Lo studioso Victor Pickard propone l’alternativa al disastro dell’informazione e al crollo dei modelli commerciali: un media center in ogni città, testate partecipative su base locale e giornali cooperativi finanziati dal pubblico, come avviene per istruzione e sanità

La maggior parte delle critiche al sistema dei media da parte della sinistra si focalizza sulla smaccata difesa ideologica dello status quo da parte dei media mainstream. Quest’enfasi è comprensibile dal momento che spesso ci troviamo ignorati o assurdamente demonizzati dai principali organi di informazione. Viene in mente Joy-Ann Reid di Msnbc che interpellò un falso «esperto di linguaggio del corpo» per convincere le persone che Bernie Sanders odia le donne, o Chris Matthews che paragonò la vittoria di Sanders in Nevada all’invasione nazista della Francia.

Ciò che attira meno l’attenzione della sinistra è la prospettiva di costruire un sistema mediatico che non sia così incline a promuovere gli interessi di chi è al potere. In altre parole: c’è qualcosa di terribilmente sbagliato nei nostri media, ma questo non significa che ci sia qualcosa di sbagliato nei media in astratto. Al contrario, l’accesso a un giornalismo tempestivo, concreto e di alta qualità è un bene sociale che la sinistra dovrebbe cercare di garantire a tutte le persone combattendo per media pubblici alternativi.

Nel suo nuovo libro Democracy Without Journalism? Confronting the Misinformation Society, Victor Pickard spiega perché il nostro sistema mediatico commerciale è così disfunzionale e antipatico e perché la sinistra dovrebbe darsi la priorità di costruirne uno migiore. Pickard è professore di politica dei media ed economia politica alla Annenberg School for Communication dell’Università della Pennsylvania. Meagan Day e Micah Uetricht gli hanno parlato nel corso di un episodio del podcast The Vast Majority. La conversazione è stata estratta e condensata qui di seguito.

Il tuo libro elenca diversi disastri dei media statunitensi che hanno permesso l’elezione di Trump: l’impulso dei media per il profitto, la circolazione di disinformazione sui social network e quello che chiami il «collasso strutturale lento ma inesorabile del giornalismo professionale». Sostieni che questi problemi c’erano prima di Trump, e che rimarranno ora che se n’è andato.

I nostri problemi non sono certamente iniziati con Donald Trump, ma la campagna per le elezioni del 2016 ha rivelato una serie di profonde patologie strutturali nel nostro sistema dei media. Pensiamo, ad esempio, ai notiziari via cavo che parlavano di Trump ossessivamente. Spesso cito a questo proposito la famigerata sentenza del Ceo ormai caduto in disgrazia della Cbs, Les Moonves, che di questa copertura continua disse: «Potrebbe non essere un bene per l’America, ma è un bene per la Cbs». Ciò la dice lunga su cosa c’è di così profondamente sbagliato nel nostro sistema mediatico guidato da valori commerciali e dagli imperativi di profitto che vincono sempre sulle preoccupazioni democratiche.

Meno visibile dell’orientati al profitto delle notizie via cavo, ma non meno importante, è il crollo strutturale del mercato dei giornali. Dall’inizio degli anni 2000, l’industria dei giornali ha perso oltre la metà dei suoi dipendenti. I media locali, in particolare, sono stati completamente devastati. Le radici di questo problema non solo sono precedenti a Trump, ma sono antecedenti a Internet. È comune dire che Internet ha ammazzato il giornalismo, ma ciò non sarebbe accaduto senza la commercializzazione della stampa, che ha ancorato il giornalismo agli introiti pubblicitari. Gli inserzionisti non si sono mai preoccupati così tanto di sostenere il giornalismo. Stavano solo cercando di raggiungere il pubblico, e il modo migliore per farlo era fare pubblicità attraverso i giornali locali, che avevano il monopolio nei loro mercati. Ma quando i lettori sono migrati sul web, quei monopoli sono scomparsi, così come le entrate pubblicitarie. Ora ci troviamo davanti a quelli che vengono definiti deserti delle notizie: intere regioni e comunità non hanno alcun mezzo di informazione locale. Abbiamo perso più di un quinto di tutti i nostri giornali dall’inizio degli anni 2000. E, naturalmente, tutto ciò danneggia in modo sproporzionato le classi subalterne, che non hanno sistemi affidabili per scoprire cosa sta succedendo nella loro comunità e nella loro società.

