19 Aprile, 2024
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Beppe Grillo, qualcosa di personale… e le certezze svaniscono

Allo sfogo di un padre non oppongo giudizi, ma offro il meraviglioso valore del dubbio

 “Arrestate me! Mio figlio è innocente, non potete processarlo per stupro. La ragazza era consenziente, si capisce dal film. Sono dei diciannovenni con il pisello in mano. E poi lei li ha denunciati ben otto giorni dopo. Non lo trovate strano? Povero figlio mio…”. 

C’era una volta un attore comico. Tra i più bravi d’Italia, sicuramente il più dissacrante. Negli anni divenne sempre più pungente. Incominciò a dileggiare i Vip del mondo dello spettacolo, poi i politici di fama. In seguito prese ad alternare le sue battute al fulmicotone con vere e proprie denunce sulle ingiustizie sociali e le ingerenze delle multinazionali. Era ospitato dalle più seguite trasmissioni televisive. Quando entrava in scena lui l’audience andava a mille. Gradatamente le sue accuse sulla disonestà da parte dei governanti e sulla spregiudicata ricerca del profitto da parte delle grandi imprese ebbero il sopravvento sulla comicità. Le risate del pubblico diventavano sempre più amare. Privo di scrupoli incominciò pubblicamente a mandare a “vaffa” chi secondo lui operava per il male del mondo. Sino a che la televisione pubblica lo espulse.

Ma godeva, tra la gente comune, di un seguito imponente. Ritenne fosse giunto il momento di traslocare il suo spirito di denuncia dai palcoscenici dei teatri al mondo della politica reale. Chiese di inscriversi al Pd nell’ottica di candidarsi alle primarie per la leadership. Gli risposero “Fattelo da solo un partito se ci riesci”. E lui lo fece. Per la verità lo chiamò movimento, ma nella sostanza si trattava di un partito destinato a entrare nell’agone elettorale. Vision e mission risultavano piuttosto chiare. Potremmo in estrema sintesi definirle rivoluzionarie e giustizialiste. Cioè “Siete un branco di disonesti, vi manderemo a casa” e “Non faremo sconti a nessuno”. Dei quattro grandi poteri che ufficialmente o ufficiosamente guidano il Paese, cioè politica, magistratura, informazione e grandi imprese, l’unico che salvava, anzi lo teneva in gran conto per accelerare il processo di pulizia sperato, era il secondo: giudici e pm.

Alle ultime elezioni politiche del 2018 vinse… e alla grande: un terzo dei voti e il 40% dei posti in Parlamento. Lui non c’era a Montecitorio, non ci voleva andare personalmente a sedersi in scranno. Tuttavia restava lui il capo assoluto, universalmente riconosciuto e non solo dai suoi. Il giustizialismo non lo abbandonò mai, neppure quando controllava i principali ministeri, governando il Paese di fatto. … Fino allo sfogo sul figlio, esternato pubblicamente attraverso un drammatico video, che potremmo definire “anti-giustizialista”.

Questa storiella ci insegna una cosa che trovo interessante sottolineare. Viviamo in un Paese dove la stragrande maggioranza delle persone, pubbliche e non, giudica esclusivamente dal proprio punto di vista. Assume atteggiamenti “assoluti” ritenendo che ciò che è giusto per sé sia giusto per il bene della collettività. Si tratta di una forma di corporativismo intellettuale che ormai segna la maggior parte dei ragionamenti che ascoltiamo. E chi li fa è pure convinto di stare nella razionalità. Poi magari succede che gli capita qualcosa di personale e si ritrova a esprimere considerazioni opposte, senza tuttavia disconoscere almeno la razionalità di quelle precedenti. Ciò che comanda è il proprio interesse personale. E quell’attore comico credo abbia dimostrato di non fare eccezione.

Come padre comprendo il suo sfogo e mi fa tenerezza. Come politico lo trovo simile a molti altri. Come uomo non lo giudico, non mi piace giudicare. Vorrei semplicemente fargli notare, a lui che è molto intelligente, che quando ci capitano cose personali che ci portano a pensarla in modo opposto… forse è giunto il momento di abolire le certezze e rimettere al centro del nostro cuore il meraviglioso valore del dubbio.

(Huffpost)

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