28 Marzo, 2024
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Benifei: “Il rinvio a giudizio di Salvini non mi sorprende. Politicamente si muoveva come fosse sopra le leggi”.

Il capo delegazione del Partito democratico al Parlamento europeo: “Al tempo di quei fatti si sentiva molto più di un ministro dell’Interno ma egemone all’interno del governo gialloverde”

“Non sono stupito del rinvio a giudizio di Matteo Salvini. La giustizia farà il suo corso, ma sul piano politico è giudizio può essere dato: al tempo di quei fatti, Matteo Salvini si sentiva molto più di un ministro dell’Interno. Sentiva di avere il vento in poppa e di essere egemone all’interno del governo gialloverde, per ciò che concerne la questione migranti e la criminalizzazione delle Ong”.
Ad affermarlo, nell’intervista a Globalist, è Brando Benifei, capo delegazione del Partito democratico al Parlamento europeo.

Il gup di Palermo Lorenzo Jannelli ha rinviato a giudizio il leader della Lega Matteo Salvini. Il senatore del Carroccio risponde di sequestro di persona e rifiuto di atti d’ufficio per avere impedito, secondo la Procura illegittimamente, alla nave della ong catalana Open Arms, con 147 migranti soccorsi in mare, di attraccare a Lampedusa. All’udienza preliminare si sono costituite 21 parti civili: oltre a 7 migranti di cui uno minorenne, Asgi (Associazione studi giuridici immigrazione), Arci, Ciss, Legambiente, Giuristi Democratici, Cittadinanza Attiva, Open Arms, Mediterranea, AccoglieRete, Oscar Camps, comandante della nave e Ana Isabel Montes Mier, capo missione Open Arms. Un suo commento a caldo…

Io credo che Salvini, quando era ministro dell’Interno, avesse assunto un atteggiamento, un piglio nel realizzare le sue attività  da ministro di chi si sentiva sopra le leggi. Lui era convinto di avere un grande supporto, un grande consenso delle persone, per portare avanti azioni che forzavano il contesto delle garanzie di libertà, le garanzie legali che esistono nei casi di salvataggio delle persone in mare, norme e principi contemplati dal diritto internazionale. Di questo muoversi al di sopra delle leggi, usando la mano forte per ergersi a difensore degli italiani da una presunta “invasione” di migranti, Salvini ne aveva fatto anche un suo asset di comunicazione. La macchina propagandistica che aveva messo in piedi quando era al Viminale e vice presidente del Consiglio, veicolava ogni giorno l’immagini del duro contro i migranti, quello che voleva i porti chiusi e le navi delle Ong fuori dal Mediterraneo. La sua idea di sicurezza era ed è gli antipodi quella che ho io  e che ha quel mondo solidale che non considera i migranti come una minaccia per il nostro Paese, che ha contestato, dati alla mano, la narrazione leghista e della destra di una invasione che non esiste. E anche sulla vicenda in questione, quella di Open Armas, Salvini si è mosso con lo stesso spirito che ha caratterizzato tutto il suo agire da ministro dell’Interno nella sua “crociata” anti migranti. Spetterà ai giudici dire se vi sono estremi penali per il comportamento di Salvini. Mi sento però di affermare che a livello politico il suo modo di fare era quello di qualcuno che si sentiva egemone nel governo gialloverde nel dettare la linea sul dossier migranti. Così è stato, va riconosciuto, e questa egemonia salviniana andava ben oltre il consenso elettorale avuto dalla Lega nelle elezioni legislative, il 18%. Salvini si sentiva e agiva come fosse legibus solutus, sciolto dalle leggi. Politicamente non sono stupido dal rinvio a giudizio. Perché quello tratteggiato dai magistrati che hanno chiesto e ottenuto il rinvio a processo di Salvini, è un modus operandi di chi si sentiva davvero “sciolto dalle leggi”.

Questa vicenda ripropone il tema della criminalizzazione delle Ong e anche dei testimoni scomodi di ciò che avveniva nel Mediterraneo e in Libia. Mi riferisco ai giornalisti intercettati. Qual è in proposito la sua valutazione?

