19 Aprile, 2024
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Terremoto 12 anni dopo, parlano gli aquilani: «Ricostruzione a due velocità»

Cantieri aperti, palazzi nuovi o restaurati accanto a edifici rovinati: tra fiducia e amarezza cosa dicono i cittadini a tanti anni dal sisma del 6 aprile 2009. Commemorazioni ridotte 

Nella duecentesca chiesa di San Pietro di Coppito all’Aquila le restauratrici guidate dalla restauratrice della Soprintendenza speciale dell’Aquila e il cratere Maria Fernanda Falcon Martinez sono al lavoro: eseguono gli ultimi lievi interventi sull’affresco cinquecentesco della Madonna con Bambino e Santi del pittore Paolo da Montereale in un’edicola sulla parete sinistra. È alle battute finali il recupero di tutti i brani d’affresco tre e quattrocenteschi nelle absidi e nella navata, compresi quelli scoperti durante i lavori, mentre l’architettura è stata consolidata e l’edificio è sostanzialmente pronto per riaprire al culto e ai visitatori. Un lavoro complesso portato a compimento.

Appena fuori, a sinistra guardando la facciata squadrata di San Pietro di Coppito si affacciano un piccolo condominio a tre piani e un caseggiato a un piano: sono ancora massacrati dai segni del terremoto che nella notte tra il 5 e 6 aprile 2009 uccise 309 persone. Ci sono luoghi che vengono recuperati, altri che attendono: l’immagine esemplifica lo stato della città pur se, come si va ripetendo da qualche anno, i lavori procedono e dire che è tutto come prima significa non aver messo piede per anni all’Aquila martoriata dal sisma 12 anni fa. Che non ferì soltanto il capoluogo abruzzese: la scossa delle 3.32 con successive ondate colpì 56 comuni nelle province dell’Aquila, Teramo e Pescara, distrusse palazzi mal costruiti come la Casa dello studente aquilana, obbligò 100mila persone a sfollare.

Niente fiaccolata, 309 rintocchi delle campane 
Senza fiaccolata commemorativa per il secondo anno a causa del Covid, «il Comune e i Comitati familiari delle vittime hanno lanciato un appello ad Anci nazionale e ad Anci Abruzzo affinché i sindaci e gli italiani, nella notte tra il 5 e il 6 aprile, accendano nei loro Comuni e alle loro finestre, una luce di speranza», informa la giunta guidata dal sindaco Pierluigi Biondi. Alle 21 del 5 un fascio di luce si accenderà verso il cielo da Piazza Duomo, alle 21.15 le campane scandiranno 309 rintocchi, il 6 sarà lutto cittadino e qui si impone la domanda: dodici anni dopo come vedono e vivono lo stato della ricostruzione gli aquilani?

I pareri degli aquilani: dove la ricostruzione va, dove è in stallo
«Nel centro storico la ricostruzione è iniziata effettivamente nel 2013-14, nelle periferie è ancora in stallo», osserva Claudio, 32enne consulente del lavoro del vicino borgo di Roio mentre fa una breve pausa all’ora di pranzo in piazza Duomo insieme a tre colleghi. Come la 31enne Chiara, aquilana: «L’80% è stato completato ma ci sono veri buchi neri e zone dissestate, soprattutto nelle periferie. La vita è frammentata, ma stava riprendendo quando è arrivato il Covid».

«La ricostruzione privata è andata avanti, penso per l’80%, mentre sono andate a rilento alcune zone forse perché fatte di piccole proprietà», rilevaDiana Di Berardino, direttore della Fondazione Giorgio de Marchis Bonanni che ha la sede originaria nello storico Palazzo de Marchis tuttora terremotata e una nuova sistemazione in nel bel Palazzo Cappelli Cappa su Corso Vittorio Emanuele II. «Pur se c’è un progetto per i “sottoservizi”, in molte zone è difficile portare i servizi come gas e luce o la fibra. Oggi la messa in funzione degli impianti essenziali è un po’ ferma anche quando la casa magari è pronta».

