29 Marzo, 2024
spot_imgspot_img

Comunicato stampa del Coordinamento Nazionale No Triv sul Piano nazionale di Ripresa e Resilienza

Pubblichiamo questo comunicato che offre interessanti spunti di riflessione, in particolare sulla “filosofia” alla base del Piano per far ripartire il Paese

 

PIANO NAZIONALE DI RIPRESA E RESILIENZA, PERSA UN’OPPORTUNITA’ STORICA PER INVERTIRE LA ROTTA

Il passaggio parlamentare del PNRR non modificherà l’impostazione del Piano, né i suoi numeri da capogiro: quale forza parlamentare oserà mettere in discussione un Piano di investimenti da 221,5 miliardi di euro?

Il tomo da 337  pagine, farcito di numeri, di tabelle e di qualche inglesismo di troppo, racchiude in sé tutto quanto non è stato realizzato negli ultimi 30 anni: dalle “sempre verdi” riforme strutturali (pubblica amministrazione, giustizia, semplificazione della legislazione e promozione della concorrenza, ecc.) fino all’eliminazione delle disparità di genere e tra le generazioni, transitando per l’immancabile riequilibrio Nord-Sud.

Il libro dei sogni, dunque, direbbe qualcuno. Più realisticamente, le 337 pagine racchiudono un Piano privo di ambizione per un Paese che rischia di perdere definitivamente l’opportunità storica di ricostruirsi e reinventarsi dopo la pandemia.

Non è sufficiente citare le parole-chiave “transizione” 170 volte, “sostenibilità” 154 ed “ambiente” 101, per fare del Piano lo strumento principe della transizione “utile”, la sola in grado di consentire di centrare gli obiettivi che ci siamo dati in sede U.E. al 2030 ed al 2050.

Non v’è dubbio che, come afferma il Ministro Cingolani, fare la transizione significhi spostarsi dal punto A al punto B, ma occorre essere in grado di farla alla giusta velocità  e all’altezza dei bisogni ambientali e sociali scaraventati in primo piano da una crisi di sovrapproduzione. Si badi, è scritto nel Pnrr: “Il PNRR è un’occasione straordinaria per accelerare la transizione ecologica”. Ebbene, la transizione disegnata nel Pnrr è troppo lenta e segue traiettorie pasticciate e patteggiate, confacenti all’ideologia ed agli interessi dell’Oil&Gas. 

Se ci si sofferma su alcuni passaggi della Missione 2 (Rivoluzione verde e transizione ecologica), i numeri del Piano appaiono molto poco convincenti. 

INCREMENTO DELLA QUOTA DI ENERGIA PRODOTTA DA FONTI DI ENERGIA RINNOVABILE (FER) NEL SISTEMA

Ad esempio, l’aumento di energia rinnovabile proposto di 4,2 GW non ci consente di raggiungere entro il 2030 l’obiettivo U.E. del 32% del consumo elettrico da fonti rinnovabili. Secondo il Gruppo di ricerca ENERGIAPERLITALIA, coordinato da Vincenzo Balzani, avremmo invece bisogno di nuova potenza per 20-25 GW al 2026 e per 40-50 GW 2030, rispettivamente 5 e 10 volte di più rispetto a quanto previsto dal Pnrr.

Manca inoltre una strategia di uscita dalle fonti fossili al 2050, di fatto nascosta nello sgabuzzino di ambigui strumenti normativi precedenti e della roulette russa del PiTESAI, che Cingolani giura di chiudere entro il prossimo 30 Settembre.

POTENZIAMENTO E DIGITALIZZAZIONE DELLE INFRASTRUTTURE DI RETE

Prendiamo il caso dei pompaggi nelle dighe, di cui il nostro Paese è ricco: nel Pnrr non è destinato loro neppure 1 euro. Sono stati completamente ignorati: nessun cenno alla loro funzione di stoccaggio dell’energia e di riempimento dei “buchi” che si vengono a creare nella rete a causa dell’intermittenza delle rinnovabili.

E’ una scelta miope e grave che può avere una motivazione soltanto: favorire le centrali turbogas ed i sussidi di cui godono (capacity market). 

Eppure, in un’audizione del 12 Marzo di due ani fa alla Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati sul PNIEC, TERNA fu abbastanza chiara: al 2030 avremo necessità di ulteriori 6 GW di pompaggio al Centro, al Sud Italia e nelle Isole, per la gestione in sicurezza del sistema elettrico, sempre più caratterizzato da Fonti di Energia Rinnovabile.

Il Governo ha preferito andare in un’altra direzione, quella di sempre, nel solco della peggiore delle continuità.

 

IDROGENO

Di contro, un’eccessiva enfasi è posta sull’idrogeno, a cui sono destinati 3,19 miliardi di euro – molto di più di 1,78 miliardi di euro proposti per finanziare gli interventi per le aree del terremoto del 2009 e del 2016 – che ben si sposa con l’approccio CCS (Cattura del Carbonio e Stoccaggio), molto gradito a Eni e Snam.

L’idrogeno è il “cavallo di Troia” piazzato dai soliti noti e dal Governo all’interno di un Piano che dovrebbe dettare l’agenda della “transizione verde”.

La finestra temporale per giungere all’impiego dell’idrogeno verde nei settori petrolifero, chimico, siderurgico, ecc., è talmente ampia da consentire la transizione attraverso la produzione di forme tutt’altro che rinnovabili come l’idrogeno marrone e poi quello blu, nelle numerose valli dell’idrogeno che sorgeranno in tutta Italia: Porto Marghera, Ravenna, Gela, Melfi, ecc.

