19 Aprile, 2024
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Bambini, giovani, donne. Le mie proposte per il Recovery Plan (di C. Calenda)

Come ridurre il gap con gli altri in Ue e gettare le fondamenta per costruire il Paese della ‘Prossima generazione’

Ridurre le distanze tra Roma e Parigi, Berlino, Londra. Superare le arretratezze e le disuguaglianze che  appesantiscono l’Italia. Gettare le fondamenta per costruire il Paese della ‘Prossima generazione’.  

La politica, e Azione in particolare, deve fare il proprio dovere. E non soltanto perché tra poco più di un  anno si andrà al voto.

Ma perché il gap con gli altri Paesi europei si è allargato in tutti i settori. E il Covid c’entra fino a un certo  punto e non riguarda soltanto l’economia, gli investimenti o la produttività. L’Italia purtroppo ha perso  terreno sulla società, sull’uguaglianza, sulla qualità dell’educazione, sull’inclusione delle donne.  Importanti elementi sociali che dovremo mettere a posto.

Azione propone il suo Next Generation Italia che indaga le ragioni di questo arretramento e propone  soluzioni, soprattutto per la governance futura. Vogliamo muoverci, in questa prima fase, con particolare  riferimento ai bambini, ai giovani e alle donne.

Per noi sono queste le categorie che hanno sofferto di più negli ultimi trent’anni e dove il divario con  l’Europa si è ampliato raggiungendo ormai livelli di guardia.

Noi proponiamo invece di rimettere al centro dell’attenzione dello Stato le prime fasi della vita educativa  dei bambini, attraverso un sostanzioso aumento delle le strutture per la prima infanzia passando  dall’attuale copertura di un bambino su quattro a un bambino su due in quattro anni; migliorare la qualità  dei servizi, ampliando il numero di laureati che può insegnare al nido; stimolare la domanda di servizi  alla prima infanzia, rendendo il nido gratuito per la maggioranza degli italiani.

In Italia, poi, sono oltre due milioni i giovani tra i 16 e i 29 anni che non studiano e non lavorano, mentre  la maggioranza di quelli che lavorano rimangono ai margini di un mercato del lavoro che li sottopaga e  li precarizza. Sono conosciuti come Neet, dall’acronimo inglese ‘Neither in Employment or in Education  or Training’. Una condizione, al di là dell’anglicismo, non consente loro di progettare una vita.

Far ripartire coloro che sono Neet già oggi attraverso un investimento straordinario (noi pensiamo a  una dotazione di 24 miliardi di euro) nella loro autonomia economica e nella loro formazione, dando  loro finalmente accesso a quelle opportunità di cui sono stati privati.

Allo stesso tempo dobbiamo evitare che i giovani di domani diventino Neet garantendo loro  un’educazione di qualità e formativa per il lavoro. Crediamo che queste misure siano il minimo  indispensabile. Non solo, Azione ritiene che debbano essere estese a tutti quei giovani che, pur  nascendo e studiando in Italia, non hanno ancora ottenuto la cittadinanza.

Quanto alla nostra proposta per le donne, le disparità di genere hanno radici profonde che originano  da disuguaglianze sociali e economiche e si riversano in una diseguale distribuzione delle opportunità  tra donna e uomo. Poche donne nel mercato del lavoro e poche donne ai vertici. Le disuguaglianze di  genere nascono nelle famiglie, maturano durante l’infanzia, si consolidano a scuola, si perpetuano  all’università e si cementano nel mercato del lavoro dove il tasso di partecipazione al mercato del lavoro  è pari al 56,5% in Italia, ultimo in Europa. Servono congedi di genitorialità che equiparino uomo e donna,  senza i quali le aziende preferiranno sempre assumere uomini, a parità di competenze, fiscalità  differenziata tra donna e uomo, trasparenza obbligatoria nelle retribuzioni progetti educativi nelle  scuole, università e nelle aziende per superare stereotipi di genere, un robusto potenziamento della  rete antiviolenza e delle case rifugio e l’introduzione di corsi di educazione sessuale in tutte le scuole  pubbliche del territorio italiano.

