16 Aprile, 2024
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Hanno tutti ragione, quelli che si credono Napoleone e quelli che vogliono sciogliere le correnti Pd

Ogni tanto, con cadenza fissa e periodica, si riapre il problema delle correnti nel Pd. “Il partito è ostaggio delle correnti”, dice un dirigente o amministratore, e per un po’ si dibatte pubblicamente il tema.

L’ultimo a sollevare la questione è stato Antonio Decaro, sindaco di Bari e capo dell’Anci, che ha scattato una foto realistica dello stato del partito. Di solito, a seguire, intervengono a favore dello scioglimento delle correnti un tot di esponenti, tutti titolari o membri di corrente, poi la discussione si affievolisce e tutto resta com’è. In attesa della nuova fiammata.

Quindi il confronto avviene sempre tra una posizione astratta e falsamente ingenua – distruggere le correnti con il lanciafiamme o con un colpo di bacchetta magica – e il mantenimento del purissimo status quo. Rispetto al quale, peraltro, il problema non è l’esistenza di correnti in sé, naturale e persino auspicabile in un grande partito che aspira a rappresentare un terzo dell’elettorato generale, ma la natura delle correnti presenti nel Pd, che in generale hanno perso ogni aggancio con le idee e con le sensibilità politico-culturali e sono mere cordate di potere alle quali il grosso del gruppo dirigente si associa per convenienza del momento, con il risultato che il trasformismo interno ha toccato vette patologiche e grottesche. Si potrebbero citare decine – ripeto: decine – di dirigenti e amministratori dem che sono stati nell’ordine veltroniani, bersaniani, renziani e infine zingarettiani senza fare un plissé. Altri che hanno scelto la curatela di Franceschini ovvero quella di Guerini non per provenienza culturale ma perché garantiva i corridoi migliori per guadagnare cariche e nomine, esattamente come nella magistratura molti pm hanno scelto la sinistra, il centro o la destra a seconda delle potenzialità della corrente sui posti da occupare nelle Procure o in Csm.

Un dibattito sulle correnti nel Pd che avesse un senso dovrebbe ripartire da una domanda: che cosa è oggi il Pd? A chi parla? Quali interessi aspira a rappresentare? Quali culture politiche fa proprie o intende rilanciare o fondare ex novo? E infine: può un partito che ha smesso di produrre visioni proprie e che vive solo per la riconosciuta capacità di sfornare personale di governo continuare a vivere solo in quanto agenzia interinale per governi altrui?

Anche quei pochi barlumi di scontro sulle idee sono da anni basati su schemi artritici e surreali. Esempio tipo: “Torniamo alla vocazione maggioritaria”, come se esistesse una quota di Pd suggestionato dall’idea di abbassare i propri consensi e comunque senza spiegare come si dovrebbe fare questo pieno di voti. Perché l’utopia più crudele nella quale si crogiola il Pd fin dalla sua fondazione è di essere il partito di tutti. E quindi di nessuno. Se non di chi ne possiede una corrente.

(La Repubblica)

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