20 Aprile, 2024
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S&P rimanda l’Italia a ottobre. Pesano conti pubblici e recessione. Resta la tensione su Roma

(La Stampa) – Era possibile che arrivasse, ma così non è stato. L’Italia non è stata declassata da S&P. L’agenzia di rating statunitense ha deciso di rimandare, pur mantenendo outlook negativo, il giudizio sui conti pubblici italiani, che rimane a due soli punti dal livello “junk”, o “spazzatura”. Continua però il peso dell’emergenza sanitaria legata alla pandemia di Covid-19. La quale ha impattato su una situazione di finanza pubblica già traballante. Il debito sovrano salirà ancora, toccherà circa il 160% in rapporto al Prodotto interno lordo (Pil), così come il deficit, atteso oltre il 10% rispetto al Pil. E ora si attende la risposta degli investitori, proprio nel weekend che sancirà il viatico di Palazzo Chigi per il ritorno alla “nuova” normalità.

Come nei giorni più neri della crisi dell’eurozona, in quell’autunno 2011 che sancì la fine del Governo Berlusconi e finì per peggiorare la credibilità internazionale di Roma. Il nuovo coronavirus Sars-Cov-2 ha messo in luce le debolezze dell’Italia, e la vulnerabilità dei suoi conti pubblici. Il fardello di quasi 2.500 miliardi di euro di debito, unito all’arrivo della polmonite di Wuhan, ha influito sulle decisioni di S&P. Nonostante un discreto numero di analisti finanziari riteneva possibile oggi un declassamento del rating italiano, ora a quota BBB, uno degli spauracchi del Tesoro non si è verificato. Questo anche grazie ai tentativi della diplomazia di Via XX Settembre a mediare con S&P, ancora ieri sera, nella speranza di poter arrivare a un compromesso per una revisione a ottobre. La sospensione del giudizio, infatti, era lo scenario più accomodante e congeniale per il ministero guidato da Roberto Gualtieri. E il giudizio, alla fine, è stato rimandato. In autunno, appunto. Non saranno mesi facili, poiché oggi il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento di economia e finanza (Def), che ha ribadito la debolezza dell’economia nazionale. 55 miliardi di euro di nuovo debito quest’anno, 24 il prossimo e scostamento dagli obiettivi di bilancio previsti in precedenza. Numeri che incideranno anche nel medio periodo.
Pesano, appunto, tre elementi. Primo, conti pubblici già fragili prima dell’identificazione del nuovo coronavirus in Italia, il 21 febbraio scorso. Secondo, una crescita economica anemica e disomogenea, con un netto divario tra Nord e Sud. Terzo, la pandemia, che ha messo sotto una cattiva luce i due primi fattori. Per il consensus degli analisti deve preoccupare il livello di indebitamento, che potrebbe aumentare di oltre venti punti dall’attuale 134,8% del Pil, e la curva della recessione. Chi pensava che sarebbe stata una recessione a V (ripida discesa, rapida risalita) sarà smentito dai fatti. Quella che infatti si sta prefigurando è una recessione a U, ovvero un severo calo del Pil e una stagnazione seguente, prima di tornare ai livelli pre-crisi. E, come ha sottolineato Goldman Sachs, l’ampiezza della U potrebbe essere più ampia che in altre nazioni della zona euro.

Tutte variabili che in autunno potrebbero indurre l’agenzia di rating americana a non ritenere che il livello BBB sia supportato a sufficienza dai fondamentali macroeconomici. E che lascia intendere uno scenario di pressione, anche per gli anni a venire, su un settore in particolare. Dove? Sul sistema bancario nazionale. Questo perché i Non-performing loan (Npl, o crediti dubbi) cominceranno a pesare sempre più. Dagli 85 miliardi di euro del 2008 si è arrivati a un picco di 341 miliardi nel 2015, per poi sperimentare una discesa fino ai 165 miliardi della prima metà del 2019. Eppure, a causa dei lockdown personali e dei blocchi delle attività commerciali e manifatturiere, è lecito attendersi un nuovo aumento delle sofferenze bancarie. Questo nonostante le iniziative dell’Associazione bancaria italiana (Abi) in supporto dei canali del credito.

Secondo gli analisti di S&P, inoltre, c’è un altro aspetto da non sottovalutare, come spiegato a fine marzo dalla stessa agenzia di rating. E cioè, la capacità di ripresa dell’economia domestica. Molti settori, come quello del turismo e della ristorazione, potrebbero vedere un prolungamento del calo della domanda. Meno turisti, meno consumi, più stagnazione. Specie considerando che Roma è stato il primo Paese europeo a effettuare un lockdown stile Corea del Sud, ma sarà anche uno degli ultimi a riaprire i battenti, seppure in modo graduale. Se si prendono per buone le stime, come quelle di UniCredit o Goldman Sachs, che vedono un calo del Pil a doppia cifra su base annua, sarà dunque lungo e periglioso il ritorno ai livelli pre Covid-19.

Il percorso dell’Italia resta dunque in salita. Non solo in virtù della futura possibile azione di S&P, ma anche per via della condizione pregressa. L’impressione è che un piano per la ripresa economica, anche utilizzando gli strumenti messi in campo già ora dalla Banca centrale europea (Bce) e quelli che saranno forniti dalla Commissione europea, come il Recovery Fund, debba essere adottato al più presto possibile. Perché, in alternativa, a ottobre potrebbe giungere un nuovo declassamento del debito sovrano, questa volta a livello “spazzatura”. In quel caso, per il Tesoro potrebbe essere ancora più complicato uscire sul mercato obbligazionario per rifinanziarsi.

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