Nel frattempo, la pubblicità digitale paga pochi centesimi rispetto alla tradizionale pubblicità stampata, quindi l’intero modello di business del giornalismo supportato dalla pubblicità è sparito. Con il crollo del modello delle entrate pubblicitarie, quello successivo è stato il paywall: se gli inserzionisti non hanno intenzione di sostenere il giornalismo, lo facciano i lettori. Ma mentre trovi comunità finanziate da lettori di nicchia in grado di fare cose fantastiche, sappiamo che in generale i singoli lettori non sosterranno finanziariamente il giornalismo al livello che serve in una democrazia. Il mercato ha spinto il giornalismo verso una crisi strutturale.

I liberal si sono accorti del fatto che il giornalismo è in crisi, ma spesso reagiscono enfatizzando il ruolo di ciò che resta del giornalismo, con concetti poetici come «la democrazia muore nell’oscurità», slogan del Washington Post durante l’amministrazione Trump. Era la norma durante l’amministrazione Trump: il presidente denigrava la stampa e i liberal di riflesso ne esaltavano le virtù. Ma la sinistra ha un rapporto più complicato con la stampa mainstream, perché da essa veniamo maltrattati. Abbiamo visto come hanno trattato la campagna presidenziale di Bernie Sanders, per esempio. È vero che il giornalismo è di vitale importanza ma è vero anche che la stampa che abbiamo oggi svolge un ruolo nella riproduzione del consenso a favore dei potenti. Come possiamo tenere presenti entrambi questi concetti?

Hai messo il dito su una tensione centrale. A sinistra, la critica dei media tende a concentrarsi sulla funzione ideologica che i media tradizionali svolgono nel difendere lo status quo e promuovere gli interessi dei potenti. È vero: il nostro sistema multimediale è dominato da società di media aziendali impegnate a garantire che determinate storie non vengano coperte o che vengano trattate in un modo particolare. Detto questo, un’analisi di sinistra più sofisticata dovrebbe vedere il nostro attuale sistema mediatico imperfetto non come qualcosa di naturale o inevitabile, ma come ciò che è avvenuto a causa di lotte storiche specifiche. Una volta compreso ciò, possiamo capire che è possibile creare un diverso tipo di sistema all’altezza degli ideali che i liberal impartiscono al giornalismo in generale. Una critica più strutturale di sinistra riconosce come il nostro sistema attuale sia un sintomo del capitalismo.

Lavoro nel movimento di riforma dei media da molti anni ormai, e le persone di sinistra spesso mi chiedono: «Perché ci preoccupiamo di questi dinosauri?». L’atteggiamento è: «Lasciate che affondino». Lo capisco, soprattutto dopo la vigilia della guerra in Iraq: non dovremmo mai dimenticare il ruolo che hanno svolto le nostre istituzioni mediatiche in quell’occasione. Ma allo stesso tempo, dobbiamo riconoscere che qualsiasi progetto di sinistra, che si tratti di combattere il cambiamento climatico, l’incarcerazione di massa o la disuguaglianza economica, ha bisogno di un sistema dei media funzionante. Dobbiamo essere in grado di criticare il sistema attuale e al tempo stesso immaginare come potrebbe essere. Ed è per questo che anche se i liberali spesso sbagliano a diagnosticare il male, sono rincuorato che così tante persone si preoccupano del futuro del giornalismo. Mi dà qualche speranza che la riforma dei media possa essere un grande progetto per tutti noi.

Stai parlando di una difesa di sinistra del giornalismo, non dell’attuale sistema dei media ma dell’idea che l’accesso a informazioni sia un servizio importante, un pilastro di una società dignitosa come lo sono assistenza sanitaria, istruzione e infrastrutture e che, come questi, dovrebbe essere pubblico. Naturalmente, l’idea del giornalismo pubblico negli Stati uniti fa impazzire la gente, si inizia a parlare di una china scivolosa verso il totalitarismo. Molti pensano che automaticamente se lasciamo che lo Stato finanzi i media, allora i media saranno controllati. Mi colpisce che preoccupazioni simili siano state sollevate durante i tentativi di istituire l’istruzione pubblica negli Stati uniti. C’era chi diceva: «Non possiamo lasciare che lo stato indottrini i nostri figli». Ovviamente abbiamo istituito un sistema di istruzione pubblica nonostante queste obiezioni. E da allora abbiamo costantemente combattuto su ciò che dovrebbe essere insegnato nelle scuole, ma questi disaccordi non invalidano l’importanza dell’istruzione pubblica. Fanno solo parte del processo di mantenimento di un’istituzione democratica che serva i bisogni comuni.

