28 Marzo, 2024
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‘No alle mascherine fai da te’. Il monito dell’esperto

AGI – Attenzione alle mascherine “fai da te” perché non servono. Dunque le sciarpe o i foulard tradizionali di cotone o di lino non proteggono dal coronavirus: parola di Francesco Saverio Violante direttore della Medicina del lavoro del policlinico Sant’Orsola di Bologna, docente all’Alma Mater, e responsabile dei laboratori che, attraverso test mirati, validano le nuove mascherine chirurgiche prodotte da aziende riconvertite alla produzione dei dispositivi di protezione personale per far fronte all’emergenza sanitaria da Covid-19.

Se il ‘prototipo’ avrà ottenuto il via libera, l’azienda farà richiesta all’Istituto superiore di sanità per poter commercializzare il prodotto. L’esperto, interpellato dall’AGI, giudica “razionale” il provvedimento della Lombardia sull’obbligo dell’utilizzo delle mascherine per tutti i cittadini soprattutto nelle situazioni che non permettono di rispettare la prima delle precauzioni: il distanziamento sociale.

“Se si è a congrua distanza il fatto di indossare una mascherina non è così rilevante ma – ha precisato l’esperto – se questa condizione viene meno, ad esempio, sui mezzi pubblici o in ascensore, è una misura razionale e probabilmente efficace”. La mascherina “nella sua apparente semplicità – ha spiegato Violante – è un prodotto tecnologicamente complesso perché il materiale tessile deve conciliare due principi che vanno l’uno contro l’altro, ovvero, l’alta respirabilità e allo stesso tempo l’alto coefficiente di filtrazione batterica”.

Dunque, “non si possono realizzare mascherine fai da te. Bisogna utilizzare materiali idonei e specifici. Su questo il Policlinico di Torino, che collabora con noi, sta facendo una attività molto importante sui tessuti per selezionare quelli che meglio possono superare i test”. Se dal punto di vista della manifattura la mascherina è un prodotto “abbastanza semplice, a portata di una sarta” il problema è “l’utilizzo di materiale tessile idoneo a superare i test richiesti da standard europei”.

Al momento sono un centinaio le aziende da tutta Italia (e due anche dall’estero) che hanno fatto richiesta per la validazione delle neo-mascherine chirurgiche. Tra queste, colossi del made in Italy come Automobili Lamborghini ma soprattutto piccole e medie imprese. E i prodotti che hanno ottenuto il semaforo verde si contano sulle dita di una mano. “Al momento meno del 50 per cento delle mascherine ha superato i test”, ha spiegato il medico.

Il bollino (‘verde’ o ‘rosso’) per le nuove mascherine si ottiene dopo un processo di 8 giorni. Un team composto da circa 25 persone (tra cui molti volontari) è al lavoro in due laboratori: uno allestito in una sala operatoria al momento non utilizzata del S.Orsola (ospedale Covid a Bologna) e l’altro presso il dipartimento di Ingegneria chimica dell’università di Bologna. In totale per l’esame di ogni ‘prodotto’ serve un’ora di preparazione e quindi si riescono a testare ogni giorno circa dieci mascherine.

Nello specifico “le mascherine chirurgiche devono rispondere ad uno standard europeo che definisce le due caratteristiche essenziali che sono da un lato la respirabilità – ha spiegato il direttore della Medicina del lavoro del policlinico Sant’Orsola – e dall’altro la capacità di filtrare batteri: un grado del 95% per i dispositivi destinati ai pazienti e del 98% per gli operatori sanitari”.

Poi ci sono altri due ‘esami’ da sostenere per i prototipi: “la resistenza agli schizzi di sangue sintetico e la determinazione della carica microbica totale all’interno di una mascherina”. I dispositivi di protezione personale, resi obbligatori a macchia di leopardo in alcuni territori e luoghi, sono utili ma occorre rispettare con scrupolo le ‘regole’ fondamentali per contenere la diffusione del Covid-19. “Non dobbiamo dimenticare – ha concluso Violante – che la mascherina è importante ma lavarsi le mani lo è altrettanto. Le mani sono contaminate e quando le portiamo alla bocca sono una via d’entrata del virus”.

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