20 Aprile, 2024
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Il dubbio dei soccorritori: “Forse stiamo cercando Gioele nel posto sbagliato”

Nessuna traccia del bambino scomparso con la madre Viviana trovata morta sabato sera. Anche il padre partecipa alle ricerche. L’accusa della sorella di Mondello: soccorsi partiti in ritardo

CARONIA (MESSINA). Niente. Non una scarpa, non un brandello di maglietta, non una traccia. Gioele sembra scomparso, volatilizzato, inghiottito in una voragine profonda quanto i misteri che avvolgono la morte della madre, Viviana Parisi, la dj sparita lunedì al bordo dell’autostrada a Caroniae ritrovata l’altro ieri, il corpo ormai irriconoscibile affondato tra il fango e gli sterpi, a poche decine di metri da un ricovero di animali e a non troppa distanza da una casa.

E Gioele? Che ne è di lui? Che ne è di questo bambino di 4 anni che con ogni probabilità era con lei? Morto e non ancora trovato? Scappato lontano, vedendo la madre che moriva e spirato anche lui da qualche parte? Ucciso con la madre da un aggressore? Ucciso e sepolto da quella madre che lo amava immensamente e per qualche ragione era fuori di sé (ma seppellire un corpicino a mani nude non è facile in questa terra aspra).

Improbabile che lo abbiano sbranato quelli che in tanti chiamano cinghiali,

ma che in realtà sono suini neri: non sembra abbiano sfigurato loro il volto di Viviana, devastato solo dalle intemperie. «Sono chiusi nei recinti – spiegano i vigili del fuoco – e se qualcuno fosse uscito avrebbe lasciato tracce». Viviana potrebbe essere stata folgorata dai fili elettrici che passano in più punti, o uccisa dal morso di una vipera, o scivolata da un traliccio. Certo, non si esclude l’incontro con un orco, conosciuto o no. È mattina quando arriva qui il padre di Gioele, Daniele, parla con gli uomini delle squadre di soccorso, vuole cercare il figlio con le sue mani. Ma a sera, anche tra i soccorritori più tenaci, prende corpo il dubbio che il bambino non fosse con la madre: «Forse lo stiamo cercando nel posto sbagliato». Si fa largo l’idea che lei lo abbia lasciato prima da qualche parte, nel tragitto fra la sua casa di Venetico – a cento chilometri da qui– e la galleria dove ha avuto l’incidente, a un chilometro e mezzo dal punto del ritrovamento. E dire che l’avevano cercata per cinquecento ettari, fino alle montagne del parco dei Nebrodi.

Una circostanza che non passa inosservata a Mariella Mondello, sorella di Daniele: «Le ricerche sono partite in ritardo. Come mai non l’hanno trovato prima? Mio fratello è distrutto. Noi speriamo che Gioele sia vivo, anche se sappiamo che è molto difficile». A sera arrivano da Torino pure i genitori di Viviana, Luigino e Carmela, anche loro in cerca della verità: «L’hanno ammazzata, non si sarebbe mai suicidata».

Se il bambino fosse qui o no è il primo mistero di questa storia piena di punti oscuri, su cui l’autopsia sul corpo di Viviana, domani, potrà dare qualche preziosa risposta. Con i medici legali ci sarà l’entomologo forense che a partire dalla presenza degli insetti sul cadavere potrà stabilire con certezza il momento della morte. Con ogni probabilità tra lunedì, giorno della scomparsa, e martedì. Dalla Procura filtra la ragionevole certezza che il bambino fosse con lei. A vederli insieme sono stati due uomini – probabilmente padre e figlio – che si sono brevemente fermati nella piazzola dell’autostrada dalla quale altri automobilisti stavano segnalando l’incidente. A loro hanno riferito di avere visto una donna con un bambino superare il guardrail, poi sono andati via. La Procura fa appello da giorni a questi automobilisti ignoti, perché si facciano vivi. Anche un dettaglio può essere importante: era ferita? Appariva sotto choc? Il bambino stava bene?

I testimoni ascoltati dagli inquirenti hanno invece intravisto solo una sagoma femminile. I primi sono i passeggeri del furgoncino urtato da Viviana, che ha sbagliato la manovra di sorpasso.

Usciva dal tunnel a piedi, mentre loro si davano da fare per segnalare la presenza dei due mezzi fermi. I secondi sono gli automobilisti che hanno dato l’allarme. Ma – ragionano gli investigatori – come avrebbero fatto gli sconosciuti a parlare proprio di una donna con un bambino, loro che niente sapevano dei passeggeri di quella macchina ferma?

Ma c’è anche da capire perché Viviana fosse lì, a più di cento chilometri da casa, dopo aver detto al marito che stava andando nella vicina Milazzo. Circostanza, questa, che ha subito fatto ipotizzare una fuga pianificata. Ma è vero pure che la donna non aveva con sé il telefonino – lo lasciava spesso a casa negli ultimi tempi – e che potrebbe avere cambiato idea sulla strada. Viviana aveva 43 anni, guidava bene, era indipendente. Comportamento inconsueto, ma non impossibile. Così come quei 22 minuti di pausa a Sant’Agata di Militello (esce dal casello autostradale del paese e poi rientra) sono cruciali. In questo tempo, in linea teorica, potrebbe essersi disfatta del bambino o averlo consegnato ad altri, ma potrebbe anche avere semplicemente fatto una pausa per andare in bagno o comprare dell’acqua.

Infine, il mistero del percorso dal punto dell’incidente a quello del ritrovamento.

La zona al di là del guardrail è stata considerata impraticabile per giorni dai soccorritori («C’è un canalone profondo due metri e poi una solida rete alta un metro e mezzo»), in realtà non si è rivelata impenetrabile. La rete in quel punto è alta non più di sessanta centimetri. Perché è andata proprio lì? Di sicuro c’è che Viviana non è voluta rientrare nella galleria da cui era uscita a piedi dopo l’incidente e dove aveva accostato la macchina, lasciando la borsa con soldi e documenti. Irrazionale, ma comprensibile se si è molto spaventati. Altrettanto comprensibile non volersi avventurare a piedi sul ciglio dell’autostrada, con le macchine che sfrecciano accanto e un bambino in braccio. Ragionevolezza avrebbe voluto dirle di restare lì, ad aspettare i soccorsi. Ma forse ha avuto paura, forse Gioele era ferito, e quel terreno le è parso il miglior modo per mettere al riparo se stessa e il figlio. Quel figlio che in uno degli ultimi post su Facebook salutava così: «Ti amo tanto, andiamo a fare un po’ di nanna».

(La Stampa)

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