19 Aprile, 2024
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Le attiviste di Pangea si sono salvate grazie a una ‘P’ sulla mano

Lo stratagemma per farsi riconoscere dai carabinieri italiani che le hanno accompagnate verso il volo della salvezza. “Ora il mio sogno è portarle per la prima volta al mare” dice Luca Lo Presti, il presidente dell’organizzazione milanese

Una ‘P’ sul palmo della mano, la firma della salvezza. Se la sono disegnata le attiviste afghane di Pangea, assieme ai loro familiari, in tutto 270 persone, per farsi riconoscere dai carabinieri del Tuscania che le hanno accompagnate al gate dell’aeroporto di Kabul da dove sono partite per Roma, lasciandosi indietro la paura dei talebani. Da giorni le avevano nel mirino per l’impegno da molti anni nella ‘costruzione’ e nella difesa dei diritti delle donne.

Prima di partire, le hanno picchiate dopo avergli fatto sentire il fiato del conquistatore sul collo, per giorni barricate in casa, il timore di sentire bussare nelle lunghe notti. I lividi ben impressi sui corpi non le hanno fermate. Nella loro testa di donne giovani, dai 25 ai 45 anni, l’Italia è una pausa prima di ricominciare a immaginare un altro Afghanistan.

Il console in piedi sui container

Il presidente dell’organizzazione milanese, Luca Lo Presti, racconta all’AGI l’operazione, con scene epiche come quella del giovane console italiano Tommaso Claudi “in piedi sui container” per avvistare uomini e donne da mettere in salvo. “L’idea di far disegnare una ‘P’ sul palmo è venuta a me perché l’aeroporto è diventato un tritacarne, bisognava far in modo che i ‘nostri’ venissero riconosciuti dai carabinieri guidati dal capitano Alberto Del Basso, che è andato ben oltre il suo dovere, mostrando un grandissimo cuore. Assieme ai carabinieri c’era un ragazzo afghano del nostro team che li aiutava a identificare le persone”.

Si è deciso di portare in Italia anche i cari delle attiviste perché “nei giorni scorsi, dopo che abbiamo messo in luoghi protetti le ragazze, i talebani se la sono presa coi loro parenti, portando via fratelli e bambini, oltre a bruciargli le case”.

Il sogno del mare

Il contatto dall’Italia con le attiviste è stato continuo, anche nei momenti più complicati: “Un gruppo di 25 donne coi bambini è rimasto chiuso fuori dal gate dalle 3 del mattino fino alle 6 del giorno dopo. Senza cibo né acqua, senza potersi mai sedere, pigiate nella folla, preoccupate per le voci secondo le quali il gate non avrebbe più riaperto. Ci sono stati attimi di grande panico”.

A quel punto, Luca, la moglie Maria e gli altri di Pangea hanno scelto di sdrammatizzare: “Gli abbiamo promesso che le portiamo al mare perché qui è ancora estate. Compriamo un bikini a tutte e ci andiamo davvero. Faremo un grande tuffo. Sarà la prima volte che vedranno il mare, immagino i loro occhi ”.

(Agi)

 

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