E’ una vicenda molto torbida su cui deve essere fatta assoluta chiarezza. Voglio esprimere anche in questo frangente la mia totale solidarietà nei confronti dei giornalisti illegalmente intercettati. La libertà di stampa, in particolare di inchiesta giornalistica su questioni che attengono i diritti fondamentali delle persone, è un bene che va difeso sempre, perché rappresenta uno dei pilastri di una democrazia, uno dei fondamenti dello Stato di diritto. Questa vicenda riporta a quel clima torbido di cui parlavo in precedenza, dentro il quale venivano messi in essere comportamenti lesivi della libertà e della dignità della libera stampa. Serve andare a fondo di questa vicenda delle intercettazioni e reagire con la massima durezza anche rispetto a coinvolgimenti di realtà istituzionali che potrebbero emergere pienamente, come in parte soni già emersi. Occorre uno sforzo anche delle istituzioni politiche, per mettere in evidenza di fronte all’opinione pubblica la gravità di quello che è stato fatto, perché non può essere sottovalutato.

 Il Parlamento europeo ultimamente ha votato risoluzioni molto importanti per ciò che concerne la difesa dei diritti umani, indicando anche la necessità di un’azione sanzionatoria nei confronti di quei regimi che quei diritti calpestano quotidianamente. Indicazioni che però i governi nazionali, anche quello italiano, stentano a recepire e tradurre in atti conseguenti.

A mio modo di vedere il nostro Paese deve assolutamente porsi il problema di come agire rispetto ai rapporti con Paesi come l’Egitto, prima di tutto per la vicenda Regeni e per quella che riguarda Patrick Zaki. Un discorso che investe anche la Turchia, su cui sono state dette parole forti da Mario Draghi. Parole che devono però tradursi in una iniziativa. Io sono convinto che sia sul fronte egiziano sia su quello turco, per citare due casi oggetto di pronunce recenti del Parlamento europeo, è necessaria e urgente una iniziativa politica che deve essere portata a livello europeo. Perché non c’è la possibilità di agire, se non marginalmente, cosa che comunque andrebbe fatta di più di quanto sin qui è avvenuto, a livello di singoli Stati. L’azione di tutela dei diritti umani laddove vengono brutalmente repressi deve vedere impegnata l’Unione europea in quanto tale. Penso, nel caso dell’Egitto, a uno sganciamento selettivo su alcuni progetti, per dare un segnale politico di fronte alla mancanza di cooperazione che riguarda la vicenda giudiziaria che riguarda il caso Regeni. Un caso che investe non solo l’Italia ma l’Europa. E a questo livello che va rilanciata una iniziativa forte e condivisa nei confronti delle autorità egiziane. La svolta può avvenire soltanto costruendo un impegno europeo più forte sul rispetto dei diritti umani, delle convenzioni internazionali (pensiamo da ultimo il caso della Turchia, con il governo di Ankara che decide di uscire dalla Convenzione di Istanbul sulla violenza contro le donne). E già nelle prossime settimane vi sarà un’occasione importante per lanciare un segnale in questa direzione….

A cosa si riferisce?

Il 9 maggio avrà inizio la conferenza sul futuro dell’Unione europea. Un evento importante, nel quale si discuterà del futuro dell’Europa, dei motivi dello stare insieme nell’Ue. Oltre a temi scontati, per ovvie ragioni, di cui si discuterà, come sarà l’unione sanitaria europea, la costruzione di una unione della salute, ma anche della transizione ecologica, di come rafforzare lo sviluppo sostenibile. Ecco, oltre a questi temi di straordinaria rilevanza e attualità, penso che anche il tema di una più forte e unitaria voce in politica estera dell’Unione europea debba rientrare a pieno titolo ai primi posti nell’agenda della “Nuova Europa”. Dico questo anche perché sono convinto che i cittadini europei vogliano una Europa che parla di più con una voce sola, specialmente di fronte ai dittatori o aspiranti tali.

(Globalist)

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