29 Marzo, 2024
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Cile, dal sangue al voto

Assemblea Costituente. Oggi e domani storiche elezioni per l’assemblea che dovrà eliminare l’impronta di Pinochet dalla Costituzione. Un appuntamento ottenuto con le proteste del 2019 represse dalla polizia

Juan Francisco Alarcón non aveva idea di dove si trovasse. I suoi polsi e le caviglie erano bloccate. Sentiva il freddo di una parete contro la sua faccia, intorno a lui era scuro e riusciva a vedere solo scarponi militari. C’era un gruppo di uomini in divisa davanti a lui, gli tiravano calci su tutto il corpo, riusciva a sentire solo le loro grida e spari di armi.

LO AVEVANO DENUDATO, lo stavano soffocando mentre lo insultavano e gli dicevano che lo avrebbero fatto sparire. Lo avevano picchiato così tanto da fargli perdere i sensi due volte. Gli colpivano l’ano e i testicoli con i fucili: una scarica di botte che sembrava non finire mai.

Lo avevano asfissiato, gli avevano messo del fuoco contro la faccia. Giocavano con il grilletto della pistola contro la sua testa. Avevano fatto la roulette russa, avevano inscenato la sua fucilazione, non sapeva da quanto tempo si trovasse in quel luogo. E poi sono cominciate le scariche elettriche sul suo corpo: Juan Francisco era sicuro che non ne sarebbe mai uscito vivo. Era il 19 ottobre 2019, la sua vita sarebbe finita così, a 28 anni e senza sapere dove si trovasse. La sua colpa? Aver partecipato a una manifestazione a Iquique, nel nord del Cile.

ERANO I PRIMI GIORNI delle massive proteste contro il governo di Sebastian Piñera che avevano portato milioni di persone in piazza. La repressione delle forze dell’ordine contro i manifestanti è da subito stata violentissima e ad oggi sono oltre 8mila i cittadini che hanno denunciato di aver subito abusi durante le proteste. Grazie alle manifestazioni lo scorso 25 ottobre è stato indetto un referendum per cancellare la Costituzione del Paese scritta durante la feroce dittatura del generale Augusto Pinochet. Oltre il 78% dei cittadini ha votato per abrogarla e il 15 e il 16 maggio, dopo un rinvio dovuto a un picco di contagi da Covid-19, in Cile si vota per i 155 candidati che per i prossimi due anni scriveranno la nuova Costituzione del Paese.

Juan Francisco ha denunciato di essere stato torturato da un gruppo di soldati per diverse ore all’interno di una base militare il 19 ottobre del 2019. È sopravvissuto a quel 19 di ottobre, sul corpo ha diversi tatuaggi, la barba e i capelli scuri. Sembra un ragazzo come tanti, ha un viso forte e serio ma ha anche due occhi così tristi che si notano dall’altra parte della stanza. Mentre il Cile vive un momento storico il manifesto racconta le storie di chi ha pagato il prezzo più alto per ottenere questo cambiamento.

A OTTOBRE DEL 2019 gli studenti a Santiago hanno iniziato a saltare i tornelli della metro per un aumento di 30 pesos del costo del biglietto. In pochissimo tempo milioni di persone si sono riversate spontaneamente nelle piazze del Paese dando il via alla più grande protesta dai tempi della dittatura di Pinochet. Per i cittadini cileni l’aumento del biglietto della metro è stata la scintilla per protestare contro le fortissime politiche neoliberali instaurate nel Paese durante la dittatura e sostenute negli anni successivi sia da governi di destra che di sinistra e che hanno creato una delle società più diseguali al mondo.

«ABBIAMO RICEVUTO DENUNCE di donne e uomini stuprati dalle forze dell’ordine. Ci sono persone che hanno il corpo pieno di proiettili di gomma, cittadini sequestrati e pestati in gruppo. In più di 460 hanno perso la vista totalmente o parzialmente a causa di proiettili di gomma o lacrimogeni sparati in piena faccia. Centinaia di manifestanti ustionati per l’attacco dei carri idranti, decine di morti e migliaia incarcerati». A parlare è Marta Cisterna, 53 anni, osservatrice dei diritti umani della Casa di memoria Jose Domingo Cañas a Santiago del Cile, un ex centro di tortura e detenzione dei tempi di Pinochet, dove sono stati sequestrati e uccisi decine di oppositori politici negli anni ’70.

