16 Aprile, 2024
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«Dobbiamo smetterla di bruciare idrocarburi», intervista a Nicola Fratoianni

Dalla questione PiTESAI alla Global Med, Nicola Fratoianni, segretario nazionale di Sinistra Italiana, affronta i temi relativi alle trivelle e agli idrocarburi

In Italia le leggi sulle trivelle risultano spesso insufficienti per regolare i vari permessi di ricerca ed estrazione di idrocarburi, e di conseguenza per tutelare l’ambiente e la fauna. Uno spiraglio di luce sembrava essersi aperto con la proposta del PiTESAI, il Piano per la Transizione Energetica Sostenibile delle Aree Idonee, la cui approvazione continua però ad essere prorogata. Scomodo ha presentato formale richiesta di accesso agli atti al Ministero dello Sviluppo Economico per poter leggere almeno una bozza del PiTESAI, non ricevendo alcuna risposta, neppure di rifiuto. A tal proposito, abbiamo intervistato il deputato e portavoce di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni, che nel 2014 aveva presentato un’interrogazione parlamentare per fermare i permessi di ricerca alla società americana Global Med in alcune aree del Mar Jonio il cui sfruttamento – anche per la presenza di ordigni bellici nel fondale – risulta pericoloso per l’ecosistema marino.

Nel testo originale della legge che introduceva la moratoria sulle trivellazioni sono state fissate due scadenze diverse per la pubblicazione del PiTESAI e per la fine della moratoria: qual era l’intenzione?

Il PiTESAI avrebbe dovuto decidere dove si potevano ricercare ed, eventualmente, estrarre idrocarburi e dove no. Ma oggi, l’unica cosa sensata è decidere in fretta un orizzonte in cui si cessi ogni estrazione di idrocarburi: l’emergenza climatica è concreta e ne subiamo già le conseguenze. Dobbiamo investire in un diverso modello energetico, basato su fonti rinnovabili e su una distribuzione adeguata, con sistemi di accumulo che facilitino una transizione sempre più urgente. Investire in nuove attività di ricerca ed estrattive è ipocrita e, soprattutto, pericoloso.

Che senso ha estendere la moratoria fino a sei mesi dopo la data di scadenza per la redazione del PiTESAI dato che, in caso di mancata pubblicazione di quest’ultimo, di fatto non cambierebbe niente in termini di concessione di permessi di ricerca, prospezione e coltivazione?

Non ha alcun senso, infatti: la scadenza del 30 settembre (fissata sia per l’elaborazione del piano, sia per la vigenza della legge) non servirà a molto, giacché la procedura per arrivare ad ottenere il PiTESAI è piuttosto farraginosa e lunga; se non si otterrà l’intesa da parte della Conferenza unificata, il piano dovrebbe comunque trovare applicazione almeno per il mare. In che modo non è dato saperlo: deciderà sul punto il ministro dello sviluppo economico di concerto con quello dell’ambiente (ora occorrerà vedere chi: solo il ministro per la transizione ecologica?).

Il vero problema – cui il piano non pone rimedio – è quello della durata dei titoli, e cioè quello delle proroghe – di fatto – illimitate (la sospensione attualmente vigente non trova applicazione alle proroghe automatiche). E anche questo potrebbe porsi in violazione del diritto dell’Unione europea (si pensi, mutatis mutandis, alle concessioni balneari). Insomma, i veri problemi che il settore pone – e che la politica non sembra intenzionata a risolvere – sono due e sono legati allo spazio (estensione dei titoli; i.e: 750 kmq) e al tempo (durata dei titoli). Su entrambe le questioni il piano, di per sé, non può nulla. Si badi che alla scadenza del 30 settembre, qualora il piano non fosse approvato, i permessi sospesi (e i procedimenti finalizzati al rilascio dei titoli, anch’essi al momento sospesi) torneranno ad avere efficacia automaticamente.

L’estensione della moratoria era stata inserita nella bozza del Milleproroghe. Con quale intenzione è stata tolta all’ultimo?

Ovviamente, con l’intenzione di non decidere – nel modo netto che ci serve con urgenza – che dobbiamo smetterla di bruciare idrocarburi. Sono sempre di più i Paesi che si rendono conto che queste attività vanno fermate e anche l’Italia deve passare dalle parole ai fatti. Abbiamo sentito dal Presidente del Consiglio che l’Italia vuole avere un ruolo di avanguardia nella lotta ai cambiamenti climatici e chiediamo coerenza: dalle fonti fossili dobbiamo passare, con una transizione giusta che tuteli lavoratori e cittadini, a un sistema energetico basato su fonti rinnovabili.

