29 Marzo, 2024
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Sda Bocconi. Le donne nei cda sono il 37% ma la parità di genere resta lontana

A dieci anni dal varo della legge Golgo-Mosca che ha introdotto le quote rose nei consigli di amministrazione i processi organizzativi delle grandi imprese non sono cambiati

Sono passati dieci anni dall’entrata in vigore della legge Golfo-Mosca e i consigli di amministrazione hanno cambiato volto (la presenza femminile è passata dal 7% nel 2011 al 37% nel 2021) ma non si è ancora creata una “cinghia di trasmissione” che abbia promosso la parità di genere in tutti i processi organizzativi delle grandi imprese.È quanto emerge da una ricerca SDA Bocconi, con la partnership di Valore D, le sponsorship di Generali e McKinsey condotta da Simona Cuomo e Zenia Simonella dell’Osservatorio Diversità, Inclusione e Smart working. Le autrici hanno intervistato circa 140 tra consiglieri amministratori delegati e presidenti e alcuni opinion leader (scelti tra giornalisti e membri di importanti istituzioni) tra giugno 2020 e febbraio 2021.

La maggior parte degli intervistati riconosce che la legge Golfo-Mosca ha portato “un soffio di aria fresca” in organi spesso alimentati da network chiusi, scardinando meccanismi consolidati di scelta dei consiglieri. Questo rinnovato processo ha contribuito a cambiare il volto dei CdA, malgrado il bacino di donne che hanno avuto accesso ai consigli sia ancora limitato. Il contributo delle donne è stato importante nell’arricchire in termini di una maggiore richiesta di trasparenza e approfondimento delle informazioni, una forte attenzione alla compliance e al rispetto della normativa; l’introduzione di nuove prospettive sui problemi. Complessivamente il loro contributo è statopercepito più efficace nelle attività di controllo che nelle questioni organizzative e di business, anche perché le donne entrate nei CdA spesso provenivano dalla libera professione o dal mondo accademico e meno da posizioni manageriali.

«L’aspettativa, non necessariamente corretta, che le consigliere donne portassero nei CdA il tema della diversity e del gender gap è stata prevalentemente disattesa – commenta Barbara Falcomer Direttrice Generale Valore D –. L’impegno sul gender gap e in generale sulla strategia di diversity è stato sporadico e individuale. Per questo stiamo lavorando da qualche tempo per preparare donne e uomini – alleati irrinunciabili – sulla strategicità per le aziende di occuparsi di diversity & inclusion come fattore critico di crescita e sostenibiltà del business».

Emerge anche un altro spunto di riflessione: alcuni intervistati hanno sottolineato come le azioni di pressione e di spinta da parte delle consigliere siano state poco frequenti; la motivazione è principalmente legata alla convinzione diffusa che la parità di genere sia un tema operativo, gestionale, di cui si occupa l’amministratore delegato insieme al direttore delle Risorse umane. Manca ancora la consapevolezza che le politiche sul capitale umano sono parte integrante della strategia aziendale e un fattore critico di successo.«Pertanto, nonostante esistano all’interno dell’attività del consiglio diversi luoghi e strumenti per poter stimolare il dibattito, in questi dieci anni di applicazione della legge il tema non sembra essere entrato a pieno nell’agenda dei CdA – sottolinea Simona Cuomo –. Di conseguenza, non sembra essersi creata quella cinghia di trasmissione tra CdA e organizzazione che avrebbe potuto promuovere con più forza la parità di genere a tutti i livelli organizzativi. Secondo le persone intervistate, sarà soprattutto la pressione degli investitori istituzionali sui temi ESG (Environment, Social Governance) a dare la spinta decisiva affinché le imprese si occupino della parità di genere come tema strategico».

(Avvenire)

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