19 Aprile, 2024
spot_imgspot_img

L’amaro addio di Macron all’operazione Barkhane

Il dispiegamento di truppe francesi nel Sahel per lottare contro i jihadisti era visto con crescente ostilità in patria e non aveva mai ricevuto il sostegno di alleati di peso.

L’uccisione del presidente del Ciad e il colpo di Stato militare in Mali hanno dato il colpo di grazia alla missione

Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha annunciato la fine dell’operazione Barkhane, il dispiegamento militare transalpino nel Sahel a contrasto dell’insurrezione jihadista che insanguina l’area e che solo la scorsa settimana ha registrato uno dei suoi episodi più brutali, con il massacro di almeno 138 civili nel Nord del Burkina Faso.

“Concluse le consultazioni, cominceremo una trasformazione profonda della nostra presenza militare in Sahel”, ha detto il presidente francese in conferenza stampa, comunicando la “fine dell’operazione Barkhane come operazione all’estero” e l’avvio di una “alleanza internazionale che associ gli Stati della regione”.

La morte di Deby e il golpe in Mali sconvolgono il quadro

Sempre più impopolare in patria, a causa delle decine di caduti tra le file francesi, l’operazione Barkhane ha ricevuto il colpo di grazia con due avvenimenti che hanno sconvolto il quadro geopolitico di una delle aree più instabili del mondo. Prima, lo scorso aprile Macron aveva perso un alleato chiave con la morte del presidente del Ciad, Idriss Deby, nei combattimenti contro i ribelli.

Poi, nei giorni scorsi, il colpo di Stato militare in Mali, il Paese epicentro dell’offensiva islamista, ha costretto Parigi a sospendere la cooperazione militare con Bamako, a causa dei segnali di conciliazione mandati dalla giunta del colonnello Goita ai jihadisti. Una situazione insostenibile sulla quale ha pesato il fallito tentativo della Francia di coinvolgere alleati occidentali di peso.

La solitudine dell’Eliseo

All’operazione Takuba, che dovrebbe prendere il posto dell’operazione Barkhane, partecipa finora un totale di 600 effettivi delle forze speciali europee con base in Mali: 300 francesi, 140 svedesi e alcune decine di estoni e cechi. Non abbastanza per sostituire i 5.100 militari transalpini al momento di stanza in Sahel.

Macron non ha nascosto la frustrazione nell’essere rimasto solo a contrastare un estremismo che prospera sul malcontento popolare per la povertà e la corruzione dei governanti. “Non credo che possiamo sostituirci ai popoli sovrani nel costruire un posto per loro”, ha dichiarato il presidente francese.

Esplicito anche il messaggio lanciato alle nuove autorità maliane. “Non possiamo sopportare l’ambiguita’”, ha detto l’inquilino dell’Eliseo, “non possiamo condurre operazioni congiunte con poteri che decidono di dialogare con gruppi che sparano sui nostri ragazzi”.

© Frederic Petry/ Hans Lucas via AFP

Un pattugliamento congiunto di forze francesi e maliane

Un inarrestabile ondata di stragi

L’operazione Barkhane, costata la vita a 50 soldati francesi, può vantare alcuni successi sul campo, come l’uccisione lo scorso anno del leader di Al Qaeda nel Maghreb Islamico, Abdelmalek Droukdel. Negli ultimi mesi la violenza jihadista non ha fatto però che intensificarsi, con i miliziani, spesso provenienti dal Mali, che hanno seminato il terrore nelle aree confinanti di Niger e Burkina Faso, attaccando villaggi e sterminando centinaia di civili.

Nel 2020 i civili uccisi nel Sahel centrale sono stati 2.248, 400 in più dell’anno precedente. E il 2021 era iniziato con la strage di 105 civili in due villaggi del Niger.

Il primo intervento francese risale al 2013, quando l’operazione Serval, rimpiazzata l’anno successivo dall’operazione Barkhane, cercò di arginare la saldatura tra le formazioni jihadiste e alcune milizie ribelli locali. Da allora gli scontri hanno causato la morte di migliaia di militari e civili e lo sfollamento di oltre due milioni di persone in nazioni tra le più povere del pianeta.

Un crocevia di traffici illegali

A favorire gli estremisti è lo scarso controllo che le autorità statali esercitano in territori dove vaste aree rurali e desertiche sono abbandonate a loro stesse, lasciando alla popolazione locale la creazione di milizie di autodifesa come unica alternativa al piegarsi ai jihadisti, abili a sfruttare le preesistenti divisioni tra gruppi etnici.

Macron è determinato a portare il dossier sul tavolo del G7. Il Sahel non è solo crocevia di commerci illegali di armi e droga ma è anche uno snodo fondamentale del traffico di esseri umani, il teatro della letterale traversata del deserto di decine di migliaia di migranti subsahariani che tentano di arrivare in Europa. Il Sahel è un problema di tutti. Ed è un problema che si sta aggravando.

(Agi)

Ultimi articoli