Bambini 

Le prime fasi della vita dei bambini sono le più importanti per garantire loro salute, opportunità e felicità.  Nella prima infanzia si formano non solo le caratteristiche fisiche dei bambini, manche quelle  psicologiche e intellettive. Ricerche dimostrano come gli anni da zero a cinque siano quelli più  importanti per lo sviluppo dei bambini, poiché è in quegli anni che si formano le facoltà non cognitive  (determinazione, fiducia, autostima) alla base di una vita stabile e proficua. Parimenti, le ricerche  dimostrano che è proprio nell’età compresa tra 0 e 5 anni che si sviluppano le più grandi disuguaglianze tra coloro che nascono e crescono in ambienti sicuri, stimolanti e formativi e coloro che invece nascono  e crescono in ambienti instabili e privi delle necessarie sollecitazioni, che quindi non formano il bambino  adeguatamente. Non solo: sappiamo che garantire servizi di prima infanzia aiuta i genitori, madri e  padri, a trovare il tempo materiale per continuare a perseguire le loro opportunità e contribuisce al  raggiungimento della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare. Infine, fornire servizi e aiuti per la  prima infanzia può anche contribuire a un aumento della natalità, perché potrebbe rendere meno difficile  per le coppie portare avanti una famiglia.

Queste considerazioni non solo giustificano, ma richiedono l’intervento dello Stato nelle politiche per la  prima infanzia, a garanzia materiale di una partenza equa per tutti e per creare davvero quelle basi  sulle quali poi si forma una nuova vita. Fino ad oggi, questo intervento non c’è stato, e per mancanza  politica.

Noi proponiamo invece di rimettere al centro dell’attenzione dello Stato le prime fasi della vita educativa  dei bambini, attraverso:

  1. Un sostanzioso aumento delle le strutture per la prima infanzia passando dall’attuale copertura  di un bambino su quattro a un bambino su due in quattro anni;
  2. Migliorare la qualità dei servizi, ampliando il numero di laureati che può insegnare al Nido, e  accompagnando questo aumento con una revisione dei sistemi di controllo e monitoraggio della  qualità, per garantire buona formazione a tutti.
  3. Stimolando la domanda di servizi alla prima infanzia, rendendo il Nido gratuito per la  maggioranza degli italiani, facilmente attivabile presso gli asili stessi, e aggiungendo ulteriori  incentivi per famiglie che vivono in aree dove i servizi di prima infanzia sono sottoutilizzati.

Giovani 

In Italia, due milioni di giovani tra i 16 e i 29 anni non studiano e non lavorano, mentre la maggioranza  di quelli che lavorano rimangono ai margini di un mercato del lavoro che li sottopaga e li precarizza.  Questa condizione non consente loro di progettare una vita.

Si tratta di una vera e propria emergenza nazionale. Sappiamo infatti che il fenomeno dei NEET  (acronimo dall’inglese Neither in Employment or in Education or Training, i giovani che appunto non  studiano e non lavorano) non ha solo un fortissimo impatto economico, ma soprattutto umano e sociale:  i NEET hanno un più alto rischio di isolamento, depressione e suicidio; hanno un più alto grado di  instabilità relazionale e difficoltà a emanciparsi, con possibili ripercussioni intergenerazionali.  Probabilmente è anche per questo i NEET sono tra le categorie che votano meno.

Negli ultimi vent’anni, ovvero da quando il fenomeno è emerso, lo Stato non ha mai affrontato il  problema, anzi. A più riprese, diversi esponenti politici ne hanno attribuito la causa ai giovani stessi, in  quanto svogliati, mammoni, fannulloni o choosy. La realtà è diversa: i giovani subiscono un sistema di  formazione che non li prepara a un mercato del lavoro in continua evoluzione, soffrono l’assenza di  ammortizzatori sociali e quindi sono socialmente ed economicamente marginalizzati.

