19 Marzo, 2024
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Se lo Stato, la Regione, il Comune o chi di dovere non intervengono…

Se lo Stato, la Regione, il Comune o chi di dovere non intervengono, perché dovrei farlo io?

La pima risposta sarebbe citare la stupidità dell’azione di quel marito che volle fare un dispetto idiota alla propria moglie facendo un grave danno a se stesso, ma occorre anche spiegarne il senso.

L’individualismo permette la sopravvivenza di un singolo individuo limitatamente al periodo in cui questi è sufficientemente forte ed autonomo. Una volta divenuto fragile, per malattia, debolezza, vecchiaia, il suo destino è soccombere. Molte specie viventi hanno la loro forza proprio dall’essere organizzati in gruppi, in “società”, in cui ciascuno opera per la comunità e la comunità riesce a far sopravvivere anche i più deboli.

L’Uomo, in particolare, è riuscito a realizzare società che permettono non solo di sopravvivere, ma di vivere molto meglio di quanto non possa mai fare il singolo, il quale, ad esempio, non potrebbe costruirsi da solo ospedali, scuole, strade … e neanche cinema, teatri, stadi. Società nella quale si riesce a soddisfare non solo i bisogni primari, ma anche necessità sovrastrutturali come la cultura, il benessere, il piacere.

In una società nella quale tutti fossero sufficientemente istruiti da concepire il “gruppo” come struttura per sopravvivere e, anzi, vivere meglio, non ci sarebbe necessità di Leggi scritte né di repressione in quanto sarebbe chiaro a tutti che agire per il bene comune è più redditizio che agire per il solo bene proprio. Nessuno agirebbe contro le “Leggi” della comunità (a meno di errori o di stupidità) e non si avrebbe alcuna necessità di reprimere alcunché

Nella nostra comunità scolastica esistono persone più intelligenti le quali, davanti alle necessità della collettività, dimostrano estrema collaborazione e gentilezza verso i bambini che ospitiamo dimostrando, con il loro operato, la propria civiltà ed il senso civico di appartenenza ad una comunità educante che, con l’esempio, indica la corretta strada da percorrere ai nostri giovani. Queste mamme e questi papà, ripristinando l’aula verde e creando “punti lettura”, impegnandosi al miglioramento delle condizioni dei luoghi vissuti dai propri figli, invece di una inutile attesa di un ipotetico intervento del Comune (che ha evidentemente altre priorità nel suo carnet, quali tagliare alberi e concedere licenze edilizie) ha deciso che il bene della comunità (e dei propri figli) viene prima della correttezza istituzionale.

Se a livello generale la Nazione soffre e non possono essere realizzati lavori per la Scuola o per risolvere i problemi dei cittadini più deboli di Ladispoli, questi sono stati invece realizzati da genitori, cittadini sensibili, responsabili e consapevoli che il bene dei propri figli vada messo al di sopra di qualsiasi polemica.

Un conto è protestare per ottenere il rispetto dei propri diritti (o meglio quello di bambini che frequentano la nostra Scuola), altro conto è protestare, ma contemporaneamente agire per fare in modo che per essi si abbia il massimo possibile e subito. L’operosità di questi genitori mostra a tutti la loro intelligenza e la loro volontà di aiutare la Scuola nella sua perenne difficoltà in cui è gettata da chi, a differenza di fortunatamente molti genitori, desidera che essa non possa lavorare al meglio delle sue capacità.

Di questo tutti noi lavoratori della Scuola siamo grati. Questa azione credo sia un dato evidente e rappresenti un valore significativo della collaborazione offerta dai genitori alla Scuola, cioè alla società e quindi ai loro stessi figli.

Questo gesto non deve rimanere fine a se stesso, ed è la dimostrazione di come dalla Scuola e dai genitori non partano solo polemiche, ma tutti siano pronti in un sereno clima di collaborazione a fare la propria parte per la società anche se altri lo dimenticano. Naturalmente ci attendiamo che anche altri facciano rapidamente ciò che è di loro competenza: in definitiva, se con il buon senso si riuscirà a sistemare la Scuola, sarà una grande vittoria per tutti.

La Carta Costituzionale riporta come un diritto fondamentale dei cittadini quello dello studio, per cui lo Stato dovrebbe aiutare le famiglie a far studiare i ragazzi. Purtroppo non ha sufficienti mezzi, perché i politici che noi eleggiamo puntano solo al benessere immediato (come la riduzione delle tasse, che implica meno servizi o servizi più scadenti o limitati) e non hanno la lungimiranza di chiedere più fondi per impiegarli per il welfare e l’istruzione, la sanità, la ricerca o l’ambiente. Ma la colpa è solo nostra perché siamo noi ad eleggere chi agisce in maniera miope e quindi dobbiamo lamentarci solo della nostra dabbenaggine nello scegliere i nostri rappresentanti.

Certamente l’impegno personale costa soldi e fatica, ma non possiamo immaginare quanto siano ben spesi quei soldi e quella fatica per il bene dei ragazzi: si tratta di un vero e proprio investimento. Molto di più costa invece l’ignoranza e l’indifferenza che, direttamente o indirettamente, producono catastrofi, provocano spese inutili o comunque generano malessere dovuto ad errori (anche in buona fede) che non verrebbero commessi se ci fosse maggiore conoscenza e maggiore istruzione. Il tutto ha ovviamente sempre un costo che grava sulla collettività intera. Pensiamoci: quanto ci costa l’ignoranza della necessità di riciclare i rifiuti o di rispettare le normative sulla sicurezza?

D’altro canto i soldi che potrebbe offrire lo Stato alla Scuola, sono comunque soldi nostri, cioè soldi che provengono dalle tasse che abbiamo pagate, ma allora tanto vale che li spendiamo direttamente per offrire ai nostri figli il meglio: almeno abbiamo la certezza del loro uso!

La risposta alla domanda iniziale è allora in quanto affermato da Gramsci nel lontano 1917: “Odio gli indifferenti … perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

Il Comune ha lasciato la nostra aula verde senza manutenzione da anni, non vi arriva più nemmeno l’acqua e le piante soffrono, si seccano e muoiono. Ora abbiamo la risposta alla domanda iniziale: perché dovremmo rimboccarci le maniche per farla rivivere? La risposta ce la offre Peppino Impastato, ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978: “Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un’arma contro la rassegnazione, la paura e l’omertà. All’esistenza di orrendi palazzi sorti all’improvviso, con tutto il loro squallore, da operazioni speculative, ci si abitua con pronta facilità, si mettono le tendine alle finestre, le piante sul davanzale, e presto ci si dimentica di come erano quei luoghi prima, ed ogni cosa, per il solo fatto che è così, pare dover essere così da sempre e per sempre. È per questo che bisognerebbe educare la gente alla bellezza: perché in uomini e donne non si insinui più l’abitudine e la rassegnazione ma rimangano sempre vivi la curiosità e lo stupore.”.

Riccardo Agresti

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