Il precedente di Global Med

Per comprendere meglio l’inefficienza delle leggi italiani in materia di trivelle basta guardare il caso della Global Med LLC, società americana appendice del Gruppo Global legato alla Bhp Billiton, potenza mineraria responsabile del più grande disastro ambientale nella storia del Brasile, quello di Bento Rodrigues. La Global Med aveva fatto domanda nel 2018 per tre permessi di ricerca nel Mar Jonio, tra Puglia e Calabria. In molti si erano opposti al rilascio dei permessi, da Legambiente al Coordinamento No Triv, sia dal punto di vista ambientale che legale. In primis, la società americana aveva intenzione di utilizzare l’air gun per la ricerca degli idrocarburi, tecnica pericolosa sia per l’ecosistema che per l’effetto sugli ordigni bellici presenti sul fondale delle aree richieste. Inoltre, i tre permessi (insieme agli altri limitrofi già concessi alla Global Med nel 2016), in quanto contigui avrebbero creato zone di ricerca superiori a 750 km², aggirando così la legge 9/91 in materia di concorrenza. Lo Stato ha però deciso di non ascoltare le critiche e dare il via libera alla Global Med, creando un precedente legale pericoloso.

Nonostante le critiche e le problematiche (portate avanti anche da lei), i tre permessi di ricerca nel mar Jonio del dicembre 2018 per la Global Med sono stati rilasciati. Come commenta?

Il ministro Galletti nel settembre 2017 aveva aperto le strada alle prospezioni petrolifere al largo dei mari del Sud Salento, ignorando totalmente le volontà della popolazione residente e delle istituzioni locali perseguendo un programma energetico vetusto e obsoleto.

A evidenziare le criticità dei permessi dati alla Global Med erano state le realtà locali: cittadini, comuni, province e regioni. Come il Comitato regionale della Puglia, anche l’Assemblea dei Sindaci della Provincia di Lecce si era espressa in maniera sfavorevole al rilascio delle zone di ricerca. Quali erano gli interessi dietro al rilascio, rispetto al quale si opponevano anche le istituzioni locali?

Di fatto gli unici interessi che il nostro Governo può rivendicare sono le briciole che si ottengono attraverso il recupero delle royalties. Va precisato – ormai lo sappiamo da decenni di esperienza – che troppe volte non vengono completamente corrisposte a causa della norma vigente: il produttore concorda con il Governo il prelievo di una certa quantità di greggio, se dichiara di aver prelevato anche un solo barile in meno del pattuito non compensa con il pagamento delle royalties. Questo è un meccanismo che permette ai petrolieri di garantirsi il prelievo di una quantità annuale senza dover nulla di ristoro. Va considerato anche che per iniziare le prospezioni in mare si avviano delle attività di verifica dove sono presenti i giacimenti di petrolio. Per fare questo è necessario utilizzare una tecnica, che si chiama “air gun”, che prevede di operare nel sottosuolo Marino attraverso delle esplosioni. La conseguenza immediata negativa che si ottiene e di generare nella fauna ittica un immediato e forte disorientamento. Alcuni sostengono che si possano mettere in sicurezza almeno i grossi esemplari per difenderli dalle esplosioni. Ma difficilmente questo viene attuato poiché i costi sono molto elevati. Non ultimo la popolazione residente negli ultimi due decenni ha visto una esponenziale crescita del settore turistico che, in termini di ricchezza, vale molto di più dei pochi spiccioli che si potrebbero ottenere attraverso lo storno delle compensazioni pecuniarie ricavate a seguito del forte danno ambientale. Vorrei ricordare che durante la discussione della legge sui reati ambientali era stata inserita la norma che faceva rientrare la tecnica dell’air gun come delitto contro l’ambiente, norma che è stata opportunamente “sfilata” in una notte di pressioni da parte dei produttori di oil&gas sul ministero dell’Ambiente guidato dall’allora Ministro Galletti. Pressioni che continuano quotidianamente anche in questi giorni.

(Leggiscomodo,  Elena D’Acunto e Edoardo Anziano)

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