18 Aprile, 2024
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Il caso Zaki è un ergastolo “amministrativo” mentre a Roma c’è un governo di pavidi

Presidente Draghi: ora che dall’Egitto è arrivato l’ennesimo schiaffo che intende fare? Porgere l’altra guancia, come i suoi predecessori e il ministro degli Esteri che lei ha riconfermato nonostante l’incapacità?

E ora, presidente Draghi? Ora che dall’Egitto è arrivato l’ennesimo schiaffo in faccia, il primo con lei a Palazzo Chigi, che intende fare? Porgere l’altra guancia, come hanno fatto i suoi predecessori e come è uso fare il ministro degli Esteri che lei ha riconfermato nonostante le sue acclarate incapacità? Dopo aver dichiarato di apprezzare l’impegno della Libia nel lavoro sporco dei respingimenti in mare, una vera vergogna, cosa fa, apprezza anche l’impegno del presidente-carceriere d’Egitto, Abdel Fattah al-Sisi per lo Stato di polizia che ha messo in piedi? Lo sa che un giovane universitario, Patrick Zaki, che tante nostre città, a cominciare da Bologna dove viveva e studiava, hanno insignito della cittadinanza onoraria, è all’”ergastolo” amministrativo in una fetida cella di un carcere di massima sicurezza egiziano, manco fosse un capo dell’Isis?

Una vergogna che si perpetua

Dispiace dirlo, signor Presidente, ma sul tema dei diritti umani il suo non assomiglia neanche un po’ ad un governo di “alto profilo”. Su questo tema siamo underground.

Continua così di 45 giorni in 45 giorni il corso della detenzione preventiva del ricercatore nella prigione di Tora. A nulla sono valse le oltre 157 mila firme già raccolte e la cittadinanza onoraria della città di Bologna, ora Amnesty vorrebbe che ” il governo italiano facesse subito una cosa: convocare l’ambasciatore egiziano a Roma per esprimere tutto lo sconcerto per questo accanimento nei confronti di Patrick Zaki e chiedere che sia rilasciato”.  Accusato di propaganda sovversiva anche a mezzo social, Zaki è stato arrestato senza un regolare processo per ordine della procura generale egiziana il 7 febbraio 2020 mentre rientrava al Cairo per far visita alla sua famiglia originaria di Mansoura. “Accuse infondate” ha dichiarato la sorella in un’intervista ai media italiani. Solo il 25 agosto, per la prima volta da marzo, Patrick ha potuto avere un breve incontro con sua madre.  La Corte d’Assise del Cairo ha dunque per l’ennesima volta rinnovato il carcere per il 29enne egiziano con la passione per i diritti umani. Il suo infaticabile legale Hoda Nasrallah se lo aspettava, e ha sottolineato che è stata inoltre respinta la richiesta, presentata ieri dalla difesa, di un cambio dei giudici che seguono il caso. L’udienza si era svolta ieri ma l’esito si è appreso solo oggi. “Aveva ragione l’avvocata di Patrick a chiedere di cambiare i giudici, sostenendo che c’era un accanimento giudiziario. E infatti fino a ieri 14 mesi di detenzione arbitraria che ora diventano 15 e mezzo”, ha detto Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International. L’udienza per il rinnovo della detenzione cautelare si è tenuta ieri al Cairo. Amnesty esprime inoltre “preoccupazione per il suo stato di salute psicofisica, spiega che la storia di Patrick riguarda l’Italia intera e ne chiede il rilascio immediato e incondizionato”. In questi lunghi mesi la famiglia aveva ricevuto da Patrick solo due brevi lettere a fronte delle almeno 20 che lo studente aveva scritto e inviato, in alcune si era detto profondamente stanco e provato dalla detenzione a cui è sottoposto. Alcune fonti parlano di torture, già avvenute al momento del suo arresto, torture che ricordano la tragica fine di Giulio Regeni, avvenuta sempre in territorio egiziano.

Lo Stato di polizia all’ombra delle Piramidi

Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a decine di migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Un conteggio ufficiale non è stato fatto, ma attivisti per i diritti umani egiziani, con la garanzia dell’anonimato per non fare una brutta fine, hanno detto a Globalist che un conteggio in difetto, porta a non meno di 43.000 desaparecidos. Per comprendere l’enormità di questo crimine, va ricordato che, tra il 1976 e il 1983, in Argentina, sotto il regime della Giunta militare, sono scomparsi fino a 30.000 dissidenti o sospettati tali – 9.000 accertati secondo i rapporti ufficiali della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep) – su 40.000 vittime totali.

Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agency.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).

Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato.

L’inferno egiziano 

Le autorità egiziane tengono i detenuti minorenni insieme agli adulti, in violazione del diritto internazionale dei diritti umani. In alcuni casi, sono imprigionati in celle sovraffollate e non ricevono cibo in quantità sufficiente. Almeno due minorenni sono stati sottoposti a lunghi periodi di isolamento. Un quadro agghiacciante è quello che emerge da un recente rapporto di Amnesty International. Le autorità egiziane hanno sottoposto minorenni a orribili violazioni dei diritti umani come la tortura, la detenzione in isolamento per lunghi periodi di tempo e la sparizione forzata per periodi anche di sette mesi, dimostrando in questo modo un disprezzo assolutamente vergognoso per i diritti dei minori”, denuncia Najia Bounaim, direttrice delle campagne sull’Africa del Nord di Amnesty International. “Risulta particolarmente oltraggioso il fatto che l’Egitto, firmatario della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, violi così clamorosamente i diritti dei minori”, sottolinea Bounaim.

Minorenni sono stati inoltre processati in modo iniquo, talvolta in corte marziale, interrogati in assenza di avvocati e tutori legali e incriminati sulla base di “confessioni” estorte con la tortura dopo aver passato fino a quattro anni in detenzione preventiva. Almeno tre minorenni sono stati condannati a morte al termine di processi irregolari di massa: due condanne sono state poi commutate, la terza è sotto appello.

Sulla base del diritto internazionale, il carcere dev’essere solo l’ultima opzione per i minorenni. Sia la legge egiziana che le norme internazionali prevedono che i minorenni debbano essere processati da tribunali minorili.

Tuttavia, in Egitto ragazzi dai 15 anni in su vengono processati insieme agli adulti, a volte persino in corte marziale e nei tribunali per la sicurezza dello Stato. Sotto la presidenza al-Sisi e col pretesto di combattere il terrorismo, migliaia di persone sono state arrestate arbitrariamente – centinaia delle quali per aver espresso critiche o manifestato pacificamente – ed è proseguita l’impunità per le amplissime violazioni dei diritti umani quali i maltrattamenti e le torture, le sparizioni forzate di massa, le esecuzioni extragiudiziali e l’uso eccessivo della forza.  Dal 2014 sono state emesse oltre 2112 condanne a morte, spesso al termine di processi iniqui, almeno 223 delle quali poi eseguite.  La legge del 2017 sulle Ong è stata il primo esempio delle norme draconiane introdotte dalle autorità egiziane per stroncare la libertà di espressione, di associazione e di manifestazione pacifica.  La legge consente alle autorità di negare il riconoscimento delle Ong, di limitarne attività e finanziamenti e di indagare il loro personale per reati definiti in modo del tutto vago. Nel 2018 sono state approvate la legge sui mezzi d’informazione e quella sui crimini informatici, che hanno esteso ulteriormente i poteri di censura sulla stampa cartacea e online e sulle emittenti radio-televisive conclude Bounaim.

La tortura di Stato non risparmia i bambini

“Ci sono bambini che descrivono di essere stati vittime di ‘”waterboarding” e di scariche elettriche sulla lingua e sui genitali, senza alcuna conseguenza giuridica per le forze di sicurezza egiziane,” spiega Bill Van Esveld, responsabile del settore diritti dei bambini di Human Rights Watch (Hrw). Nel rapporto di 43 pagine, Hrw sostiene di aver documentato abusi contro 20 ragazzi di età compresa tra 12 e 17 anni al momento dell’arresto. Quindici di loro hanno dichiarato di essere stati torturati in detenzione preventiva, di solito durante un interrogatorio tenuto mentre erano in isolamento. Sette bambini hanno riferito che gli agenti di sicurezza li hanno torturati con l’elettricità, incluso il “taser”. Tra le storie riportate nella denuncia quella di un ragazzo che ha raccontato di essere stato arrestato all’età di 16 anni e che temeva di non poter “sposarsi o essere in grado di avere figli” a causa di ciò che gli avevano fatto gli agenti di sicurezza durante la detenzione. Le accuse di Hrw sono confermate da Belady, un’organizzazione non governativa che aiuta i bambini di strada che ha raccolto testimonianze verificate dei ragazzi, delle loro famiglie e degli avvocati difensori, e documenti giudiziari, ricorsi alle autorità, cartelle cliniche e video. “I racconti strazianti di questi bambini e delle loro famiglie rivelano come il meccanismo di repressione egiziano abbia sottoposto i bambini a gravi abusi,” spiega Aya Hijazi, condirettrice di Belady. Hijazi, che ha la doppia cittadinanza egiziana e americana è stata arrestata per l’attivismo di Belady, che in arabo significa “la nostra nazione”. È stata arrestata insieme a suo marito e ad altri sei nel maggio 2014 con l’accusa di abuso di minori per poi essere assolta e rilasciata ma dopo aver trascorso in carcere quasi tre anni.

