20 Aprile, 2024
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Pd, Zingaretti: “Su donne errore, ma non siamo all’anno zero, è tempo di una rigenerazione del partito”

Il segretario respinge l’accusa di non valorizzare le quote femminili dem: “Scelte delle ultime settimane condivise”. E propone al premier un decalogo per promuovere “un nuovo protagonismo femminile”

Respinge l’accusa di non valorizzare le donne, il segretario Nicola Zingaretti. “Non fa parte della mia storia politica, del mio dna, né di quello del partito che guido da due anni”, protesta il segretario alla

Non ci sta, il leader, a fare il capro espiatorio di una situazione che lui nega di aver voluto. Precisa che la squadra di governo è stata composta da Draghi guardando all’equilibrio di genere nel suo complesso, ma senza badare che fosse rispettato anche all’interno delle singole forze politiche, e questo ha finito per penalizzare la rappresentanza femminile del Pd. Con la nomina di tre ministri che “è stata una ferita e una battuta d’arresto”, rimarca Zingaretti. Ma siccome “un nuovo protagonismo delle donne è un progetto che abbiamo sempre voluto portare avanti”, il segretario raccoglie “le polemiche e anche la delusione di tanti e di tante per intensificare la battaglia, non solo con le parole ma facendo passi in avanti, già intrapresi da tempo”. Perché, rivendica, il Pd è in partito che ha reintrodotto la Conferenza delle donne, ha una segreteria paritaria, come paritaria è pure la guida dei vari dipartimenti, senza dimenticare la presidenza del partito che è interamente femminile. Ma “non basta”, ammette. “Altrimenti non sarebbe accaduto quel che è accaduto”. Ora, però, bisogna evitare che si torni indietro. Perciò Zingaretti promette di vigilare sulla riscrittura del Recovery plan: “Attenzione a non smantellare pilastri di quel progetto, come appunto la parità di genere e l’impatto di genere di tutte le misure”, avverte. Elencando le priorità del Pd.

La chiusura è tutta politica, come l’incipit della relazione: entrambi dedicati alla “resa dei conti” che si annuncia alla prossima assemblea nazionale del 13 e 14 marzo. “E’ tempo di una rigenerazione del Pd”, aveva esordito Zingaretti, spiegando che “14 dei 24 mesi di questa segreteria sono trascorsi sotto la pandemia”. E ciononostante “il Pd è tornato protagonista e centrale, malgrado anche a un’esigua forza parlamentare che ha pesato sulla formazione del nuovo governo”. La premessa per rimettere in fila alcuni passaggi decisivi, come l’approvazione dei “decreti Lamorgese” da parte di “quello stesso Parlamento che nel 2018 aveva varato quell’obbrobrio giuridico che erano i decreti Salvini”. E però “non è stata la divina provvidenza a fare la differenza”, alza la voce il segretario, “la differenza è stata la nostra buona politica, l’impegno dei nostri ministri, in particolare del viceministro Matteo Mauri, e dei nostri eletti, unito alla costruzione di alleanze”. E allora “se provassimo a non polemizzare su tutto, se riuscissimo a guardare la cose concrete con un po’ di laicità, tutto sarebbe più semplice”.

Da qui l’affondo sulla linea, che verrà illustrata alla prossima assemblea nazionale. “Il Pd è un partito riformista a vocazione maggioritaria” che però “non vuol essere una forza di testimonianza, ma una forza che con i proprio contenuti costruisce alleanze e numeri per battere le destre”. Ma nessuno si illuda che con la nascita del gabinetto Draghi il Pd riuscirà a imporre facilmente la sua agenda. “Tutto sarà molto più complesso nei prossimi mesi. Anche perché la nostra presenza al governo è tornata a essere proporzionale alla sconfitta del 2018 e alle scissioni. Da 23 rappresentanti nell’esecutivo siamo passati a 9”. Ecco perché, adesso più che mai, occorre non dividersi. “Il pluralismo è 100 volte più necessario per evitare che il Pd imploda”, avverte Zingaretti. Deciso a indicare la strada: “C’è una battaglia da fare sulla forma partito, sulla selezione dei gruppi dirigenti e sul nostro modo di stare insieme. È la sfida quotidiana che abbiamo davanti: identità unitaria e agire politico condiviso”. Perché finora se c’è stato “un limite del nostro stare insieme” è stato quello di aver investito “più su luoghi di parte, più sull’identità di parte, che sull’agire collettivo”. Non dice mai la parola “corrente”, ma il senso è chiarissimo lo stesso.

(La Repubblica)

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