Uso spesso questo parallelo. Le persone tendono a pensare che se le nostre istituzioni giornalistiche locali non sono più redditizie è un peccato ma non c’è nulla che si possa fare. È la legge della domanda e dell’offerta, il mercato ha parlato, sta a loro ora trovare un nuovo modello di business. Immagina se dicessimo la stessa cosa del nostro sistema scolastico pubblico locale. Cosa che ovviamente alcune persone fanno, ed è un problema, ma di solito almeno sono costrette a dirlo implicitamente e non esplicitamente. Stiamo parlando di beni pubblici. Ogni volta che parlo del futuro del giornalismo, cerco di convincere la gente che si tratti di un servizio pubblico essenziale, non di una merce o di qualcosa che dovremmo lasciare alle leggi del mercato. Anche a sinistra molte persone nutrono ancora idee liberali sul giornalismo, considerandolo come uno sforzo individuale e gli stessi giornalisti come talenti individuali invece che come un bene pubblico collettivo.

Tutti dovrebbero avere accesso a un livello di base di notizie e informazioni. Per far sì che ciò accada, non solo abbiamo bisogno di interventi normativi quando si tratta dei grandi conglomerati dei media, ma il giornalismo dovrebbe essere universalmente e pubblicamente garantito. A volte per ampliare l’immaginazione della gente parlo di public option, o menziono la Bbc, perché hanno un peso e una legittimità: gli statunitensi provano sensazioni calde e confuse nei confronti della Bbc, e la public option ha fatto parte del discorso pubblico per almeno un decennio. Fondamentalmente, alla fine, penso che l’obiettivo sia che ogni comunità in tutto il paese abbia una cooperativa giornalistica di proprietà locale finanziata con soldi pubblici.

Quando pensiamo al ruolo dei media mainstream nel far eleggere Trump, non c’è solo il problema che i notiziari via cavo hanno dato alla sua campagna così tanto spazio. È successo anche che molte persone già odiavano i media mainstream senza sapere esattamente perché, e Trump ha alimentato quell’odio in un modo particolare e reazionario. In che misura pensi che queste proposte possano aiutare non solo a ripristinare la fiducia nei media, ma addirittura a trasformare il nostro sistema mediatico in modo che si guadagni giustamente la fiducia del pubblico?

A proposito della reputazione della stampa, penso che ci siano tanti guasti da risolvere, molti dei quali sono auto-inflitti. Il sistema mediatico di mercato degenera da decenni e ci sono buone ragioni per non fidarsi di quello che dicono. Ci sono alcuni fatti che dimostrano che la mia è più di un’ipotesi: le istituzioni giornalistiche locali godono ancora di livelli relativamente alti di fiducia rispetto ai grandi conglomerati nazionali. In generale, quando le comunità locali sono coinvolte e impegnate nei propri media locali, i livelli di fiducia tendono a salire. Mi sono fatto le ossa nei media indipendenti tra la fine degli anni Novanta e l’inizio degli anni 2000, e questo il movimento lo intuiva: lo slogan di allora era: «Non odiare i media, diventa i media».

Detto questo, non possiamo fare affidamento solo sul lavoro volontario o su donazioni senza scopo di lucro. Se riesci a immaginare un media center indipendente in ogni comunità a finanziamento pubblico, allora non affronti solo alcuni problemi strutturali, ma aiuti [anche] a cambiare l’opinione diffusa sulle istituzioni che forniscono questo servizio pubblico vitale.

*Meagan Day è staff writer di Jacobin. È coautrice di Bigger than Bernie: How We Go from the Sanders Campaign to Democratic Socialism. Micah Uetricht è il vicedirettore di Jacobin e conduttore del podcast di Jacobin Radio The Vast Majority. È autore di Strike for America: Chicago Teachers Against Austerity e coautore di Bigger than Bernie: How We Go from the Sanders Campaign to Democratic Socialism.Victor Pickard è professore associato alla Annenberg School for Communication dell’Università della Pennsylvania. I suoi ultimi libri sono After Net Neutrality, scritto in collaborazione con David Elliot Berman, e Democracy Without Journalism?. Questo articolo è uscito su JacobinMag. La traduzione è a cura della redazione.

(Jacobin Italia)

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