20 Aprile, 2024
spot_imgspot_img

Negli hotspot greci c’è l’inferno. Allarme per i suicidi tra i bambini

Il più piccolo aveva sei anni. “Una crisi costruita alle frontiere d’Europa”

Il drammatico report di Medici Senza Frontiere (MSF) mette i brividi.
“Hotspot in Grecia: la crisi costruita alle frontiere d’Europa” per chiedere, ancora una volta, ai leader dell’UE di riconsiderare radicalmente il loro approccio alla migrazione.

La ong auspica la fine delle attuali politiche di contenimento e deterrenza, che provocano danni evitabili alla salute di migranti, richiedenti asilo e rifugiati.

“Per più di cinque anni, la politica dell’UE di contenere le persone e trattare le loro domande di asilo negli hotspot sulle isole greche ha creato una crisi senza precedenti e un’enorme sofferenza umana. Queste non sono conseguenze involontarie”, dichiara Reem Mussa, esperta di affari umanitari e migrazione di MSF. “Il modello degli hotspot voluto dall’UE è progettato non solo per elaborare le domande di asilo dei migranti, ma anche per scoraggiare altri a cercare sicurezza in Europa”.

Il rapporto mostra come le politiche migratorie dell’UE mettono a rischio la salute e la sicurezza delle persone intrappolate nelle isole greche. Uomini, donne e bambini sopravvissuti alla violenza e alle difficoltà sono bloccati in condizioni spaventose, privi di informazioni sul loro status legale e sottoposti a dure procedure di asilo. Questo sistema infligge miseria, mette in pericolo vite umane e nega il diritto di asilo.

Sono più di 180.000 le persone transitate per le isole greche dalla firma dell’accordo UE-Turchia nel marzo di 5 anni fa. 847 sono morte nel tentativo di raggiungere la Grecia, 21 hanno perso la vita negli hotspot. Dodici gli incendi che hanno colpito i centri, uno dei quali ha distrutto quello di Moria.

Nel 2019 e 2020 le cliniche di salute mentale di MSF a Chios, Lesbo e Samos hanno curato 1.369 pazienti, molti dei quali in gravi condizioni, affetti ad esempio da disturbi da stress post-traumatico e depressione. Più di 180 persone curate da MSF hanno avuto episodi di autolesionismo o hanno tentato il suicidio. Due terzi di loro erano bambini, il più piccolo aveva solo sei anni.

Lo stress quotidiano e le paure costanti sono i principali fattori che incidono sul benessere e sulla salute mentale dei pazienti di MSF. Tra questi fattori bisogna includere le condizioni di vita precarie, le complicate procedure amministrative e di asilo, la continua esposizione alla violenza e all’insicurezza, la separazione familiare, i bisogni medici irrisolti e la paura di essere deportati.

Inoltre, per anni nelle isole greche sono stati trascurati anche i bisogni essenziali. MSF e altre ong sono state continuamente costrette a intervenire per fornire servizi di base, dall’assistenza sanitaria alla fornitura di acqua. Tra ottobre 2019 e maggio 2021, le équipe di MSF hanno distribuito oltre 43 milioni di litri di acqua pulita nel sovraffollato hotspot di Vathy a Samos, dove l’acqua non è potabile.

“Nonostante affermino di voler migliorare la situazione, l’UE e il governo greco stanno spendendo milioni di euro per standardizzare e intensificare politiche che hanno già causato così tanti danni”, afferma Iorgos Karagiannis, capomissione di MSF in Grecia. “Sorprendentemente l’hotspot di Moria sull’isola di Lesbo, che non solo era disfunzionale ma anche mortale, è diventato il modello di progetto per un nuovo centro-prigione a Samos. La nuova struttura, situata in una zona remota dell’isola e circondata da filo spinato, ospiterà le persone in container e ogni ingresso o uscita saranno controllati. Questo non può essere descritto come un miglioramento delle condizioni di vita. Il nuovo campo, che non solo era disfunzionale ma pericoloso per la vita delle persone, continuerà invece a causare un peggioramento della salute mentale delle persone, la cui sofferenza sarà ancor ancora più invisibile”.

L’UE e il governo greco stanno intensificando la crisi progettando nuovi centri multifunzionali di accoglienza e identificazione (MPRIC) in località remote delle isole greche. Uno di questi centri restrittivi è già in costruzione a Samos e potrebbe essere operativo nel giugno 2021.

“Non è troppo tardi per la compassione e il buon senso. L’UE e i suoi Stati membri devono porre fine alle politiche di contenimento e garantire che le persone che arrivano in Europa abbiano accesso all’assistenza urgente, facilitare l’accesso alla protezione e la ricollocazione per un’accoglienza sicura e l’integrazione nelle comunità europee”, conclude Mussa di MSF.

Jaber, un uomo di 37 anni e sua moglie, 21 anni, sono partiti dalla Siria a causa della guerra, cercando un posto sicuro e un futuro migliore in Europa. Durante il viaggio sua moglie era incinta. Il loro figlio che ora ha poco più di 1 anno è nato poco prima di attraversare il mare dalla Turchia.

“Siamo arrivati ​​a Samos nel novembre 2019, dopo numerosi tentativi falliti di attraversare il mare tra la Turchia e la Grecia. Avevamo paura. Abbiamo trascorso circa 9 ore in mare, ma alla fine siamo arrivati ​​a Samos e al campo di Vathy. Ma qui non c’è sicurezza. Mi sembra di vivere in una giungla. Non c’è elettricità. Non c’è un buon accesso all’acqua. Ti senti trattato da animale. Hai costantemente la sensazione di essere il bersaglio. Siamo un bersaglio delle autorità, siamo un bersaglio di altre persone all’interno del campo. Non sappiamo se ci accadrà qualcosa da un amico o da un nemico. Non ci sentiamo al sicuro […]. Mia moglie sta frequentando la clinica di salute mentale di MSF per ricevere assistenza psicologica. È stanca e depressa. Non si sarebbe mai aspettata di aver bisogno di farmaci psichiatrici per affrontare la vita.

Vogliamo avere un futuro. Voglio essere produttivo per la società. Voglio che mio figlio vada a scuola, che abbia una vita normale”.

(Globalist)

Ultimi articoli