19 Aprile, 2024
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Giulio Tremonti: “Mai demonizzati i no Global ma preferisco Marx”

G8 Genova, 20 anni dopo. L’ex ministro e professore: “La crisi del sistema non è finita e si ripresenterà”

 

Professor Tremonti, cosa ricorda del G8 di Genova?

Non ero né presente né coinvolto, perché al G8 si riunivano i Capi di stato e di governo, e le informazioni che ho sono quelle diffuse dalla stampa.

Lei di cosa si stava occupando?

Ero in carica, come tutto il secondo governo Berlusconi, solamente da un mese. Il mio impegno era concentrato sull’Italia. Dovevo unificare il ministero dell’economia e il ministero delle finanze (un’operazione tremendamente complessa, senza la quale il governo non poteva partire, perché la legge Bassanini imponeva l’unificazione), in più c’era l’esigenza di colmare un buco di bilancio di cinque mila miliardi di lire lasciato dal precedente governo (l’alternativa sarebbe stata l’avvio di una terribile procedura europea).

Ma si era fatto, immagino, un’idea del Movimento no global.

Certamente ne conoscevo l’esistenza. Ma la mia preferenza, nel campo del pensiero della sinistra, era semmai per Marx.

Anche i teorici no global leggevano Marx.

Ma Marx non era un no global.

Ma ai tempi di Marx non c’era la globalizzazione.

Marx però l’aveva prevista, e, in ogni caso, non credo avrebbe condiviso le tesi dei no global.

I no global contestavano il modo in cui si era fatta la globalizzazione.

Per come l’ho vista e la vedo io, con la caduta del Muro di Berlino e lo sviluppo della Rete, la globalizzazione non poteva essere fermata, ma certo doveva essere fatta in tempi più lunghi e più saggi.

Qual è stato il problema?

Nel luglio del 1989, anno Bicentenario della Rivoluzione francese, ho scritto, in un articolo per il ‘Corriere della Sera’, che si stava spezzando la catena politica secolare e fondamentale, la catena stato-territorio-ricchezza.

Ovvero?

Che la ricchezza si stava liberando dagli antichi vincoli territoriali e via via entrava nella Repubblica Internazionale del Denaro, nel regno dell’anomia e dell’anarchia. L’articolo abbastanza profetico – se posso – venne intitolato “Una rivoluzione che svuoterà i parlamenti”. Noti che si era in luglio, il muro sarebbe caduto a Novembre.

I no global questa consapevolezza non l’avevano?

Posso dirle che non ho mai demonizzato il movimento no global, né l’ho mai condannato a-prioristicamente, ma per quanto so del pensiero no global, mi pare abbia un limite: l’eccessiva concentrazione dell’attenzione contro le multinazionali, senza la comprensione dell’utopia della globalizzazione, basata sul ‘mercatismo’.

Ma i no global contestavano tutti i summit internazionali, dal G8 al Wto.

Queste erano le loro azioni. Ma la mia impressione è che – da un punto di vista filosofico – non avessero compreso l’essenza dell’utopia globale, mirata a creare l’uomo nuovo e il mondo nuovo, secondo una concezione religiosa del mercato.

Religiosa?

Il design della globalizzazione è stato fatto in tre quattro anni (dalla caduta del muro al Wto) dagli ’illuminati”. La parola più usata era una parola latina: ‘Momentum’. Dicevano: ‘Non possiamo perdere questo momento storico, è un nostro dovere agire adesso’. C’era idealismo, c’erano interessi, c’era perfino il poeta di corte, Francis Fukuyama, quello della fine della storia.

Lei, però, era un ministro dell’economia.

È un fatto che io fossi un critico della globalizzazione come veniva fatta. Infatti, le mie critiche le facevo apertamente, nei summit internazionali. Nella prefazione della traduzione giapponese del mio libro, “La paura e la speranza”, il governatore della Banca centrale lo racconta molto chiaramente.

Cosa si è inceppato nella globalizzazione, secondo lei?

La globalizzazione ha dieci-dodici anni dorati, finché non arriva la crisi finanziaria del 2008, che è la crisi dell’impianto finanziario della globalizzazione, nel quale i capitali andavano in Asia, mentre il ceto medio e operaio negli Stati Uniti veniva sostenuto con l’invenzione dei mutui subprime. Quando il sistema crolla, e crolla in tutto il mondo, il governo italiano, prima al G7 di Lecce e poi a L’Aquila, prende l’iniziativa.

Cosa fate?

Diciamo, primo, che la crisi non è finita e che si ripresenterà. E secondo: che servono regole nuove, perché non puoi avere, sopra, una finanza onnipotente e anarchica e, sotto, regole nazionali inefficaci. Nasce così l’idea del Global legal standard: nuove regole per l’economia, il passaggio dal free trade, al fair trade.

Passò?

Venne votato 2009, ma poi il Global legal standard fu superato dal Financial legal bord, secondo il quale non servivano nuove regole per l’economia, ma solo dei nuovi criteri per la finanza. Sono andato a rivedere il vecchio global legal standard e all’articolo 4 c’era scritto: “Rispetto regole ambientali e igieniche”. Le dice niente?

Pensa che le sue idee sono state sconfitte?

Legga l’ultimo communiqué del G8 e troverà due paroline magiche: ‘fair trade’, le stesse che io proponevo più di dieci anni fa.

Vent’anni fa, al G8 di Genova ci sono stati anche delle violenze.

Ricordo le immagini delle violenze, inaccettabili. E ricordo che c’è stato un processo.

(Huffpost)

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