28 Marzo, 2024
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Covid. Dosi, richiami, priorità: ecco cosa sappiamo finora della campagna vaccinale

In attesa del nuovo governo, tra le cui priorità ci saranno proprio i vaccini, ogni Regione procede per conto suo. Un Piano “puzzle”: qui proviamo a metterne a fuoco i pezzi

Le certezze al momento sono due. Che il Piano vaccinale cambierà – e molto, probabilmente – non appena si sarà insediato il nuovo governo (il premier incaricato Draghi ha annunciato una accelerazione su tutti i fronti, logistico, amministrativo, produttivo persino). E che nel frattempo ogni Regione si sta muovendo per conto suo (pensando addirittura di comprarseli, i vaccini).

Il risultato, sotto gli occhi di tutti, è che sì le vaccinazioni nel nostro Paese stanno procedendo a ritmo sostenuto (siamo tra i primi Paesi in Europa per somministrazioni, a oggi 2 milioni e 700mila, e i primi in assoluto per seconde dosi, oltre 1 milione e 200mila), ma che la confusione è grande. Quando sarò vaccinato? A chi devo rivolgermi? Che vaccino mi sarà somministrato? Quanto e da quando sarò effettivamente protetto dal Covid? Per le domande in ogni spicchio d’Italia c’è una risposta differente, quando c’è ovviamente: alcune, dopo aver avviato piattaforme dedicate, sono già partite con le vaccinazioni sugli anziani (Valle d’Aosta, Trento, Lazio), altre hanno avviato solo i siti di prenotazione, altre ancora li attiveranno nei prossimi giorni, chi appoggiandosi alle tecnologia messa a disposizione da Poste (su cui molto aveva puntato il commissario Arcuri) chi ai siti delle Asl locali. E ancora, in barba al progetto delle Primule su cui tutta la campagna s’era basata (le strutture progettate sulla carta dall’architetto Boeri sulla carta sono rimaste), c’è chi vaccina negli ospedali, chi nei centri vaccinali che esistevano prima del Covid, chi in palazzetti riconvertiti, chi sta pensando a teatri e ville storiche, chi è pronto con i famosi drive-through.

Poca chiarezza, d’altronde, è stata apportata dall’ennesimo “ritocco” al Piano, presentato proprio in queste ore dal ministero della Salute alla Regioni: dopo gli over 80, protagonisti assoluti della fase 2, dovrebbe infatti toccare alle “persone estremamente vulnerabili di ogni fascia d’età” (chi ha malattie respiratorie o cardiocircolatorie, diabetici e obesi), agli anziani tra 75 e 79 anni, poi a quelli tra 70 e 74 anni, alle persone vulnerabili fino a 69 anni, infine alle persone tra 55 e 69 anni che non presentano rischi specifici. Facile a dirsi, peccato che le Regioni abbiano già spiegato al ministero che le indicazioni così risultano poco chiare e che ognuno, di nuovo, abbia deciso di applicarle a modo suo: chi muovendosi orizzontalmente, in base alle fasce d’età, ordinando le priorità per patologie (è il caso del Lazio); chi invece verticalmente, in base alle patologie, guardando poi all’età anagrafica.

È utile, allora, provare a fare ordine e mettere in fila le informazioni sicure e disponibili (almeno in questo momento) per capire cosa sta succedendo e cosa potrà succedere nelle prossime settimane.

Vaccini, richiami e dosi

Al momento abbiamo tre vaccini a disposizione: Pfizer, Moderna e AstraZeneca. Settimanalmente (superato il momento critico dei ritardi, che tanto hanno fatto discutere a metà gennaio, ma che ora sono stati “ammortizzati”) il nostro Paese riceve centinaia di migliaia di dosi di tutti e tre: i carichi arrivano o direttamente alla Regioni (è il caso di Pfizer, che gestisce fin dall’inizio la distribuzione delle sue fiale) o nel grande hub di Pratica di Mare (è il caso di AstraZeneca, che da qui poi viene smistato). Entro la fine di marzo, in particolare, è previsto l’arrivo di 14,5 milioni di dosi (9,1 da Pfizer, 4,1 da Astrazeneca e 1,3 da Moderna), entro la fine di giugno quasi il doppio. Per un totale di circa 40 milioni: considerando che i tre vaccini prevedono una seconda dose, è verosimile che coi quantitativi a disposizione si possano vaccinare ad allora fino a 20 milioni di italiani. A metà marzo, poi, l’Ema dovrebbe approvare una quarto vaccino, Johnson & Johnson: altre 27 milioni di dosi sono destinate all’Italia e dovrebbero sommarsi a quelle già elencate. Con il vantaggio enorme che il quarto vaccino non prevede due dosi, ma una soltanto.

Le fiale, dunque, ora ci sono. Pfizer e Moderna prevedono il richiamo entro 21 e 28 giorni dalla prima dose, AstraZeneca in base alle indicazioni del ministero può aspettare fino a 12 settimane. E tutti, chi più chi meno (ma il punto, ripetono gli esperti, è sviluppare anticorpi, non svilupparne il maggior numero possibile), funzionano anche con le tanto temute varianti. Il punto è organizzare tempi e modi delle somministrazioni, anche in base ai destinatari. Che sono: per i due vaccini americani gli anziani e i pazienti con patologie; per AstraZeneca «preferibilmente gli under 55, ma anche gli over 55 senza fattori di rischio», un cortocircuito dell’Agenzia del farmaco italiana (l’Oms ha ribadito la sicurezza del vaccino anche sui più anziani) che sta mettendo in seria difficoltà le Regioni, tanto da spingerle a chiedere una tavolo tecnico urgente col ministro uscente Speranza.

