28 Marzo, 2024
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Un nuovo Nathan per la sinistra a Roma

I temi sono analoghi a un secolo fa. Da sindaco diede la scossa, smentì il pregiudizio che per l’Urbe non c’è niente da fare

Un colpo basso. Quasi una pugnalata al cuore. Proprio mentre il centrosinistra sceglie il suo campione tra sette candidati al Campidoglio – sette come i colli fatali, sette come i nani di Biancaneve – esce per Marsilio uno splendido volume che ci racconta Ernesto Nathan e l’invenzione di Roma. Il sindaco che cambiò la Città eterna. Chiunque si immerga nelle 284 pagine scritte da Fabio Martini, romano, romanista e firma politica della Stampa, prima viene preso dallo sconforto, poi s’incazza. Perché è impossibile evitare il confronto, impietoso, tra quel ceto rivoluzionario di oltre cent’anni fa e le anime perse della sinistra attuale; tra il tumulto di idee, di passioni, di programmi che caratterizzò il “Blocco” riformatore di inizio Novecento e la vuotaggine del presente. Per dirla in romanesco, “nun c’è trippa pe’ gatti” (espressione a quanto pare coniata dallo stesso Nathan).

Leggendo si scopre che i tormentoni della campagna elettorale 2021 sono più o meno gli stessi di allora. Dunque sporcizia e trasporti. Qualità dell’acqua. Marciapiedi. Illuminazione. Le proverbiali buche nel centro storico. L’abbandono delle periferie. Con qualche modesta variazione sul tema. Al posto degli omnibus trainati da cavalli abbiamo i bus che prendono fuoco. Allora affitti proibitivi, oggi invasione di B&B e dei locali aperti dalla camorra. È scomparsa (per fortuna) la malaria che arrivava a lambire le baraccopoli lungo il Tevere; in compenso proliferano topi, corvi, pappagalli e gabbiani. Le pecore che brucavano in città, perfino in Piazza del Popolo, sono state rimpiazzate dai cinghiali. Oggi come allora, negli uffici della burocrazia capitolina aleggia la questione morale. Ma mentre adesso c’è assuefazione quasi compiaciuta al degrado, Nathan diede la scossa. Puntò forte sull’istruzione, incoraggiò una maestra visionaria come Maria Montessori. Portò ai romani luce e gas. Diede vita a municipalizzate in grado di abbattere i costi dei servizi essenziali facendo concorrenza ai privati. Fissò le direttrici dello sviluppo urbanistico mettendo un freno alla speculazione imperante. Lasciò nel 1913 una città quasi irriconoscibile rispetto al 1907: capitale europea moderna, proiettata nel futuro, che non aveva risolto i problemi (figuriamoci) ma perlomeno ne vedeva la soluzione.

Si domanda Martini: come mai Nathan non fece scuola? Perché dopo di lui siamo tornati al “volèmose bene”, al tirare a campare, all’eterno compromesso con gli interessi predatori, alla legalità come scusa per non fare nulla, all’immobilismo variamente travestito? Giusti quesiti, specie a pochi mesi dalle elezioni. Gettare discredito, tuttavia, non è la finalità dell’autore. Anzi, già dalle prime righe si coglie l’obiettivo opposto, di dare qualche utile dritta a chi volesse seguire le orme di Nathan. C’è un intento sommessamente pedagogico nel libro, che sgorga da una curiosità: come fece quell’uomo in appena 6 anni, cioè poco meno di quelli sprecati da Virginia Raggi, a realizzare la più grande trasformazione cittadina dell’era moderna, garantendo istruzione per tutti, servizi pubblici all’avanguardia, rispetto delle regole, laicità, intransigenza morale, guerra ai fancazzisti della pubblica amministrazione, primato della politica sulle burocrazie, partecipazione dei cittadini alle scelte. Tutte cose molto di sinistra anche se Nathan era repubblicano, un mazziniano austero e filantropo che non sapeva concepire i diritti senza i doveri, cresciuto nel mito della “Terza Roma” (la prima fu delle armi, la seconda delle lettere, la terza avrebbe dovuto brillare per il buon esempio). Anti-populista, lo classificheremmo oggi.

Non era nemmeno romano di Roma, anzi straniero tout court perché veniva da una famiglia ebraica cosmopolita che aveva messo radici a Londra; nulla in comune col “generone”, con la nobiltà papalina, con gli invasori piemontesi, con il giro di affari e di faccendieri al seguito. Per giunta grandissimo massone, eletto da uno schieramento di mangiapreti socialisti, liberali, radicali e repubblicani. Niente compagnucci della parrocchietta. Un corpo estraneo all’establishment tanto quanto (per capirsi) di recente è stato Ignazio Marino, forse perfino di più del chirurgo reinventato sindaco e presto liquidato. Ma per quanto fosse un alieno, forse proprio per questo, il nostro Ernesto tirò dritto con totale ferocia, con intransigenza, da vero castigamatti. Smentì il pregiudizio che per Roma non c’è niente da fare, perché l’Urbe è refrattaria a qualunque progresso. Falso teorema.

Cambiare si può perfino all’ombra del Cupolone. Ma per battere l’inerzia ci vuole un fuoco dentro, servono idee ambiziose, convinzioni incrollabili anzitutto su Roma, su ciò che rappresenta per l’Italia e nel mondo. Occorrono programmi ambiziosi supportati da coraggio e determinazione. Indipendenza dai poteri forti. Dirittura morale. Voglia di progredire. Senso quasi religioso di una missione. Avercelo, un altro Nathan.

(Ugo Magri, Huffpost)

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