28 Marzo, 2024
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Serve una Norimberga libica: quelle stragi in mare sono un crimine contro l’umanità

Draghi ringrazierebbe  ancora, come ha fatto nella sua recente visita a Tripoli, le autorità di quel Paese per il loro impegno nel salvataggio di vite umane nel Mediterraneo?

 

E ora, Presidente Draghi? Ora che si è consumata un’altra immane strage di migranti a largo delle coste libiche, ringrazierebbe  ancora, come ha fatto nella sua recente visita a Tripoli, le autorità di quel Paese per il loro impegno nel salvataggio di vite umane nel Mediterraneo?  Una domanda che giriamo anche al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio , alla titolare del Viminale, Luciana Lamorgese e al suo collega alla Difesa, Lorenzo Guerini.

Una Norimberga libica

La piattaforma Alarm Phone ha ricostruito le drammatiche ore che hanno preceduto il naufragio di ieri nel Mediterraneo centrale, in cui hanno perso la vita 130 persone. La morte di questi migranti si sarebbe potuta evitare, se solo le autorità italiane, maltesi e libiche si fossero mosse per tempo, ascoltando i numerosi appelli che sono stati lanciati dal call center per i migranti. Uno scaricabarile che è durato due giorni, ma senza un vero sistema coordinamento ogni Stato ha potuto semplicemente delegare tutto il lavoro alle ong e alle navi mercantili di passaggio, che hanno cercato di fare il possibile per arrivare in tempo, nonostante le condizioni meteo proibitive, con onde alte anche 6 metri. Gli stessi libici si sono deliberatamente rifiutati di raggiungere il luogo del naufragio proprio per il cattivo tempo.

Abbiamo avvistato dieci corpi, ma il mare era molto mosso, impossibile ci siano sopravvissuti“, ha dichiarato Francesco Creazzo di Sos Mediterranée, con le vittime stimate che sono più di 100. “Nel pomeriggio la nave My Rose ha avvistato il gommone, ci siamo avvicinati ed è stato come navigare in un mare di cadaveri. Letteralmente. Del natante restava poco, delle persone neanche il nome”, ha raccontato Alessandro Porro, Presidente della ong.

Creazzo ricostruisce le ultime ore, quando la ong ha cercato di intervenire una volta raccolta la segnalazione di Alarm Phone: “Mercoledì è scattato l’allarme, ma con la Ocean Viking eravamo a 10 ore dalla zona segnalata. Ci siamo diretti inizialmente verso il barchino più piccolo perché era quello relativamente più vicino, ma nonostante le ricerche non siamo riusciti a trovarlo”. A quel punto è arrivata la segnalazione sul fatto che uno dei due gommoni fosse in grande difficoltà. “Così abbiamo invertito la rotta e ci siamo diretti verso il gommone – spiega – Abbiamo navigato tutta la notte, ma quando siamo arrivati e, insieme ad altre tre navi mercantili che erano lì, abbiamo iniziato a cercare, abbiamo trovato il relitto capovolto e una decina di corpi. Le condizioni del mare erano proibitive”.

Ciò che Creazzo denuncia è il fatto che “dalle autorità non ci è arrivato alcun supporto, neppure il coordinamento delle operazioni tra le navi che stavano cercando il gommone”. Le notizie sul terzo gommone sono arrivate invece da Safa Msheli, portavoce di UN Migration: il mezzo, ha spiegato Msheli, è stato riportato in Libia dalle autorità, “il che significa che i migranti sono stati messi in stato di detenzione“, ha aggiunto Creazzo. “Gli Stati – ha twittato Msheli – si sono rifiutati di agire per salvare la vita di oltre 100 persone. Hanno supplicato e inviato richieste di soccorso per due giorni prima di annegare nel cimitero blu del Mediterraneo. È questa l’eredità dell’Europa?”.

I racconti e le immagini che arrivano dal luogo del naufragio parlano di una distesa di cadaveri, con i soccorritori che non hanno potuto far altro che constatarne il decesso, anche a causa delle cattive condizioni del mare. Porro, che era presente al momento dell’intervento, parla di onde alte sei metri e ricorda le ricerche “senza aiuto da parte degli Stati. Fosse cascato un aereo di linea ci sarebbero state le marine di mezza Europa, ma erano solo migranti, concime del cimitero Mediterraneo. Da oltre 24 ore la Ocean Viking stava inseguendo dei destini nel mare, quelli di due imbarcazioni in difficoltà, molto lontane fra di loro. Della prima non abbiamo trovato alcuna traccia, possiamo solo sperare che sia rientrata a terra o comunque giunta in salvo. La seconda è stata rincorsa attraverso una bufera, in una notte con onde alte sei metri”.