Chi vaccinare (e dove): le priorità

La lista delle priorità è cambiata molte volte da dicembre a oggi, anche per la situazione “fluida” della disponibilità di vaccini e della loro sicurezza ed efficacia. La prima fase della campagna, ormai avviata e pianificata ovunque, ha visto come protagonisti necessari Pfizer e Moderna (i primi ad essere approvati) e come unici destinatari gli ospiti delle Rsa, il personale sanitario e il personale non sanitario afferente tuttavia alle strutture ospedaliere (categoria che ha fatto molto discutere per via dei numerosi “imbucati”). Si tratta, sulla carta, di 6,5 milioni di persone: prime iniezioni e richiami dovrebbero essere completati entro marzo. Nelle intenzioni manifestate dal commissario Arcuri e dal ministero della Salute, sarebbe poi dovuto toccare subito ai disabili e ai loro caregiver: promessa mantenuta solo in Abruzzo, visto che la categoria è poi scomparsa dalla lista ufficiale per poi rientrare (ma è un’interpretazione di chi scrive) nelle “persone vulnerabili” indicate in queste ore alle Regioni.

Sistemato e organizzato dunque il capitolo Rsa-ospedali, l’Italia è ora entrata nella fase 2 della campagna, che con l’arrivo di AstraZeneca si è di fatto sdoppiata: da una parte gli over 80 (Pfizer/Moderna), dall’altra gli under 55 (AstraZeneca appunto) con priorità a insegnanti, forze dell’ordine, detenuti e personale carcerario. Nel giro di una settimana, dunque, si partirà con questa fetta di popolazione: quasi 4 milioni di persone i primi, 3 milioni e 800mila circa i secondi. Ci vorranno due mesi probabilmente, forse di più. Con un punto cruciale ancora da sciogliere: dove e come vaccinarli, visto che nella fase 1 il luogo di somministrazione erano necessariamente ospedali e case di riposo, mentre ora serve più spazio (oltre che più personale).

Le Regioni stanno individuando punti di somministrazione dedicati: nel caso del Lazio, per esempio, la prima a partire con la fase 2 lo scorso lunedì, sono 50 (22 nella città di Roma, 13 nella provincia di Roma, 5 a Latina, 4 a Viterbo e 3 a Frosinone e Rieti). Qui, a oggi, sono oltre 20mila gli over 80 già vaccinati. Dalla struttura commissariale di Arcuri, intanto, stanno partendo i volontari (quasi 30mila) che si sono offerti per aiutare sul territorio: devono essere accolti e registrati dalle Asl locali, per poi diventare operativi. Un altro capitolo al momento complicato da affrontare.

Il sistema di prenotazione

Le piattaforme messe in campo finora dalla Regioni funzionano all’incirca allo stesso modo: se si procede online, bisogna indicare il proprio codice fiscale o numero di tesserino sanitario, per poi scegliere il giorno e l’ora prescelti. Si riceve poi un sms (anche in questo caso, prendiamo l’esempio del Lazio) con il memo della prenotazione e già la data dell’appuntamento per la seconda dose. In alternativa, si può procedere con la prenotazione telefonica.

Lo scenario, però, potrebbe presto cambiare: in base alle prime indiscrezione trapelate sul programma del premier incaricato, Mario Draghi, l’intenzione sarebbe quella di creare un call center dedicato e una piattaforma digitale nazionale per centralizzare la gestione dei vaccini. Resta da capire, ancora, anche il ruolo che avranno i medici di base, che pure si sono messi a disposizione per la campagna e che in molte Regioni hanno anche già siglato accordi specifici sul loro impegno: se e come, per esempio, saranno coinvolti sia nell’indicazione delle categorie prioritarie tra i propri pazienti sia nelle somministrazioni presso i propri studi.

Quando (e per quanto) si è protetti

Anche qui si procede a tentoni. Ogni giorno che passa, in base alle risultanze degli studi che si stanno svolgendo in tutto il mondo, la scienza offre nuove risposte sul grado di immunizzazione dei vaccini e su quanto possano funzionare: queste risposte di accumulano, si integrano, a volte si smentiscono anche.

Secondo i dati preliminari raccolti da Pfizer, per esempio, già dopo 14 giorni dalla prima somministrazione nelle persone vaccinate si assiste alla formazione di anticorpi in grado di neutralizzare il Covid. Nei fatti, tuttavia, si sono registrati casi di infezione dopo la prima dose e ieri, in Italia, anche quello di un’operatrice sociosanitaria dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila che aveva anche ricevuto il richiamo (sul caso, ovviamente, sono già in corso approfondimenti). Da Moderna, invece, è arrivata la rassicurazione circa la durata della protezione: due anni secondo i ricercatori della azienda biotech americana, un risultato che se confermato sarebbe straordinario (l’immunità naturale di chi è rimasto contagiato dura “solo” 9 mesi).

In Italia intanto si è ufficialmente aperto il dibattito circa la necessità o meno che chi è stato vaccinato rispetti la quarantena, nel caso per esempio di contatto stretto con un contagiato: secondo molti esperti, da Carlo Signorelli dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano a Massimo Galli dell’ospedale Sacco sempre a Milano, le regole andrebbero cambiate visto che «sappiamo che abbiamo una quota rilevante di italiani che ha una situazione diversa in termini di risposta immunitaria, che ha poche probabilità di contagiarsi e poche di trasmettere l’infezione».

(Avvenire)

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