Non solo, lasciare i giovani a sé stessi aumenta le disparità sociali e di classe. In assenza di sostegno  e di un sistema che valuti il merito, un giovane italiano ha accesso solo alle opportunità offerte dalla la  sua famiglia. L’Italia è uno dei Paesi sviluppati con la più bassa mobilità sociale. Questo significa che,  spesso, chi nasce povero resterà povero e chi nasce ricco resterà ricco. Il ruolo della Repubblica è  quello di garantire pari opportunità a tutti. Riparare l’ascensore sociale partendo dai giovani è quindi  necessario per contrastare le disuguaglianze e garantire il funzionamento di uno Stato democratico: se  la democrazia funziona per pochi, allora non funziona.

Pensiamo che il fenomeno dei NEET vada contrastato attraverso una terapia d’urto di 24 miliardi di  euro, e lungo due direttrici:

  • Far ripartire coloro che sono NEET già oggi attraverso un investimento straordinario nella loro  autonomia economica e nella loro formazione, dando loro finalmente accesso a quelle  opportunità che gli sono state sistematicamente tolte. Ciò comporta:
  1. la creazione di un nuovo sostegno al reddito, che consenta loro di rendersi autonomi,  spostarsi, formarsi e quindi riacquisire quella fiducia nel futuro che è venuta a mancare.
  2. la creazione di nuovi percorsi di formazione breve e online che li aiutino ad acquisire le  competenze mancanti;
  3. un supporto digitale per la ricerca del lavoro, integrata a livello nazionale
  4. una revisione del contratto di tirocinio e sgravi per le assunzioni per aiutarli a rientrare in  un mercato del lavoro fortemente colpito dalla pandemia.
  • Contemporaneamente,bisogna evitare che i giovani di domani diventino NEET  garantendo loro un’educazione di qualità e formativa per il lavoro. Per farlo vogliamo:
  1. riformare il ciclo scolastico, rafforzando la didattica nelle scuole secondarie di primo grado  (scuola media) e posticipando la scelta professionalizzante di un anno, per dare solide  competenze di base a tutti e contrastare la dispersione scolastica;
  2. riordinare il calendario scolastico, introducendo il tempo lungo e le mense in tutte le  scuole;
  3. creare un nuovo modello di formazione professionale, molto più vicino al mondo  produttivo e alle sue esigenze, senza compromettere la formazione di base;
  4. offrire un nuovo servizio di orientamento, supporto psicologico e di mediazione culturale  all’interno di tutte scuole;
  5. attivare un piano straordinario per aree di crisi educativa;
  6. aumentare le retribuzioni degli insegnanti incentivando nel contempo un miglioramento  qualitativo dell’insegnamento.

Crediamo che queste misure siano il minimo indispensabile. Non solo, Azione ritiene che debbano  essere estese a tutti quei giovani che, pur nascendo e studiando in Italia, non hanno ancora  ottenuto la cittadinanza. Questo anacronismo normativo è antitetico rispetto alla necessità di coltivare  il talento di cui questo Paese ha bisogno. E i nuovi italiani semplicemente non possono essere esclusi  da questo progetto.

Donne 

Le disparità di genere hanno radici profonde che originano da disuguaglianze sociali e economiche e  si riversano in una diseguale distribuzione delle opportunità tra donna e uomo. Le disuguaglianze di  genere nascono nelle famiglie, maturano durante l’infanzia, si consolidano a scuola, si perpetuano  all’università e si cementano nel mercato del lavoro. Per esempio, sappiamo che sin dall’infanzia alle  bambine viene spesso ancora offerto un modello femminile che ricalca ruoli ricoperti dalle donne in  passato. Numerose ricerche e riscontri empirici ci dicono che proporre questo tipo di modello dedito  all’accudimento familiare invece che proteso all’indipendenza economica e al raggiungimento delle  proprie ambizioni disincentiva le bambine a frequentare facoltà scientifiche. Non sorprende quindi che,  nonostante le donne laureate siano più degli uomini, le studentesse iscritte alla materia STEM (scienze,  tecnologia, ingegneria e matematica) sono pochissime, come le donne che lavorano in questi settori.1

