29 Marzo, 2024
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Taranto. L’inchiesta ex Ilva. Un patto tra pm e avvocato

In cella l’avvocato Amara, accusato di corruzione. Avrebbe raccomandato l’ex procuratore della città pugliese, Capristo, ai membri del Csm

Secondo i giudici, tra i due c’era un continuo scambio di favori e utilità

«Un patto d’acciaio» con il procuratore capo della Repubblica di Taranto, Carlo Maria Capristo, per chiudere un occhio sull’ex Ilva e far ammorbidire le posizioni di alcuni degli implicati nel processo “Ambiente svenduto”, concluso una settimana fa in primo grado con più di 2 secoli di carcere per i 44 imputati. Una ragnatela di favori da ricambiare, poltrone da ottenere, patteggiamenti da garantire, sistemi da mantenere. Ancora una volta sulla pelle di Taranto. Stavolta a finire in cella è l’avvocato Pietro Amara, conosciuto ai più per aver denunciato ai magistrati di Milano l’esistenza di una presunta loggia massonica chiamata “Ungheria” costituita da politici, magistrati, avvocati, imprenditori e vertici della polizia che cercavano di condizionare le nomine e la vita giudiziaria e politica italiana.

Amara, già avvocato e consulente dell’ex Ilva (finito in manette anche lo scorso anno per un’altra inchiesta), è stato arrestato nell’ambito di un’inchiesta sulla stessa azienda coordinata dalla procura di Potenza. Assieme a lui altre quattro persone. Corruzione in atti giudiziari, concussione, favoreggiamento, abuso di ufficio sono i capi di imputazione che a vario titolo vengono contestati a lui, al poliziotto Filippo Paradiso, anche lui in carcere, all’avvocato del foro di Trani, Giacomo Ragno, per cui è stato disposto anche il sequestro preventivo di 278mila euro di parcelle e a Nicola Nicoletti, già consulente esterno della struttura commissariale dell’ex Ilva, entrambi agli arresti domiciliari. Per l’ex procuratore di Taranto Capristo, in pensione da alcuni mesi, è stato disposto l’obbligo di dimora nella sua abitazione di Bari.

Amara, da quanto scritto nell’ordinanza di 300 pagine del gip di Potenza, Antonello Amodeo, sarebbe stato l’uomo di contatto con Capristo, quando il legale era consulente per conto dell’amministrazione straordinaria di Ilva, con i commissari nominati dal Mise. Secondo in pm, Capristo doveva un grosso favore ad Amara: la sua nomina a procuratore capo a Taranto. Amara, infatti, assieme a Filippo Paradiso, avrebbe messo in atto «un’incessante attività di raccomandazione, persuasione, sollecitazione, svolta nei confronti di chi era in grado di determinare la nomina di Capristo su membri del Csm» (da loro conosciuti direttamente o indirettamente), e su «persone ritenute in grado di influire su questi ultimi». In cambio, l’ex procuratore di Trani e Taranto, Capristo, avrebbe provato a far ammorbidire le posizioni della Procura verso l’azienda, anche rispetto alla richiesta di patteggiamento dell’ex Ilva nel processo Ambiente svenduto, avviata in quegli anni.

«A seguito dell’incidente mortale avvenuto nel 2016 nell’ex Ilva, in cui perse la vita l’operaio Giacomo Campo – si legge –, oltre a sollecitare la concessione della facoltà d’uso per l’Afo2 (Altoforno 2, ndr), nonostante l’accertata parziale inadempienza da parte dell’Ilva alle prescrizioni», avrebbe concordato con il consulente dell’acciaieria Nicola Nicoletti, arrestato anche lui, che «l’operatore sul “campo di colata” fosse indotto a confessare la sua esclusiva responsabilità onde escludere qualsivoglia coinvolgimento dell’azienda e della dirigenza». A Taranto bocche cucite. Troppo si è detto su Ilva. A parlare è solo Angelo Bonelli, dei Verdi, qualche anno fa eletto consigliere comunale. «Se l’accusa fosse confermata – afferma – sarebbe di una gravità inaudita, perché sono anni che come Verdi avevamo chiesto al Csm di intervenire sulla gestione Capristo a Taranto».

(Avvenire)

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