne una questione ideologica: “Nell’interesse dei nostri figli è vietato ideologizzare qualsiasi tipo di tecnologia. Stiamo ai numeri, quando saranno disponibili prenderemo le decisioni”. Parole che hanno sollevato un acceso dibattito e le proteste dei 5 stelle, con Giuseppe Conte che ha chiesto un incontro il 14 settembre prossimo al ministro per un chiarimento.

Di cosa parla il ministro Cingolani? Secondo l’Associazione Italiana Nucleare, si tratta di reattori di piccola taglia (Small Modular Reactors) che possono essere impiegati in vari ambiti: produzione di calore, elettricità o di entrambe. L’idea non è nuova, visto che i piccoli reattori vengono già impiegati nelle imbarcazioni a propulsione nucleare, come nelle rompighiaccio russe nel Mar glaciale Artico. Ma i sostenitori delle nuove tecnologie credono che, per dirla in maniera semplice, questa nuova tecnologia possa essere replicata su scala industriale. Alcuni di questi mini-reattori sono già operativi: uno, ad esempio, in Siberia, nella regione di Chukotka, capace di produrre una potenza complessiva di 70 MWe per 26000 ore continuative senza rifornimento di combustibile.

In Argentina c’è già un altro progetto in questo senso: si chiama Carem, un reattore ad acqua leggera, e altri simili sono in fase di progettazione o già operativi anche in Cina e Russia.

Mettendo per un attimo da parte le potenziali criticità dal punto di vista ambientale, i dubbi di alcuni vertono anche sulla possibilità di replicare questi modelli su larga scala. Di recente un progetto italiano per lo sviluppo di una nuova tecnologia per l’energia nucleare pulita e sicura ha ottenuto un finanziamento di cento milioni di euro. La società Newcleo con sede a Londra, guidata dal fisico Stefano Buono, punta “a cambiare gli schemi nel settore dell’energia nucleare e si basa sull’applicazione innovativa di tecnologie preesistenti e già sviluppate, tra cui i Lead Fast Reactor (Lfr) che utilizzano il piombo come refrigerante al posto dell’acqua o del sodio e gli Accelerator driven system (Ads), che si basano sulla combinazione di un reattore subcritico con un acceleratore di particelle e l’utilizzo del torio come carburante naturale”. L’obiettivo è quello di ridurre drasticamente il volume di rifiuti radioattivi prodotti ed evitare gli incidenti nucleari grazie al mantenimento del reattore costantemente in stato sottocritico. Newcleo, che ha ricevuto il sostegno del premio Nobel per la fisica Carlo Rubbia, mira inizialmente a sviluppare piccoli reattori da 20 megaWatt rivolti ad esempio ai trasporti marini. Entro un decennio, è l’idea di fondo, si punta a versioni da 200 megaWatt capaci di alimentare le reti elettriche nazionali.

In Italia, com’è noto, quando si parla di nucleare il dibattito si accende. Per quanto riguarda la fusione nucleare, ricorda il direttore di Greenpeace Italia Giuseppe Onufrio in un intervento sul Manifesto, ”è ancora allo stadio di ricerca e per la Commissione Europea, che finanzia il progetto Iter, non ci si aspetta alcuna produzione commerciale prima del 2050″, mentre per quanto riguarda i mini-reattori, “per decenni si è cercato di tagliare i costi del nucleare alzando la potenza dei reattori, che si riesca miniaturizzandoli appare un nonsense”.

Per Greenpeace, lo sviluppo di impianti di terza generazione a fissione sta già subendo ritardi e intoppi, ragione per cui appare attualmente azzardato discutere di quarta generazione, soprattutto in Italia dove in seguito ai referendum per l’abbandono del nucleare, la filiera è stata gradualmente smantellata.

Secondo Minopoli, tuttavia, “c’è da sorprendersi per le polemiche”, ha detto all’Ansa, “le iniziative di cui ha parlato il ministro, i mini-reattori di ultima generazione, sono cose che vanno avanti da tempo nell’economia internazionale. Nel mondo ci sono una ventina di questi impianti in fase di completamento, e che diventeranno operativi entro il 2026, una nuova tecnologia, diversa dalle centrali tradizioni. Sono piccoli reattori avanzati a fissione, che non producono scorie radioattive ad alto decadimento, perché i prodotti di risulta diventano nuovo combustibile. Poi questi impianti non hanno pompe ed elementi manuali, e questo elimina fattori di criticità”.

“Cingolani – ha detto all’AdnKronos Chicco Testa, presidente Fise Assoambiente –  ha semplicemente affermato che, anche a a fronte dei nuovi sviluppi tecnologici che puntano a reattori nucleari più piccoli, meno costosi, più sicuri e con meno produzione di scorie, sarebbe illogico non tenere in considerazione questa opzione. La stessa tesi esposta, fra gli altri, da Bill Gates in un suo recente libro. Vedere Greenpeace preoccuparsi dei costi di questa soluzione induce al sorriso ironico. Soprattutto di fronte alle gigantesche quantità di quattrini immesse nel sostegno alle rinnovabili con insufficienti risultati (ad oggi le rinnovabili pesano per qualche punto percentuale sul totale dei consumi di energia e non intaccano il dominio dei fossili) e di fronte, secondo loro stessi, ad un cataclisma prossimo futuro da sconfiggere con ogni mezzo, senza se e senza ma”.

Non la pensa così Angelo Bonelli di Europa Verde: “In Europa il Paese più avanzato sul nucleare è la Francia che sta cercando di sviluppare reattori di generazione III+, ma per ora i risultati sono stati molto deludenti”, dice all’HuffPost. I lavori per il nuovo reattore nella centrale nucleare di Flamanville iniziarono nel 2007 e sarebbero dovuti costare tre miliardi e mezzo, da progetto iniziale. “Ora i costi sono lievitati, si è arrivati oltre gli undici miliardi e ancora non è stato ultimato. Potrebbe diventare operativo nel 2022: ci sono voluti quindici anni”.

L’esempio francese, secondo Bonelli, fotografa quanto sia stato “fuori luogo” l’intervento a favore del nucleare: “Noi siamo nel pieno della più grande sfida per invertire la rotta del cambiamento climatico. L’Unione Europea ci ha detto che dobbiamo ridurre le emissioni di CO2 del 55% entro il 2030 e azzerarle entro il 2050. Con i ritardi che abbiamo sul fronte delle rinnovabili e viste tutte le criticità emerse con i reattori di terza generazione plus, il ministro parla di impianti quarta generazione che non si sa se, come e quando potrebbero essere operativi? Forse non è chiaro che non abbiamo tempo, senza tralasciare che anche i reattori di quarta generazione genererebbero scorie. Di meno, certamente, ma le scorie resterebbero e la sicurezza intrinseca tanto decantata di questi ipotetici impianti non esiste”.

Quanto al peso del nucleare di vecchia generazione sui consumi mondiali di energia, “oggi contribuisce a meno del 2%, molto meno del fotovoltaico e dell’idroelettrico. È sulle rinnovabili che si deve continuare a spingere, non su progetti ancora in fase di sperimentazione che non si sa quando termineranno, e con quali risultati”, conclude Bonelli.

(Huffpost)

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