Ma parlare solo di STEM è sottostimare il problema: le differenze di genere sul lavoro in Italia sono tra  le più alte in Europa. Il tasso di partecipazione al mercato del lavoro femminile è pari al 56,5% in Italia,  ultimo in Europa; per fare un esempio, la Francia, è 12 punti percentuali sopra, la Germania 18.  Numerose anche le donne disoccupate: il tasso di disoccupazione femminile nel 2019 era all’11,3%,  contro il 9,3% degli uomini2. E anche quando lavorano, le donne sono schiacciate ai margini del mercato  del lavoro: in maggioranza lavorano part time, spesso non volontario, o in contesti precari; e pochissime  raggiungono i vertici. Inoltre, per quanto sia complesso calcolare il divario salariale tra uomini e donne  in Italia, sappiamo che le donne guadagnano meno degli uomini a parità di posizione lavorativa.

Secondo gli studi, in Italia è come se le donne lavorassero tutto l’anno ma cominciassero a guadagnare  da metà febbraio, e non da inizio anno come i colleghi uomini3.

Il lavoro femminile, già in situazione critica, è stato messo a dura prova dall’emergenza sanitaria.  L’occupazione femminile si concentra in settori a medio e alto rischio rispetto all’esposizione al virus o  per prossimità al virus stesso (assistenza sanitaria e di cura, istruzione, etc…) o in settori più colpiti dal  virus (turismo, commercio, etc…). Inoltre, con la modalità di lavoro da casa e la chiusura delle scuole è  aumentato lo squilibrio degli impegni domestici e familiari, tradizionalmente a carico delle donne.  Citiamo per esempio il fatto che il Congedo Covid (congedo indennizzato per astenersi dal lavoro  durante il periodo di quarantena del figlio) è stato richiesto da donne nel 76% dei casi4.

Questi dati, drammatici, non raccontano episodi isolati, ma un gap sistematico che non è più tollerabile.  Per due motivi. Innanzitutto, la parità di genere è un diritto umano e universale. Perseguirlo è un dettato  costituzionale. Ma non solo: raggiungere la parità di genere e integrare pienamente le donne nel tessuto  economico e sociale del Paese darebbe una spinta propulsiva che ha pochi precedenti. Secondo la  Banca d’Italia, se l’occupazione femminile raggiungesse il 60%, il PIL crescerebbe di 7 punti percentuali5. E per di più queste stime non tengono conto dell’arricchimento culturale e innovativo che  una piena partecipazione delle donne offrirebbe al paese.

Le proposte per raggiungere la parità’ di genere incluse nel Piano di Rilancio e Resilienza del passato  governo si concentrano sul creare asili nido. Dal nostro punto di vista questa proposta è molto parziale  e, stando alla ricerca, inefficace. Studi dimostrano6,7 infatti che la maternità è si’ la causa principale  delle differenze di genere, ma creare servizi per la prima infanzia non ha un effetto significativo sul  gender gap nel mercato del lavoro. Sta a dire che, senza un intervento per le donne in quanto donne,  per la loro carriera, il loro salario e per le pari opportunità saremo sempre lontani dall’ottenere la giusta  parità.

Per raggiungere l’obiettivo servono azioni profonde che incidano lungo tutto l’arco di vita di una donna,  correggendo le disuguaglianze strutturale e garantendo loro una scelta autonoma e libera. Per farlo  secondo noi servono:

  1. congedi di genitorialità che equiparino uomo e donna, senza i quali le aziende preferiranno  sempre assumere uomini, a parità di competenze.
  2. fiscalità differenziata tra donna e uomo, per rimuovere alla radice il vantaggio familiare di far  lavorare l’uomo anziché la donna.
  3. trasparenza obbligatoria nelle retribuzioni e negli organici, per conoscere dove si annidano le  disuguaglianze e combatterle.
  4. percorsi di eradicazione degli stereotipi di genere nelle scuole, nelle università e nelle aziende.  5. un fortissimo potenziamento della rete antiviolenza e delle case rifugio che agisca non solo da  organismo reattivo, ma preventivo, attraverso un aumento delle sue strutture, del suo personale  e della conoscenza con campagne di informazione coordinate.
  5. introduzione di corsi di educazione sessuale, che includano anche nozioni relative alla parità di  genere, in tutte le scuole pubbliche del territorio italiano.

(Huffpost)

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