Erano stati inviati nell’ambito di un progetto del progetto “Raising Environmentally Sensitives”. Solamente in due hanno fatto ritorno
Erano in 43, sono partiti dalla Turchia per un viaggio di studi in Germania a settembre, e sono tornati solo in 2.
Nessuno sa dove sono, non si hanno più notizie di alcuno di loro, e sembrano anzi spariti nel nulla. Chi li ha mossi? Chi li protegge? Ma, soprattutto, che fine hanno fatto i 43 accademici e studiosi della municipalità di Yeshilyurt, tranquilla cittadina nel cuore dell’Anatolia, vicina alla Malatya culla del movimento dei Lupi grigi?
Il giallo è deflagrato ieri mattina sulle pagine di Sozcu, uno dei pochissimi quotidiani non controllati dal governo conservatore di ispirazione religiosa del presidente Recep Tayyip Erdogan. Il giornale riporta come il vicepresidente del gruppo parlamentare del Partito repubblicano del popolo, all’opposizione, Günnur Tabel, ha dichiarato che i membri della Malatya Personal Development World Association erano stati inviati in Germania nell’ambito del progetto “Raising Environmentally Sensitives” fra il 15 e il 27 settembre 2020. Tuttavia, al termine del viaggio di studio, ben 43 delle 45 persone inviate in Europa non hanno fatto più ritorno in patria.
“Non abbiamo una singola informazione sul motivo per cui queste persone che hanno ricevuto passaporti di servizio e visti non sono tornate. La direzione dell’associazione fa dichiarazioni diverse, tutti vogliono conoscere la verità su quanto accaduto. Per qualche ragione il nostro presidente tace ancora, vogliamo che questo mistero sia chiarito. Chi ha realizzato questo evento, chi è stato preso, qual era lo scopo? È diritto sia dei membri del consiglio che del popolo di Yeshilyurt apprendere notizie chiare in proposito”.
La decisione di spedire la delegazione turca in Germania era sorta durante il dibattito sul rapporto annuale 2020 dell’ente, discusso alla riunione del consiglio della municipalità di Yeshilyurt che appartiene, attenzione, all’AKP di Malatya, cioè al partito Giustizia e sviluppo, al governo da ormai vent’anni in Turchia. La ricostruzione più credibile vuole dunque che, dopo la decisione della compagine locale di mandare il nutrito gruppo di studiosi in Germania, quasi tutti abbiano colto l’occasione per espatriare e sistemarsi lontano dalla Turchia in attesa che la situazione in patria possa cambiare.
Ora si capisce perché molti accademici e docenti turchi rispondano a inviti, per conferenze e convegni provenienti da organizzazioni europee o americane, spiegando di trovarsi impediti a lasciare il Paese. O, come accaduto ancora di recente, il governo turco abbia bloccato alcuni professori francesi, esattamente 21, dell’Università Galatasaray di Istanbul (tradizionalmente francofona), rimasti senza visti e regolari permessi di viaggio, e dunque adesso soggetti a espulsione. Così pure si comprende la vicenda dei docenti dell’Università del Bosforo, forse la più prestigiosa della Turchia, cioè l’ex Robert College dalle cui fila proviene il premio Nobel per la Letteratura, Orhan Pamuk. Da mesi protestano, ogni giorno a mezzogiorno, sul piazzale dell’accademia, voltando le spalle al rettorato dopo che Erdogan ha imposto loro il nome di un nuovo rettore, senza regolari elezioni come avveniva prima.
Sono del resto tanti, e sempre di più, gli esempi di intellettuali in fuga dalla Turchia. La crema dell’intellighentsija di Smirne, Ankara e Istanbul, oggi, la si trova all’estero, sparpagliata tra Francia e Germania, appunto. Ma molti si trovano pure in Svizzera e Belgio, alcuni persino in Italia, e sono tanti quelli fuggiti fra Stati Uniti e Canada. La fuga degli intellettuali turchi è uno dei segnali più importanti della crisi in Turchia. E mostra lo scollamento fra la classe al potere e le teste pensanti confinate nelle accademie, nelle università, nell’editoria e nei giornali, nel mondo della cultura e dell’arte. E chi può, chi ha l’occasione, chi cerca di rifarsi una vita, oggi dalla Turchia scappa.
(La Repubblica)