Il “Rinascimento” egiziano

Questo è l’Egitto ai tempi di al-Sisi. E vediamo se c’è chi dopo l’exploit saudita, pensi di replicare lo show evocando un “Rinascimento” egiziano. Ogni riferimento al senatore Renzi è tutt’altro che casuale.

Chi costruisce il suo potere su un sistema repressivo così radicato e tentacolare, non teme certo le parole. Ma le sanzioni, sì. Soprattutto economiche, vista la grave crisi in cui versa l’Egitto e il malessere e la rabbia sociali che il regime del presidente-carceriere prova a contenere con un mix di repressione e promesse che restano tali. Sanzioni mirate, dunque. Mirate ai conti bancari, all’estero, di quella nomenklatura militare-affaristica che si è arricchita sotto Mubarak e continua a farlo con al-Sisi. E poi, stop alla vendita di armi ad un regime che le usa per reprimere nel sangue le proteste interne e per dettar legge, in competizione con la Turchia del “sultano” Erdogan, in Libia, in Siria, nel Nord Africa tutto.

Lettera a Di Maio

“Rifiutando di concedere l’autorizzazione all’esportazione di sistemi militari all’Egitto, l‘Italia ha la possibilità di bloccare simili forniture da parte di tutta l’Unione Europea”. E’ il passaggio centrale di una lettera che la Rete Italiana Pace e Disarmo ha inviato recentemente al ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.

“Si tratta di una misura – spiegano i promotori della missiva – che non penalizzerebbe il nostro Paese, ma anzi avrebbe l’effetto di coinvolgere tutti gli Stati membri dell’Unione europea bloccando a livello europeo per almeno tre anni tutte le licenze di esportazioni di sistemi militari sostanzialmente identici a quelli rifiutati dall’Italia”. In proposito, la lettera richiama la norma prevista dalla Posizione Comune del Consiglio 2008/944 (“Norme comuni per il controllo delle esportazioni di tecnologia e attrezzature militari”) per contrastare la concorrenza sleale tra i Paesi dell’UE facendo in modo che le licenze per forniture di sistemi militari non autorizzate da un Stato non vengano rilasciate da altri Stati membri”.

Un appello caduto nel vuoto.

Il fatto è che il potere contrattuale dell’Italia nei confronti del regime egiziano si avvicina allo zero. Dalla Libia al Mediterraneo orientale, a dare le carte è al-Sisi, al quale Conte e Di Maio attribuiscono il ruolo di “stabilizzatore” nel vicino oriente. Un ruolo assolutamente inventato visto che l’Egitto nella guerra in Libia è tra i piu attivi sostenitori del generale di Bengasi Khalifa Haftar, strenuo nemico del Governo di accordo nazionale guidato da Fayez al-Sarraj sostenuto dall’Italia. Su queste premesse è difficile attendersi “magnanimità” da un presidente che ha istaurato un vero e proprio stato di polizia, riempiendo le carceri di oltre sessanta mila presunti oppositori, facendone sparire oltre trentacinque mila.

Quanto poi alla solidarietà verso Patrick Zaky, cosa dire dei consiglieri di Lega e Fratelli d’Italia al comune di Bologna, usciti dall’aula per non votare il conferimento della cittadinanza onoraria al giovane studente egiziano? Ma non c’è da stupirsi: gli adepti della Meloni e di Salvini si sono affrettati a togliere dai balconi  dei comuni o delle regioni “conquistate” gli striscioni che chiedevano verità e giustizia per Giulio Regeni.

E la Lega è parte del governo di “alto profilo”. Un governo di pavidi per quanto riguarda i diritti umani.

Ci faccia ricredere, presidente Draghi. Ci creda, non aspettiamo altro.

(Globalist)

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