Per rendere l’idea dell’inferno di acqua in cui si sono ritrovati i 120-130 migranti che erano a bordo delle imbarcazioni in difficoltà, Porro racconta: “Non ho difficoltà ad ammetterlo, ho passato qualche ora in bagno a vomitare. Non sono bastati la prometazina, il dimenidrinato, metà degli ultimi tre anni passati in mare. Ero esausto, disidratato, a fatica sono tornato nel letto, ed ero protetto da una signora delle acque che pesa migliaia di tonnellate. Colpi secchi sulla chiglia, oggetti rovesciati nelle cabine. Fuori, da qualche parte, in quelle stesse onde, un gommone con 120 persone. O 100, o 130. Non lo sapremo mai, perché sono tutte morte“. Porro racconta quindi il momento in cui è stato ritrovato il relitto del gommone e sembrava di “navigare in un mare di cadaveri”: “Impotenti, abbiamo osservato un minuto di silenzio, a riecheggiare sulle terre degli uomini. Le cose devono cambiare, le persone sapere”.

La ricostruzione ora per ora di Alarm Phone.

“La mattina del 21 aprile, Alarm Phone è stata allertata da pescatori locali di una barca in pericolo al largo della Libia. Abbiamo avuto il numero di un telefono satellitare, apprendiamo che sono circa 120 persone che hanno lasciato Al-Khoms all’incirca alle 22 del 20 aprile». Alle 9,15, Alarm Phone avverte le «relevant authorities» della presenza della barca e del peggioramento delle condizioni meteo nell’area. «Da quel momento, gli Mrcc di Italia e Malta, la cosiddetta Guardia costiera libica, l’Unhcr come pure soccorritori della Ong, sanno di quella imbarcazione in pericolo”.

Alle 10,03, Alarm Phone riesce a parlare con persone sul gommone. La comunicazione è pessima, come nella successiva chiamata delle 10,22 nella quale si sente solo un «chiamate aiuto!». Alle 11, durante un’altra chiamata, Alarm Phone riesce ad avere le coordinate Gps (N33114519 E014074476) e a sapere che a bordo sono circa 130, comprese sette donne una delle quali incinta. «Informiamo immediatamente le autorità e rendiamo pubblico il caso».

Nelle ore successive, dal gommone fanno avere man mano le coordinate Gps che cambiano: «La situazione a bordo si deteriora notevolmente, e le persone in pericolo sono in grande panico, e ci dicono che le onde sono alte e che l’acqua sta entrando nel gommone». Intorno a mezzogiorno, Alarm Phone chiama l’Mrcc di Roma per informarlo che il mercantile Bruna era vicino al gommone e sarebbe potuto intervenire: «Però, la Bruna ha proseguito sulla sua rotta».

Alle 14,11, l’Mrcc italiano avverte Alarm Phone di dover informare «le autorità competenti», cioè la Libia. «Solo alle 14,44 ci siamo potuti mettere in contatto con un ufficiale libico – ricostruisce Alarm Phone – che ci dice che sanno di tre barche e che le stanno cercando con la motovedetta Ubari». Alarm Phone resta in contatto con il gommone e fornisce alle autorità le nuove posizioni Gps alle 16,15, 17,16 e 19,15. «Alle 17,53 riceviamo una email dalla Ocean Viking, diretta alle autorità e a noi, con cui si informa di aver deciso di cambiare rotta e di dirigersi verso il gommone in pericolo».

Alle 19,15, dal gommone dicono di aver visto sopra di loro un aereo, «che noi riteniamo essere l’aereo Osprey di Frontex». «Alle 20,15 abbiamo raggiunto quelle persone per l’ultima volta, ci hanno detto che le batterie del telefono satellitare si stavano scaricando». Alle 20,52 Alarm Phone chiama nuovamente l’Mrcc di Roma «spiegando è difficile comunicare con i libici. Ci hanno risposto: “Stiamo facendo il nostro lavoro, chiamate se avete informazioni”».