Santa Maria Paganica ancora in rovina, Palazzo Ardinghelli restaurato
Numerose strade hanno in effetti condominii nuovi di zecca. È emblematico quanto si vede in piazza Santa Maria Paganica. Palazzo Ardinghelli è stato restaurato da più di un anno e qui la Fondazione Maxxi di Roma avrebbe inaugurato nel giugno 2020 il suo museo aquilano delle arti contemporanee se non fosse stato per il Covid. A fianco l’edificio settecentesco dalle morbide curve barocche sulla facciata ha un palazzo nuovo di zecca e tirato a lucido. Dirimpetto invece si prospetta la devastata chiesa di Santa Maria Paganica con una copertura in luogo del tetto: il Segretariato regionale dei beni culturali ha da poco avviato i progetti per i primi interventi.

«Se in molte chiese i lavori sono in corso, l’architettura pubblica è un po’ al palo, penso a edifici della Provincia e del Comune – riflette ancora Diana Di Berardino – Il grosso problema è economico e la pandemia è un disastro che si è sommato a un disastro da cui ci stavamo riprendendo. Penso ai tantissimi piccoli commercianti che hanno investito in prima persona con sacrifici». Diana Di Berardino vede uno scenario critico per le scuole: «Sono in edifici temporanei fatti nell’emergenza e provvisori che non hanno avuto manutenzione». Viceversa, vede esempi luminosi che a suo parere andrebbero protetti con efficacia: «L’Auditorium della musica vicino al Castello spagnolo progettato e donato da Renzo Piano è stato un regalo bellissimo anche perché l’Aquila ha una forte tradizione musicale. Però ha bisogno di manutenzione».

I borghi lasciati indietro
Sempre dalla Fondazione de Marchis, Andrea è uno studente di ingegneria e lavoratore 35enne: «La ricostruzione nel centro ha tempi tecnici visto che ricostruire secondo il principio “com’era dov’era” richiede decenni. Forse è mancato il coraggio di ricostruire una città nuova. I borghi però sono stati lasciati indietro immeritatamente, rilevo un’assenza di una visione integrata del territorio dove continua lo spopolamento». Autore del recente Transumanza e proprietà collettive. Storia dei beni demaniali delle comunità del Gran Sasso (Pacini editore, pp. 400, € 40), il 42enne archeologo Alessio Rotellini vede il processo di ricostruzione «a buon punto ma è andato a due velocità: da un lato è stato celere nel centro storico, dall’altro in molte frazioni ha proceduto a rilento, è appena iniziato o talvolta non è neppure partito. Il rischio è che quando borghi come  Pescomaggiore saranno ricostruiti non li abiterà nessuno, saranno paesi fantasma».  «L’aspetto più vergognoso – interviene Barbara, 40enne e storica dell’arte – è che l’esperienza traumatica dell’Aquila non è servita a nulla per il terremoto del 2016-17 nel Centro Italia: doveva fare scuola ed è stata dimenticata, nel portar via le macerie, nelle pratiche burocratiche … È sconcertante e scandaloso vedere paesi ancora distrutti paesi come Arquata del Tronto e Castelsantangelo sul Nera nelle Marche. In Italia non facciamo mai tesoro del dolore».

Rotili della libreria Colacchi: «La pandemia ha frenato tutto»
In Corso Vittorio Emanuele II vicino a piazza Duomo ha riaperto i battenti un esercizio storico, la libreria Colacchi con i suoi oltre 80 anni di esercizio. «La gestiamo mio cugino e io, siamo alla quarta generazione – rimarca con orgoglio Giovanni Rotili – Dopo il sisma siamo stati costretti ad andare in un centro commerciale, qui abbiamo riaperto il 31 ottobre 2019». Un segnale positivo. «L’Aquila stava ripartendo, vedevamo un barlume di rinascita, la pandemia ha frenato tutto e la nostra quotidianità. Nel ricostruire tante cose vanno fatte, soprattutto nell’edilizia pubblica». Rotili ha comunque fiducia: «Credo che la città stia vincendo la sua scommessa. Una libreria è un luogo sociale, abbiamo idee, quando si potrà ricominciare torneremo ospitare appuntamenti culturali e concerti di classica nel nostro spazio al piano superiore». In un giorno in cui vige il colore arancione tra i libri e gli scaffali si aggirano più aquilani e chiedono titoli: un segnale confortante contrapposto alla giostra in piazza che non può far salire i bambini e resta spenta.

(Globalist)

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