Si tratta di un artificio costoso ed insostenibile, per prolungare il ciclo di vita dei giacimenti di gas “tricolori”, che così contribuiranno alla produzione di idrogeno marrone e blu e che, una volta esauriti, verranno impiegati per immagazzinare CO2, malgrado “…. l’indimostrata applicabilità del metodo alla scala necessaria e la sua efficacia reale, con il rischio di gravi ripercussioni sul territorio” (fonte: Balzani et al.).

 

EMISSIONI GAS CLIMA-ALTERANTI

La parola “clima” è citata ben 77 volte, quasi a voler ricordare al lettore che il contrasto alla crisi climatica in atto ha rappresentato dall’inizio la preoccupazione centrale nella strutturazione del Piano: così non è.

In base agli obiettivi che ci siamo dati in sede U.E., entro il  2030 dovremo tagliare le emissioni del 55% rispetto a quelle registrate nel 1990. Per far questo è necessario ridurre le emissioni di almeno 160 milioni di tonnellate di CO2 eq rispetto alle attuali 390 nette (fonte: ENERGIAPERLITALIA).

“Gli Stati membri devono illustrare come i loro Piani contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi climatici … devono anche specificare l’impatto delle riforme e degli investimenti sulla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra … ”, così recita il Pnrr a pag. 17.

 

Di questo però nel Piano non c’è traccia. Il Piano si limita laconicamente ad affermare, a pagina 28, che “Il Piano Nazionale integrato Energia e Clima (PNIEC) e la Strategia di Lungo Termine per la Riduzione delle Emissioni dei Gas a Effetto Serra, entrambi in fase di aggiornamento per riflettere il nuovo livello di ambizione definito in ambito europeo, forniranno l’inquadramento strategico per l’evoluzione del sistema”.

Quindi, l’appuntamento è rinviato alla data di approvazione del nuovo PNIEC e della Strategia di Lungo Termine per la Riduzione delle Emissioni dei Gas a Effetto Serra.

Draghi in questo si è dimostrato degno erede di Gentiloni e Calenda, che vararono la SEN  2017 senza attendere la definizione del PNIEC.

I soli dati quantitativi riguardanti il taglio delle emissioni di cui si dispone scorrendo il Pnrr sono quelli indicati in tabella:

Settore Riduzione emissioni CO2 al 2030
Agri-voltaico 1,5 milioni di tonnellate
Promozione rinnovabili per le comunità energetiche e l’auto-consumo 1,5 milioni di tonnellate
Promozione impianti innovativi (incluso off-shore) 286.000 tonnellate
Piano di sostituzione di edifici scolastici e di riqualificazione energetica 8.400 tonnellate
Ammodernamento della rete ferroviaria 2,3 milioni di tonnellate
Efficienza energetica degli edifici 0,98 milioni di tonnellate
TOTALE 3,58 milioni di tonnellate

 

Ed il resto delle riduzioni attese per rispettare l’obiettivo U.E. al 2030 che fine ha fatto?

Il Pnrr afferma che “Gli impatti ambientali indiretti sono stati valutati e la loro entità minimizzata in linea col principio del “non arrecare danni significativi” all’ambiente (“do no significant harm” – DNSH) che ispira il Next Generation E.U.”. La domanda sorge dunque spontanea: ammesso che sia stata fatta in modo compiuto, è possibile conoscere gli esiti della valutazione degli impatti ambientali indiretti delle singole misure del Pnrr? 

 

SUSSIDI AMBIENTALMENTE DANNOSI

E cosa dire dei 19 miliardi di euro di Sussidi Ambientalmente Dannosi (SAD) erogati ogni anno ad attività inquinanti e clima-alteranti? Ne parla il Presidente del Consiglio una volta sola, a pag 7 del documento, affermando che È prevista infine una riforma fiscale, che affronti anche il tema delle imposte e dei sussidi ambientali”, senza nulla anticipare in merito a tempi e modalità. 

In verità ne aveva già parlato Enrico Giovannini in un’audizione alla Camera il 4 febbraio scorso, quando non ricopriva ancora la carica di Ministro: “ … attualmente destiniamo 19 miliardi di euro del bilancio dello Stato nella direzione opposta (in sussidi dannosi all’ambiente). Uno scompenso che va corretto prima possibile”.

Cingolani si sarebbe espresso abbastanza chiaramente due mesi dopo: il taglio dei SAD potrà e dovrà essere graduale. Probabilmente alle calende greche!

Almeno oggi è chiaro a tutti per quale motivo al MITE sia andato Cingolani e non, come logica avrebbe voluto, Giovannini.

 

CONCLUSIONI

Utilizzando la famosa metafora della vasca da bagno che si riempie man mano di CO2 prodotta dalle attività antropiche, dobbiamo esser consapevoli che non esistono rimedi alternativi a quello della chiusura del rubinetto per ridurre le emissioni e portarle a zero entro il 2050.

Il Pnrr di Draghi non va in questa direzione; piuttosto assicura lunga vita al gas ed alle sue infrastrutture e indugia su soluzioni, costose, rischiose ed impraticabili (vedi CCS), inadeguate al cospetto della gravità della sfida, rallentando e sconvolgendo tempi e modi della transizione.

Per chiudere quel rubinetto occorrono però coraggio ed ambizione, doti che né il Parlamento né l’attuale Governo possiedono.

 

Roma, 26 aprile 2021

Coordinamento Nazionale No Triv

Ultimi articoli