18 Aprile, 2024
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L’intelligenza artificiale e le sue interdipendenze 

Mostre. Al Maxxi, «Re: Humanism» alla sua seconda edizione, un progetto di Alan Advantage, dal 5 al 30 maggio

Ancora oggi il sospetto superficiale che circonda tutto ciò che ha a che fare con l’Intelligenza artificiale sembra incarnarsi nell’aspetto seducente e lussurioso del robot Hel di Metropolis. La meretrice di Babilonia pronta a condurci in un abisso spalancato da forze poi non troppo oscure. Se è questo l’atteggiamento di avvicinamento alla questione, potrebbero sfuggirci i veri problemi, le vere minacce, ma anche il rapporto tanto razionale quanto reciprocamente senziente che con l’Intelligenza artificiale può intrattenersi.

NON MISURARSI CON L’IA è non concedere l’incalcolabile corporeo nella sua infinita possibilità di connessioni e legami, è non concepirne la sua irriducibilità a schemi che deve preoccupare, non la facoltà di intrecciare sensibilità e piani simbolici altri, utopistici e in quanto tali rivoluzionari. Arrendersi a considerare l’IA come un moloch orribile e intoccabile, vuol dire lasciare che pochi gestiscano e predispongano gli algoritmi a cui viene attribuito un senso morale, una sorta di natura crudele per poter eludere il fatto che sono insopportabili perché le istruzioni sono impostate da pochi secondo un principio di naturalissimo rapporto di tipo medievale e prepolitico: quello servo/padrone.
A cercare la problematicità di questo rapporto, certamente molto complesso, ma indispensabile da esplorare è il progetto promosso da Alan Advantage, Re:Humanism che mettendo a confronto l’arte con l’IA partendo dalla fondazione di un’associazione culturale e proseguendo attraverso una call di progetti artistici, molti talk e una mostra che si terrà tra il 5 e il 30 maggio al Maxxi di Roma, intende mettere in crisi la certezza che il solido ed esclusivo rapporto tra intelligenze naturali (precisamente cos’è naturale?) sia di per sé un rapporto corretto che fluisce dentro un alveo di confortevoli interdipendenze.
Re:Humanism, alla sua seconda edizione con il titolo «Re:define the boundaries», si pone l’obiettivo di far saltare questa falsa narrazione del rassicurante naturale e dei suoi inquietanti confini o quanto meno darne una lettura in formula dubitativa. Non è rassicurante la feroce asimmetria del potere, non è rassicurante la violenza su genere e corpi, non è rassicurante la devastazione della umana esistenza sul pianeta, non è rassicurante un quotidiano vivere senza mai riuscire a pensarsi come intelligenza certo non artificiale ma nemmeno collettiva.

L’EDIZIONE DI QUEST’ANNO del premio, curato fin dall’esordio da Daniela Cotimbo, è stata lanciata intorno alla call L’arte e l’intelligenza artificiale – una visione proattiva del futuro che ci attende articolata in cinque sezioni (Corpo e identità nell’era dell’IA, Machine learning, robotica e computer vision, Politiche e abusi dell’IA, Antropologia dell’intelligenza artificiale, Visioni per il futuro del pianeta). È proprio l’uso e il dialogo con tecnologie capaci di ordinare, elaborare, sentire diversamente che ci pone davanti all’impossibilità di un rifiuto di un azione comune che riesca a immaginare e narrare un altro mondo possibile e soprattutto praticabile. E così il progetto, Beneath the Neural Waves 2.0 del gruppo berlinese Entangled Others, ci permette, tramite l’uso di nuove tecnologie, alcune ancora sperimentali, di immergerci nel mondo realissimo, ma per estensione digitale poeticamente re-immaginato per noi, delle barriere coralline, là sotto, in quella profondità dove non esiste un leader, ma migliaia di organismi che solo collettivamente e intrecciando le loro sapienze mantengono il buon equilibrio di una societas omnium bonorum. Mentre (Non-)Human: The Mooving Bedsheet di Yuguang Zhang esplora il rapporto strettissimo che abbiamo con gli oggetti che ci circondano, rapporto tanto inconsapevole quanto indispensabile per il nostro benessere. Non oggetti tecnologici, ma grazie alla tecnologia oggetti di cui scopriamo un’anima, dalle lenzuola che ci ospitano, agli asciugamani che ci asciugano, quella lampada che amiamo particolarmente, insomma i nostri, inaspettati, partner sociali.
La nozione di oggetto animato è studiata fin dai tempi di Aristotele e, attraverso strumenti di IA, l’artista si e ci chiede: «Se esiste uno spettro che misura il livello di umanità contro oggettività, cosa si trova nella via di mezzo? Quanto potrebbe essere vicino a un essere umano un oggetto dotato di un certo livello di intelligenza o coscienza?». Non può certo dirsi che una riflessione del genere non si immetta nel flusso della storia del pensiero e che non dimostri come attraversando l’esistenza della strumentazione tecnologica non si esperisca quella sorta di affettività che spesso ci lega a una cosa inanimata.

ALTRO PROGETTO tra i dieci selezionati è quello di Johanna Bruckner che con il suo Molecular Sex. Convinti nella scatola del «normale naturale» di gestire desiderio e autogestire soggetto desiderante, in realtà da tanto tempo sappiamo che molto del piacere sessuato lo giochiamo con regole eteroimposte che cancellano la durata, lo spazio e la ricerca del soggetto desiderato e desideroso. L’opera dell’artista austriaca, ibridando umano e non umano in un robot, reinventa e obbliga chi guarda a ridefinire e spalancare il gender fluid, che proprio nella incatturabilità di desideri, relazioni, performatività, composizione, altre sensibilità, trova il suo punto di resistenza, sopravvivenza e compone quello che Donna Haraway chiama «il gioco della matassa». E forse è dentro questa matassa che Hel si è finalmente liberata

(Michela Becchis, Il Manifesto)

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