DA DIECI ANNI LA CASA di memoria ha creato una commissione di osservatori di diritti umani che monitora le manifestazioni sociali del Paese. «Già nel 2011 ci siamo resi conto che i manifestanti subivano una repressione molto simile a quella che avevamo sofferto noi durante la dittatura di Pinochet», afferma Cisterna. Mario Acuña, 43 anni, il 23 ottobre del 2019 si trovava a una manifestazione a Santiago, nel comune di Buin, quando è stato circondato e attaccato da un gruppo di carabineros. Il pestaggio ha causato all’uomo danni neurologici così gravi da lasciarlo paralizzato e attaccato a un respiratore per il resto della vita. Gustavo Gatica è uno studente di psicologia di 21 anni, l’8 novembre 2019 stava protestando pacificamente quando due proiettili di gomma lo hanno centrato negli occhi: ha perso la vista per sempre.

LE MANIFESTAZIONI dall’ottobre 2019 non sono mai finite, nonostante la vittoria ottenuta con l’abrogazione della Costituzione di Pinochet che era solo una delle richieste di chi protestava e le forze dell’ordine hanno continuato a reprimere. Il 2 ottobre del 2020, quasi un anno dopo l’inizio della rivolta, una telecamera di sicurezza ha ripreso un carabinero che, vicino a Plaza della Dignidad (epicentro delle proteste), ha buttato giù da un ponte Anthony, un manifestante di 17 anni. Anthony si è ferito, ma è riuscito a salvarsi. Il 5 febbraio scorso un sergente ha ucciso con quattro colpi di pistola un giocoliere di 27 anni durante un controllo d’identità a Panguipulli, nel Cile meridionale.

LA SUA UCCISIONE è stata ripresa in un video che ha causato ondate di proteste in tutto il Paese. Il giovane si chiamava Francisco Andrés Martínez Romero ed era lo zio di Anthony, il 17enne spinto nel fiume. Per le gravissime violazioni dei diritti umani avvenute dall’ottobre 2019 a inizio maggio il presidente Piñera è stato denunciato davanti alla Corte penale internazionale (Cpi).

«Ricordo che mi trovavo alla manifestazione a Iquique – racconta Juan Francisco – quando d’improvviso è saltata la corrente elettrica e intorno a noi tutto è diventato buio. Sono arrivate le forze dell’ordine e hanno cominciato a reprimere e disperderci. Ho sentito un impatto fortissimo e quando mi sono risvegliato ero circondato da questo gruppo di militari che mi torturava». Oggi Juan Francisco sta cercando di ottenere giustizia e c’è un processo aperto per il suo caso. «Mi hanno denudato e si sono scattati delle foto con me mentre mi torturavano. Mi hanno disumanizzato. Mi dicevano che quello che mi stavano facendo doveva essere d’esempio per tutti quelli che osavano scendere per strada». Juan Francisco – che è riuscito a raccontare le torture subite nei dettagli – comincia a piangere e la voce si strozza quando ricorda il momento in cui è arrivato a casa dalla sua famiglia.

«GLI AGENTI mi hanno portato in un ambulatorio, ho sentito chiaramente il medico accordarsi per scrivere nel referto che le mie lesioni non erano gravi. Mi hanno lasciato in mezzo alla strada, non so come ma sono riuscito ad arrivare a casa. Ero disorientato non volevo che la mia famiglia mi vedesse. Quando sono entrato hanno cominciato a piangere disperatamente. Io ricordo poco di ciò che è successo dopo. Quello che mi è stato raccontato è che ho passato quasi un anno sdraiato sul divano di casa mia, piangendo. So che è difficile crederlo, ma da quel 19 ottobre a me sembrano passati moltissimi anni».

(Il Manifesto)

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