La cartina di Alarm Phone mostra l’ultima posizione rilevata del gommone, mentre imperversava la bufera in mare

Alle 22,22, è sempre mercoledì 21 aprile, Alarm Phone riesce finalmente a raggiungere le autorità della Libia: «L’ufficiale libico ci ha detto che non avrebbero continuato a cercare il gommone per le pessime condizioni del mare», apprendendo pure che la Guardia costiera libica aveva comunque riportato indietro 104 persone di un’altra imbarcazione e anche due cadaveri. «Alle 22,55 informiamo l’Mrcc Italy che la cosiddetta Guardia costiera libica non condurrà ulteriori ricerche».

Alle 7,30 di ieri nuova chiamata a Roma e alle 7,53 «abbiamo informato ancora una volta tutte le autorità, chiedendo di coordinare alcuni mercantili che sono in zona: la Vs Lisbeth, la Alk e la My Rose, come pure la Ocean Viking». Alle 8,30 «scriviamo direttamente a Frontex. Alle 8,49 ci rispondono così: “Frontex ha immediatamente rilanciato il messaggio alle autorità italiane e maltesi”». Chiamate alla Libia: 10,42 e 11,31, in entrambi i casi rispondono di non avere notizie del gommone. «Hanno anche detto che l’Italia ha chiesto il permesso di far condurre operazioni di soccorso a un mercantile, permesso che hanno dato». Ma forse è già troppo tardi. «Alle 17,08 Alarm Phone ha ricevuto dalla Ocean Viking una mail diretta a noi e alle autorità con cui ci informa di avere cercatto il gommone assieme alla My Rose, alla Alk e alla Vs Lisbeth e di aver trovato le tracce di un naufragio e diversi corpi, con nessun segno di sopravvissuti. L’aereo Osprey di Frontex era sulla scena». La tragedia si è compiuta.

“Ancora una terribile tragedia nel Mediterraneo con oltre 100 esseri umani annegati, che poteva benissimo essere evitata”, ha commentato su Twitter il segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni. “Un’ennesima vergogna per l’Europa – prosegue il leader di SI – ma anche per il nostro Paese. Caro Presidente Draghi pensa ancora che la guardia costiera libica vada ringraziata?”.

L’appello di AOI

L’Associazione delle organizzazioni italiane di cooperazione e solidarietà internazionale (AOI) chiede al Parlamento di mettere in campo tutti gli strumenti necessari per far luce su questa vicenda e di istituire una Commissione di inchiesta, con l’obiettivo di rendere pubblico il reale impatto degli accordi Italia-Libia di questi anni e far emergere la verità sulla dimensione del dramma umanitario dei naufragi nel Mediterraneo e le responsabilità oggettive, a partire dalle violazioni dei diritti umani e dai crimini a carico della Guardia Costiera libica e delle forze di sicurezza che gestiscono i centri di detenzione dei migranti in quel Paese. Inoltre, l’Italia deve pretendere dal Governo libico l’immediata chiusura dei centri di detenzione illegali gestiti dalle milizie e dai trafficanti – dichiara d Silvia Stilli, portavoce AOI.  Le organizzazioni di AOI ribadiscono tutto questo mentre, con forte stupore, apprendono dai media che il Presidente del Consiglio Mario Draghi, in visita al Presidente libico, lo ha ringraziato proprio per i ‘salvataggi’ della Guardia Costiera libica, che sappiamo agire solo in nome di accordi per il respingimento. Il nostro Paese, così, rinuncia a chiedere ragione alla Libia delle violazioni di ogni diritto e della fine delle detenzioni disumane.

“È giunta l’ora della verità in cui al Parlamento spetta chiedere una risposta del Governo su quale sia la priorità: se salvare vite umane e operare in contemporanea per sconfiggere la povertà, evitando le migrazioni irregolari dei barconi della morte, con un impegno effettivo in programmi di aiuto umanitario e cooperazione allo sviluppo e di tutela della democrazia e dei diritti a partire dalla Libia, oppure se continuare a drenare risorse per garantire assistenza tecnica a Tripoli nel nome dei respingimenti senza condizionalità alcuna. Lo chiediamo da troppo tempo, senza una vera risposta. E con noi quelle giornaliste e quei giornalisti che non cesseranno, se pure osteggiati, a mostrare le disumanità che conosciamo” conclude la portavoce AOI.

Sulla tragedia raccontata nei minimi dettagli, non si registrano, nel momento in cui scriviamo, dichiarazioni da parte di esponenti del Governo. Silenzi assordanti. Silenzi di morte. Silenzi complici. Silenzi che indignano.

Una cosa è certa: se un giorno dovesse esserci una “Norimberga libica” sul banco degli imputati siederebbero in molti. Anche con cittadinanza italiana.

(Globalist)

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